La borgata e il suo ordine


L’opera dello Studio Garofalo Miura realizza un solido equilibrio dinamico che si apre all’intorno con articolata, caratteristica linearità. Da un lato una piazza sagrato, dall’altra gli spazi per lo sport: lì dominano la chiesa e il campanile, qui si inserisce il corpo in parte sopraelevato dell’aula-teatro.

La borgata della Bufalotta, a nord di Roma, ha quel sapore campestre così caratteristico dei dintorni della Capitale. Il nuovo centro parrocchiale potrà aiutare a non perdere l’identità del sito: a mantenere la sua autonomia caratterizzata dalla mescolanza di città e campagna, sufficientemente lontano dal Grande Raccordo Anulare e dalla via Salaria, per non essere assorbito nell’informe procedere dell’espansione urbana.

Vista dalla corte verso la chiesa. In alto: la pianta.
In basso da sinistra: chiesa, sezione trasversale verso
la controfacciata; sezione longitudinale; prospetto
del complesso dal campo di calcio; prospetto sud.

Il corpo lineare che ospita i servizi parrocchiali, nitido nel suo pastoso color rosso scuro che conserva la memoria della terra, sembra l’espressione di un’ordinata tensione che raccorda e unisce, ma in modo dinamico, così i diversi ambienti del complesso come le diverse parti della borgata, nella quale i nuovi insediamenti hanno portato in questi anni al raddoppio della popolazione – da 6 mila a 12 mila residenti.
L’edificio longitudinale separa (ma allo tesso tempo unisce) il sagrato e il cortile – l’area aperta di fronte alla chiesa – al campo di calcio retrostante. Separa (ma anche unisce) il corpo che ospita la chiesa (che si protende verso ovest) all’estensione che si protende in posizione simmetrica verso est, e contiene l’aula parrocchiale.

Così si articolano direzioni ortogonali che gemmano con ragionata misura e animano un luogo che offre differenziazioni evidenti, e che si dilata secondo diverse direttrici. Presentando prospetti diversi, ma mantenendo una unitarietà efficace grazie al lungo, monastico corridoio che percorre il piano terra e raccorda i vari ambienti.
La chiesa vera e propria si distingue per l’alta, luminosa facciata che presenta una vetratura ritmata in un ordito di membrature verticali rette da una leggera trama orizzontale, così che luce e ombra risaltano e vibrano con varia intensità a secondo dell’angolatura del sole, in trasparenze schermate.
La copertura ad andamento iperbolico contribuisce a evidenziare l’individualità e la preminenza della chiesa. Anche i rivestimenti in pietra ne accentuano l’imponenza mentre il campanile le si accosta raccordato alla base, quasi come una sentinella, una guardia d’onore, un araldo.

Dall’alto: l’ingresso della chiesa; la controfacciata. A destra in senso orario: volume sospeso della sala parrocchiale; la base del campanile; un lucernario dalla chiesa; il lato nord, con la cappella feriale.

Nel disegno del complesso si ritrovano accenti da razionalismo delle origini: privo di esibizionismi e di pretese formali, ragionato in funzione delle necessità, in un’economia spazio organizzata così da favorire le azioni che l’architettura è chiamata a ospitare.
All’esterno si trova la libertà data dagli spazi aperti, (sagrato, corte, campo sportivo) raccordati e individuati senza mai essere chiusi. All’interno c’è continuità dei passaggi che consentono di spostarsi in ogni ambito senza mai uscire allo scoperto.
Nell’aula è la luce il primo elemento che dà ordine e orienta. Filtra schermata dalla grande parete vetrata che sovrasta la zona di ingresso; spiove da lucernari che accentuano l’articolarsi dello spazio.
Mentre il rivestimento in listoni lignei che accompagnano il movimento avvolgente della copertura sembra offrire il presbiterio all’assemblea.

I piani in marmo verde che si sommano e si ergono, si sovrappongono e si distanziano in scarti, movimentano il presbiterio e gli conferiscono un tono di monumentalità e di eminenza, staccandolo da tutto il resto con la sola forza della materia e del colore. Allo stesso modo, il marmo chiaro della mensa fa sì che questa si stagli contro le altre superfici scure e la rende protagonista evidente.

Dall’alto, in senso orario: vista dalla scala sul campo di calcio; la cappella feriale; la zona dietro il presbiterio.
A destra dall’alto: il presbiterio, visto dalla zona del fonte; l’altare risalta sulla pedana sopraelevata.

Il chiarore dei marmi distingue nello stesso modo l’ambone, il tabernacolo, il crocifisso: restano come presenze singole, individuate e tuttavia unite tra loro dalla materia, dal disegno, dal comune incastonarsi sullo sfondo marmoreo. Un passaggio laterale unisce il battistero alla cappella feriale, in modo inconsueto posta in un volume che si protende in avanti sul sagrato sopravanzando la facciata. L’angolatura della parete laterale di questa consente al celebrante un
rapporto visivo con il tabernacolo, anche se questo resta precluso ai fedeli. È nello sviluppo volumetrico del complesso che la cappella trova la sua logica, forse prima che nella liturgia.

Chiesa di Santa Maria Josefa a Roma
Progetto architettonico:
Garofalo Miura Architetti (Arch. Francesco Garofalo, Arch. Sharon Yoshie Miura), Roma
Campane: Capanni Fonderie, Castelnovo ne’ Monti (Reggio Emilia)
Panche: Caloi Industria, Susegana (Treviso)
Impianto acustico: Bose, Roma

I banchi sono stati progettati dalla ditta Caloi, in collaborazione con lo studio Garofolo Miura. Il modello ROMA 3 è
stato infatti rielaborato dai progettisti nel disegno della fiancata per renderlo più armonico e coerente con l’intera
aula. Per i banchi è stata scelta l’essenza di faggio, di prima qualità commerciale e proveniente dalla Slavonia.

 

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