La progettazione e la realizzazione della chiesa di Pentecoste è stata un’avventura istruttiva e per certi versi straordinaria. Ci troviamo di fronte infatti ad un progetto che è frutto di molte mediazioni e di conseguenza di molto ascolto, da un lato; per altre prospettive ci troviamo di fronte ad un progetto cerniera, che celebra una forma e un modo di essere Chiesa dentro la città, lasciando intuire le evoluzioni anche molto forti che questa presenza sta già conoscendo e conoscerà sempre più nei prossimi anni.
La chiesa di Pentecoste è il frutto più recente dell’intuizione avuta dal Card. Montini, quando da Arcivescovo (siamo nel 1961) lanciò un piano per la costruzione di nuovi edifici di culto nelle periferie che stavano allargando e ispessendo il tessuto urbano di Milano. Le linee direttrici del piano potevano essere sintetizzate nella metafora dell’anima, del principio trasfiguratore: in molti casi gli edifici di culto e di pastorale sorgevano al centro (e possibilmente prima, a livello temporale) dei grandi agglomerati abitativi e produttivi, e ad essi veniva affidato il compito di dare un’identità e un’anima al nuovo insediamento urbano, utilizzando tutti i linguaggi dell’uomo (artistici, architettonici, culturali, sociali) per annunciare la fede cristiana, facendo leva sull’innata dimensione religiosa della persona, riconosciuta e condivisa in modo pressoché unanime (la dimensione verticale che riorganizza, dando una gerarchia, i tanti legami sociali orizzontali).
La Milano metropoli d’Europa, la città plurale e meticcia chiede a questa tradizionale (ambrosiana) forma di giocarsi in un modo nuovo: già a Pentecoste si può vedere come la chiesa e il complesso degli edifici parrocchiali intenda tradurre a livello spaziale quel compito di proposta e quel ruolo attivo di inserzione nel tessuto urbano che oggi è chiesto alle nostre comunità cristiane. Non va più da sé che le reti sociali di una metropoli attraversino spazi religiosi o luoghi capaci di accendere la sete di Dio nelle persone. Occorre cambiare paradigma, e immaginare i nostri spazi parrocchiali come attori capaci di esporsi, con la loro testimonianza, dentro i tessuti urbani sempre meno aggregati, portando i primi doni della fede cristiana che sono la pace e la gioia. realizzare luoghi che sappiano accogliere e raccogliere le persone dalle tante solitudini che la vita urbana crea, progettare e far vivere centri moltiplicatori di quella gioia cristiana che nella nostra cultura assume la forma di una “comunità alternativa” (una comunità che in una società connotata da relazioni fragili, conflittuali e di tipo consumistico, esprima la possibilità di relazioni gratuite, forti e durature, cementate nella mutua accettazione e dal perdono reciproco, per usare le parole del Card. Montini): sono questi i compiti che verranno sempre più richiesti alle nostre comunità; sono questi i principi a partire dai quali progettare i nostri edifici, chiese in primis, per essere capaci di annunciare il Dio di Gesù in una società sempre più plurale.
La chiesa di Pentecoste è un primo tentativo di articolazione di questa nuova grammatica spaziale, architettonica e sociale che la Chiesa del terzo millennio vuole (e non soltanto deve) apprendere a parlare.