Vivere in un castello

Tratto da:
Il camino N° 86
Vivere in un Castello
DiBaio Editore

Località: Gropparello (PC) Testo e Art Direction: Rita Ghisalberti Foto: Fabrizio Gini Castello di Gropparello.

UN PROFESSORE DI ORIGINI NOBILI E SUA MOGLIE S’INNAMORANO DI QUESTA ANTICA COSTRUZIONE E, MESCOLANDO CON INFINITA PAZIENZA LA STORIA LOCALE CON I RICORDI DI FAMIGLIA, LA TRASFORMANO IN UN FANTASTICO LUOGO DELL’IMMAGINARIO.
Niente è più lontano dalla nostra vita quotidiana dell’idea e della possibilità di vivere in un castello, eppure questi edifici riescono sempre a scatenare emozioni ed entusiasmi. Questa è l’incredibile storia di un professore di origini nobili e di sua moglie che s’innamorano di un castello e lo trasformano in un parco delle fiabe. Con raffinata pazienza mescolano la tradizione e la storia con i ricordi di famiglia e il passato ritrova, insieme allo splendore antico, una nuova vita. Il castello diventa un luogo magico che fonde alla perfezione i caratteri del passato con la tipicità del territorio. In questa prospettiva proponiamo una sua inedita lettura attraverso la presenza silenziosa ma imponente dei camini, le macchine per scaldare intorno a cui per secoli si è articolata la vita castellana. Partiamo dal camino presente nella camera da letto dei proprietari, forse è in assoluto il camino più prezioso ed interessante del castello, certamente il più antico in quanto risale alla metà del Quattrocento. È molto semplice nello schema costruttivo: due spalle in pietra scolpite a volute spiraliformi e un architrave abbellito da semplici cornici tipiche del gusto dell’epoca, e possiede una bellezza particolare proprio per la sobrietà della decorazione, con una cristallinità e un equilibrio tipici del nostro Rinascimento. La scritta scolpita sul cornicione testimonia la sua provenienza dalla corte dei Gonzaga, e precisamente da Sabbioneta. Le origini del castello, posto su un picco di straordinaria bellezza che domina la campagna piacentina, si fanno risalire all’VIII secolo, quando un editto di Carlo Magno lo assegna al vescovo di Piacenza Giuliano II. A pianta irregolare per le asperità del terreno, il castello, che è sempre stato una rocca difensiva, non ha subito grossi rimaneggiamenti nel corso dei secoli e rappresenta un esempio ben conservato delle fortificazioni di stampo medioevale. È costituito da un insieme di costruzioni successive addossate a una torre centrale del XII secolo, con mura poco spesse perché precedenti alla nascita dell’artiglieria. Quando i Farnese tornarono in possesso di queste terre prima detenute dai Visconti, decisero di premiare il fedele luogotenente Marco Antonio Anguissola donandogli questo castello e il suo feudo originario.

Castello di Gropparello. Le origini del castello, posto su un picco di straordinaria bellezza che domina la campagna piacentina, si fanno risalire all’VIII secolo, quando un editto di Carlo Magno lo assegna al vescovo di Piacenza Giuliano II. A pianta irregolare per le asperità del terreno, il castello, che è sempre stato una rocca difensiva, non ha subito grossi rimaneggiamenti nel corso dei secoli e rappresenta un esempio ben conservato delle fortificazioni di stampo medioevale. È costituito da un insieme di costruzioni successive addossate a una torre centrale del XII secolo, con mura poco spesse perché precedenti alla nascita dell’artiglieria. Quando i Farnese tornarono in possesso di queste terre prima detenute dai Visconti, decisero di premiare il fedele luogotenente Marco Antonio Anguissola donandogli questo castello e il suo feudo originario.

Stile Luigi XV e Luigi XVI
L’elegante camino Luigi XV (nella foto a sinistra) si trova in un piccolo e accolto ambiente, oggi arredato con mobili di epoca Luigi XV e XVI, ricavato probabilmente suddividendo in due parti un ambiente in origine più vasto. L’eleganza delle volute e della conchiglia centrale sono sottolineate dalla scelta del materiale, marmo rosso di Verona con venature molto delicate. La base, ricostruita in epoca successiva con un marmo più simile possibile a quello originale, mette ancor più in evidenza, per contrasto, la raffinatezza e preziosità del materiale originale. Dal punto di vista strutturale si può notare la sparizione della cappa inclinata, che viene sostituita da una sporgenza dritta che veniva poi mascherata da una “caminiera”; una struttura più o meno decorata che includeva in genere un quadro o una specchiera. Nella stessa stanza, spicca un meraviglioso orologio da parete in legno laccato con i bordi dorati e decorazioni in bronzo dorato a mercurio. Il meccanismo, della prima metà del Settecento, è firmato Renoir a Parigi ed è perfettamente funzionante ancora oggi. Molto belle le lancette diverse una dall’altra, una a forma di lancia e l’altra a tridente.

Il camino in Sala da Pranzo

Il camino della sala da pranzo è uno dei più interessanti tra quelli presenti nel castello, non solo per la ricchezza delle decorazioni che fanno pensare alla mano di qualche artista piuttosto importante (probabilmente della cerchia mantovana facente a capo a Giulio Romano), ma anche perché la particolare tecnica usata, stucco su base di laterizio, dà la certezza che questo camino, così come lo vediamo oggi, è stato realizzato proprio in questo ambiente circa quattro secoli fa, e non portato successivamente come è avvenuto per altri. Quindi è una testimonianza di quale doveva essere l’aspetto interno del castello a quell’epoca. La decorazione è ispirata alla mitologia classica: la coppia cariatide-talamone (figura femminile e figura maschile) reggono un frontale che è a sua volta decorato con bassorilievi di gusto classico, oggi difficilmente interpretabili a causa dei danni arrecati dal tempo e dall’incuria dei precedenti proprietari. Sono abbastanza evidenti molte tracce di colore, una prova che il camino in origine era policromo, probabilmente dipinto a finto marmo, e arricchito con dorature nei fregi e nelle cornici. Lo stemma degli Anguissola di Gropparello al centro della cappa farebbe ritenere che il camino sia stato voluto e commissionato da Marcantonio Anguissola, conte di Gropparello per volontà di Ranuccio I Farnese, tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento.

 

Vivere in un castello

“La nostra vita a Milano era una bella vita” racconta Gianfranco Gibelli, proprietario del Castello “ma pur avendo una villa con giardino, avevamo un sogno nel cassetto: andare a stabilirci in campagna, perché per noi è importante recuperare certi valori come il rapporto con la natura e i cibi genuini, che non sono solo il gusto della tavola ma anche un modo di vivere diverso”. I proprietari del castello Gianfranco e Rita Gibelli sono ritratti davanti al camino che domina in modo fiero e maestoso la Sala delle Armi, un tipico esempio del gusto neogotico che ha pervaso i restauri dei castelli fino ai primi anni di questo secolo. È evidente nella sua struttura spoglia e priva di ornamentazioni superflue, nella scelta dei materiali e nello slancio verticale della cappa, la volontà di evocare quanto più possibile l’immagine di un camino medioevale intorno a cui la fantasia potrebbe, socchiudendo gli occhi, intravvedere dame e paggi che si scaldano nelle serate invernali, quando i cortili e i tetti sono stracolmi di neve.

 

Dal punto di vista strutturale il camino della sala da pranzo è caratterizzato dalla tipologia del tardo cinquecento che ripropone i canoni costruttivi rinascimentali: una esigua profondità del vano fuoco (interamente scavato nello spessore del muro, mentre la cappa sporge per raccogliere il fumo) e il piano del focolare a livello del pavimento. La piastra in ferro, che si trova così spesso nei camini d’oltralpe, da noi era rimpiazzata (come si può notare anche in questo esemplare) da una grossa pietra piatta inserita tra i mattoni e le pietre più piccole costituenti il muro. Anche la decorazione appartiene all’uso decorativo dell’epoca, infatti riprende temi della mitologia classica come la cariatide e il talamone, le due figure che reggono l’architrave, realizzate in stucco (gesso e colla, lucidate con ferri caldi dopo essere state dipinte nel colore del marmo). Al centro dell’architrave, in una scena molto rovinata dal tempo e dall’incuria, è rappresentata Venere che si prepara, aiutata da un’ancella, a un bagno rituale. Sopra vi è una doppia figurazione di donna a cavallo di un toro, che fa riferimento al mito del ratto d’Europa quando Giove si trasforma in toro e rapisce Europa, la fanciulla di cui si era invaghito.

La ricetta del Castello

Carciofi in piedi
Ingredienti: 8 Carciofi romani, aglio fresco, mentuccia di campo, 250 gr di pane casereccio raffermo grattugiato, olio extra vergine di oliva delle colline toscane ottenuto da prima spremitura a freddo, così da avere una bassissima acidità q.b., sale e pepe q.b. Utensili: un tegame di coccio con coperchio, di dimensione sufficiente a contenere i carciofi in piedi, un mestolo di legno, un coltellino affilato per pulire i carciofi, un paio di guanti da cucina (per la pulizia dei carciofi), un tagliere di legno, un colino da insalata. Sfogliare i carciofi fino a raggiungere il cuore, poi con l’aiuto di un coltellino affilato tagliare le punte delle foglie rimanenti. Fare un battuto di aglio e mentuccia, sale e pepe e unirlo al pane grattugiato e all’olio, fino a raggiungere la consistenza di una salsa di pane. Riempire le foglie dei carciofi con questo composto e posizionarli in piedi dentro il tegame. Aggiungere una miscela di olio e acqua e sale q. b. fino ad arrivare a copertura dei carciofi. Coprire con il coperchio e posizionare sopra le braci aiutandosi con un tre piede di ferro. I carciofi saranno cotti quando il sugo si riduce ad un terzo ed i carciofi sono tenerissimi alla prova della forchetta.

 

Condividi

Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza sul nostro sito web.
Puoi scoprire di più su quali cookie stiamo utilizzando o come disattivarli nella pagine(cookie)(technical cookies) (statistics cookies)(profiling cookies)