Intervista

A colloquio con Umberto Leone Lui scultore artigiano, assieme alla moglie architetto, Ute Pyka, titolari del laboratorio di design Pykaleone

Il sodalizio professionale e sentimentale tra Ute Pyka, architetto di nazionalità tedesca, e Umberto Leone, scultore artigiano del legno che quasi ostenta la sua sicilianità, si traduce in un laboratorio di design che, da Castelvetrano, Selinunte (TR), si è fatto conoscere in tutto il mondo e non solo per il design unico degli arredi che vi si realizzano. Nordica lei, lui mediterraneo fino al midollo, hanno saputo “incastrarsi” in creazioni artistiche di rara suggestione. Arte in Corso, Di-Visionarie (2) e poi l’ultima Profondo Ulivo (6) presentata anche a Milano lo scorso 29 settembre, sono installazioni di sculture lignee concepite nell’anima dell’Ulivo e secondo il percorso delle sue nervature e dei suoi nodi. Vivisezionato, aperto sfogliato come un libro, Ute e Umberto hanno lasciato che parlasse delle terre del Mediterraneo attraverso le loro creazioni.

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Nelle foto: La cassettiera Valeria, con pomoli in acciaio inox e cassetti di varie altezze

L’Ulivo, pienezza di vita, simbolo di pace. L’Ulivo che cresce diversamente da tutte le altre piante, gira a 360° e sembra avere una visione completa di ciò che “osserva”. Umberto raccontaci come arrivate a comprendere questa visione e a tradurla attraverso le vostre opere.

Ulivo, comune a tutte le civiltà che si affacciano sul Mediterraneo. E la Sicilia in mezzo. Gli altri alberi sono più simili a se stessi, l’ulivo differentemente racchiude venature e disegni sempre diversi. Il ciliegio o il noce è come fossero il bell’esemplare di una stirpe, tedesca, svedese o greca che sia, ne mostrano in modo perfetto i tratti distintivi. Un asse d’ulivo è invece un siciliano che racconta la sua storia, un portoghese che canta il Fado, una pugliese che balla la Pizzica.

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Nelle foto: le sedie seggiotropica (3) e seggiotropica bassa (5), disponibili con seduta imbottita o in legno e con
schienale alto o basso.

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La maggior parte degli alberi che conosco hanno il fusto dritto, ed anche quando crescono contorti non sono mai come gli ulivi. Interagendo con l’uomo, sembrano condividere le fatiche di un lavoro duro, sotto l’acqua, al sole, scolpiti dai venti di libeccio e scirocco. Se li seghi radialmente vedi gli anelli, scopri l’età, gli eventi atmosferici… se li seghi longitudinalmente, (il senso di lavorazione della falegnameria) ecco apparire le venature cioè i tratti somatici dell’albero, la sua anima e la storia che ci racconta. Nell’installazione Profondo Ulivo, da un tronco abbiamo ricavato 11 assi che ci sembravano volti, personaggi del nostro Mediterraneo: alcuni si baciano, altri si toccano, tutti si ascoltano.

Patrizia Coggiola, giornalista, parla delle vostre sculture chiamandole “figure spaziali”. In che senso?
“Figure spaziali” cioè sospese nello spazio, trasparenti, galleggianti.

Le vostre installazioni prevedono delle collaborazioni tanto inconsuete quanto importanti. Raccontaci il rapporto tra la vostra arte e la musica di Alfio Antico, o se vuoi, il rapporto personale che avete. E quello con la narrazione di Vincenzo Consolo. Cantore della tradizione musicale popolare siciliana il primo, scrittore traduttore della vostra cultura il secondo. Entrambi coinvolti nell’ultima realizzazione.
Il filo che ci lega ad Alfio è quello della Sicilia e dell’importanza della memoria. Che non è solo quella attraverso la quale impariamo la poesia; è coscienza e patrimonio di ciò che è stato e siamo. Una sorta di tesoro custodito. Anzi, visto che costruiamo mobili, a ben pensarci è come la credenza dei nostri nonni, dentro si riponevano tutte quelle cose che nei momenti di necessità ci avrebbero aiutato a sopravvivere. Ecco il significato della memoria: così esso nei nostri oggetti passa attraverso l’utilizzo di specifiche essenze e di antiche tecniche di lavorazione. Nascono pezzi contemporanei che secernono una saggezza antica, quella che non ci fa smarrire la strada maestra. Per quel che riguarda il rapporto con Vincenzo Consolo si possono dire le stesse cose, dopo tutto è appunto considerato uno “scrittore della memoria”.

In particolare l’ho tirato in ballo nella riscoperta del cantastorie di Selinunte Pino Veneziano, e su di lui, gli ho chiesto
di scrivere un breve intervento. Utilizziamo la stessa forza, quella della memoria, quella della nostra identità per costruire il nuovo. Alfio con la musica, noi con il legno, Vincenzo con la poesia. In questo senso Alfio è l’idea musicale dei nostri oggetti. Per intenderci, la nostra poltroncina SupraMari, ispirata all’omonima canzone di Alfio, evoca la posizione precisa di chi sosta a guardare il mare dall’alto e le sensazioni di pace e serenità che il mare è in grado di regalare.

In una tua precedente intervista affermavi che fare arte è “argomentare sensazioni”. Dare forma o voce a ciò che senti intimo e profondo è un po’ come spiegarsi, raccontarsi al mondo. L’arte in questo è lo strumento più prodigioso di tutti. Ancora più prodigioso se pensiamo che, nel momento in cui scegliamo di scoprirci attraverso un’opera che traduce le nostre sensazioni, in realtà stiamo mettendo a disposizione di chi ne fruirà un nuovo strumento d’interpretazione del proprio vissuto. È un modo per raccontare le proprie storie assieme ad altri che vogliono e sanno ascoltarci.

Il rapporto tra design e arte?
Con le istallazioni e le sculture ci sentiamo liberi di esprimere concetti, nuovi e vecchi racconti ed emozioni mediante codici personali. Quando c’è da costruire una sedia, costringiamo la nostra ispirazione attraverso le regole dell’ergonomia, o della produzione, piuttosto che del packaging. È un filo sottile che unisce e distingue Arte e Design: entrambi rivolti alla “Bellezza”, ma secondo leggi differenti. V. G.

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