Sicilia, Italia – Cala della Disa 9
Tra Scopello e San Vito lo Capo c’è un territorio di bellezza sfolgorante.
Un piccolo paradiso terrestre sottratto dalle mani della speculazione edilizia, dall’aggressione delle seconde case, delle strade e degli alberghi e ora protetto dalla Azienda Regionale Foreste Demaniali della Regione Siciliana. È la riserva dello Zingaro, un microcosmo eccellente, un breve tratto di litorale di circa 7 Km, 1650 ettari di superficie, una fascia litoranea formata da una costa rocciosa di calcari del Mesozoico, intercalata da numerose calette e caratterizzata da strapiombanti falesie che dall’altezza massima di 913 mt. del Monte Speziale portano rapidamente al mare. Flora e fauna a volte endemiche sono oggetto di studio e protezione dal 1980.
Questo modello dovrebbe essere applicato a gran parte del territorio italiano.
Il piccolo territorio della riserva è punteggiato da poche costruzioni isolate e da qualche piccolo borgo di pastori o pescatori in relazione alla quota. Le costruzioni sono un esempio mirabile di architettura naturale.
Pietra, calce, legno, argilla, nient’altro. Materiali reperibili nell’arco di poche centinaia di metri, rinnovabili, riciclabili, sani, puliti: il lavoro di uomini e muli. Totale autosufficienza che dialoga con un equilibrio formale essenziale, minimalista, senza tempo.
L’architettura della natura
Le costruzioni dello zingaro sono come alberi, con gli alberi dialogano.
Un albero si sviluppa da un seme portato dal vento, si insinua nella terra, si fonda, cresce, si sviluppa, prende forma.
Gli alberi sono architetture ben progettate. La natura è un buon architetto.
La natura li ha dotati di radici che, incredibilmente, assorbono energia dal terreno e di foglie che, ancora più incredibilmente, assorbono energia dal cosmo. Le loro materie prime sono terra, acqua e sole.
Non serve altro, tutto è disponibile: niente energia, niente scarti.
Il cerchio si chiude sempre.
Il Perlato di Sicilia
A monte della riserva, a poche centinaia di metri in linea d’aria oltre il monte Sparaglio, il paesaggio cambia improvvisamente. ‘Il marmo delle Cave di Custonaci è apprezzato e rinomato in tutto il mondo’ dice con orgoglio il sito dell’Azienda Provinciale per il Turismo di Trapani.
L’area estrattiva di Custonaci è il primo polo marmifero della Sicilia e il terzo polo estrattivo d’Europa. L’area appare sulle foto aeree come una città spettrale, una macchia bianca nel verde dei campi e dei boschi. Un paesaggio artificiale abitato da ruspe, automezzi pesanti, depositi, polvere.
I marmi tagliati in questa enorme area sono esportati in tutto il mondo.
Il ‘Perlato di Sicilia’, un marmo di colore chiaro con sfumature perlacee su un fondo avorio, è il secondo marmo più venduto al mondo dopo il Bianco di Carrara.
Anche qui, come in tanti altri luoghi italiani, in pochi chilometri quadrati, si racchiude l’immagine di una contemporaneità sbagliata: grandi bellezze, enormi devastazioni.
Qualcuno camminerà con soddisfazione su una scala rivestita di marmo siciliano in Arabia Saudita, qualcun altro espleterà i suoi bisogni fisiologici in un bagno rivestito di marmo siciliano a New York o a Tokyo. In entrambe i casi un architetto sarà soddisfatto del suo lavoro.
L’importante è capire se ne sarà valsa la pena.
Insostenibilità dell’architettura
Che senso ha usare il marmo perlato di Sicilia in Giappone?
L’architettura di noi umani fatica a comprendere, soprattutto in questi tempi di confusione. Si fonda con cemento e ferro, si nutre di petrolio, non sa assorbire le energie presenti in grande quantità nel suolo e nel cosmo, se non a prezzo di tecnologie complesse, pesanti e devastanti. Consuma e produce scarti in enorme quantità. Distrugge la natura e si distrugge.Dall’architettura sostenibile alla architettura non costruita
Da ‘Silent Spring’ – il primo esplicito atto di accusa contro l’artificializzazione del pianeta che Rachel Carson scrive nel 1962 al D. Lgs. 311/2006 che stabilisce in Italia una serie di misure dirette a ridurre il consumo di energia degli edifici – sono passati poco più di 40 anni, un frammento di storia che racconta le tappe di un’evoluzione che potrebbe essere condensata in uno slogan: dal sole al polistirolo.
I decreti sul risparmio energetico in Italia vengono attuati solo aumentando gli spessori di isolanti petrolchimici nei muri. Questo è il dato macroscopico: petrolio per risparmiare petrolio! Il resto è un optional.
Gli esempi di progettazione integrata trovano spazio sulle riviste, ma non negli edifici dove vivono gli Italiani. La progettazione bioclimatica resta largamente inapplicata. I materiali di origine vegetale rinnovabili e puliti hanno spazi di mercato marginali soprattutto nel settore delle coibentazioni. Le tecnologie innovative per l’uso delle fonti rinnovabili (fotovoltaico, geotermico, eolico, ecc.) crescono in misura insignificante rispetto ai numeri del mercato edilizio, alla concretezza del businness che tutto assorbe e trasforma.
Tutto ciò in un contesto devastante che ha visto negli ultimi 6 anni (2003-2008) la realizzazione in Italia di 1.824.000 nuove abitazioni (fonte: Cresme/Si – CONGIUNTURALE CRESME/SAIE 2008) a fronte di una crescita demografica zero. Decine di milioni di metri cubi costruiti per abitanti inesistenti con cui, animali adattabili, interagiamo con assuefazione.
L’unica architettura sostenibile è quella non costruita
Quello di cui abbiamo bisogno oggi è di un approccio sistemico che integri le ricerche bioclimatiche sulla morfologia dell’architettura in rapporto al clima e in particolare al sole, con le ricerche biologiche sul rapporto tra architettura e uomo e quindi sulla salute, il confort, gli aspetti psicologici e sociali del vivere in ambienti confinati per considerare l’edificio come un organismo vivente e la città come un biotopo.
Servono politiche coraggiose, azioni consapevoli e supportate con costanza dentro gli strumenti di governo del territorio, progetti pilota, microcosmi eccellenti in grado di filiare architetture efficaci.
Gradualità, piccoli passi costanti, che consentano all’apparato produttivo di convertire produzioni insostenibili verso nuove produzioni sane e pulite, in tempi rapidi commisurati alla rapidità con cui le nuove tecnologie nascono, crescono, si sviluppano.
L’architettura sostenibile non esiste. L’unica architettura sostenibile è quella non costruita.
Architettura naturale
Bisogna pensare un’architettura capace di consentire la riproducibilità delle risorse e la rigenerazione degli spazi come avviene in natura nel mondo vegetale.
Bisogna smettere di costruire sottraendo suolo e iniziare a costruire dentro, sopra e con il già costruito con i metodi dell’architettura naturale.
L’architettura naturale è architettura locale, fatta con i materiali del territorio che non richiedono trasporti oppure ne richiedono in modo molto limitato, ma è anche architettura frutto di cultura locale, pensata in accordo con le particolarità del clima, con tradizioni consolidate, un’architettura radicata come un albero nella sua terra. Un’architettura che la gente capisce istintivamente.