Tracce forgiate da Gaudí sulle facciate di Barcellona

Casa Calvet e Palazzo Güell

Testo di: Leonardo Servadio
Foto di: Luca Macchiavelli

Pietra e ferro battuto: la facciata della casa Calvet è come un grande scenario in cui lo spazio sul manto di roccia a spacco è conteso da ringhiere e cornici metalliche, che emergono con ritmiche assonanze ben ordinate nell’altenarsi di sporgenze lineari e trilobate, in ogni caso raccordate da ricercate rotondità al piano su cui si ancorano.
Progettata dal genio catalano Antoni Gaudí quando già era in piena maturità (aveva 46 anni quando nel 1998 gli industriali tessili Calvet gli commissionarono l’opera) costituisce la sua prima realizzazione di edificio a più appartamenti in quel quartiere chiamato Eixample che si raccoglie attorno al grande asse del Paseig de Gracia, che è un po’ la vetrina della capitale catalana.
Vi si nota quel proliferare di forme libere, fuori da ogni schema pur se allo stesso tempo ricche di richiami storici, che caratterizza lo stile architettonico fortemente “modernista” (così in Spagna è chiamato il Liberty) di colui che sarebbe diventato il massimo esponente intellettuale di Barcellona. La Casa Calvet sarà premiata dall’Amministrazione della città, come “migliore edificio” dell’anno 1900. Indice di come l’architettura di questa metropoli, da tutti ammirata nel mondo, non sia solo frutto del lavoro di buoni architetti, ma anche del fatto che il clima culturale era loro propizio. Saper riconoscere il genio, avere la lungimiranza di lasciarlo lavorare: committenti come i Calvet, Josep Battló e soprattutto Eusebi Güell hanno avuto in quelle circostanze questo grande merito.

Consentirono a Gaudí di portare a compimento la missione di tradurre in forme architettoniche un’idea di bellezza che resterà nella storia dell’architettura come un punto fermo, un momento di inimitabile splendore nel mondo che oggi ancora chiamiamo contemporaneo.
Pietra e ferro battuto: la facciata di Casa Calvet non ha l’assoluta originalità di Casa Battló, non ha la grandiosità di ispirazione che caratterizza la Sagrada Familia, né la vivacità fantastica e colorata di Palazzo Güell o del Park Güell.
Ha però la nitida orditura di un’opera che riassume sprazzi di creatività e richiami stilistici e formali: c’è chi ravvisa qualcosa del barocco nella proposta di volute sottili, nella varia e minuta ornamentazione plastica, nelle agili colonnine a spirale di sapore monastico, accostate ad altre colonnine dalla forma forse più schiettamente e organicamente gaudiniana.
Ma quel che salta più immediatamente all’occhio è il ferro battuto: forse qui si manifesta con maggiore chiarezza l’anima del figlio del calderaio di provincia, che tirò la cinghia per fargli studiare architettura nella scuola da poco inaugurata nella capitale, evoluzione dell’accademia d’arte (a 26 anni Antoni fu tra i primi a laurearsi architetto a Barcellona).
I ferri di Casa Calvet non hanno la strepitosa presenza del cancello col drago del Park Güell, ma hanno un grazia sottile, un’attenta minuziosità di dettaglio che rivela il metodo di lavoro gaudiniano. Metodo che nel decoro trova la sua espressione più compiuta. Sedersi accanto agli artigiani e lavorare con loro: non chiedere opere sulla base di disegni, ma stare lì a dare suggerimenti, ripensare all’idea, a farla nascere poco a poco dalla materia senza disgiungere l’atto manuale dall’astratto pensiero. Da ragazzo già lo aveva fatto aiutando il padre calderaio a forgiare il rame e la latta. Nelle ben più imponenti opere in ferro battuto Gaudí forse portava a compimento anche quanto a suo padre sarebbe piaciuto liberare dalla materia che lavorava per scopi più umili.

Il suo stile “floreale” si articola in forme geometriche, tramite le quali egli ricerca il segreto della natura per trasporlo nella pratica progettuale. Nei balconi di Casa Calvet troviamo la ripetizione: la stessa soluzione è ripresa su tutti i livelli, per tutti gli aggetti di eguale forma. Nel bovindo invece si incontrano elementi più elaborati sotto il profilo artistico: pezzi singoli, asimmetrie, fiori e foglie, nastri e corone di spine, catene, superfici sofferte e gioconde accostate nell’esplosione di una complessa fantasia. Accenni di simbolo: qualcosa che nell’opera di Gaudí non manca mai, dalla “C” di Calvet all’immagine dei funghi (di cui il proprietario era appassionato) e in alto una corona con le teste di san Pietro, san Genesio di Arles e san Genesio di Roma, patroni della famiglia. Una contaminazione tra religioso e profano che ai nostri giorni risulta inconsueta, ma che per Gaudí era normale, nella sua vita intessuta di religiosità (da anni presso la Sacra Rota è pendente il suo processo di beatificazione).
Del resto, scritte inneggianti a Maria si trovano spesso sulle facciate e sui tetti delle architetture moderniste catalane. Oltre a quelle firmate da Gaudí, quelle di Jujol spiccano per allegria: lettere colorate s’inerpicano sui muri come tracce di un pensiero sognante, così sulle chiese come sulle case. Persino sulla Sagrada Familia, che certo non ha bisogno di scritte per dimostrare il proprio essere chiesa: in Gaudí c’è un desiderio di rendere esplicito il messaggio, si pensi solo alla pluralità di croci che compaiono nel Park Güell, in cima alle guglie dei cammini d’aerazione come su elementi in ferro battuto al centro delle fontane. Il simbolo diventa ornamento, decoro puro, espressione estetica prima ancora che significante. Come un grande valzer che avvolge, o un infinito canto che si estende sopra ogni cosa: sembra che nelle opere del maestro catalano si senta l’urgenza di far uscire la totale adesione a uno stile di vita in cui non c’è separazione tra pubblico e privato, o tra religiosità e vita quotidiana.
Nella Casa Calvet si riconosce una omogeneità, una coerenza d’insieme, una partitura ripetitiva
che nella storia dell’architettura ha trovato momenti di altissima espressione (e che forse risultava particolarmente congeniale a una famiglia di tessitori).

È quindi interessante paragonare questo edificio col Palazzo Güell, realizzato un paio di anni prima. I ferri battuti in quest’ultimo appaiono più leggeri, più moderni e fantasiosi: l’edificio è pieno di luce, e i ferri torniti, che costituiscono parte della sua presentazione esterna, sembrano risentirne. Nel palazzo Güell il lavoro fabbrile si manifesta in un continuo rigenerarsi di girandole, in meravigliati estroflettersi di raggiere floreali, in intrecci di sinuosità, quasi una danza di serpenti innamorati. Perché non c’è limite possibile alla fantasia, quando questa si impegna nell’esternare la giocosità del vivere.
La ceramica (altro materiale che Gaudí ha portato alla sua massima espressività, soprattutto nel “trecandis”, il mosaico realizzato con frammenti di risulta) fa da sfondo su cui si proietta l’immagine dei ferri battuti, disegnando uno scenario chiaro, solare, memore delle atmosfere moresche che costituiscono una delle primigenie fonti di ispirazione gaudinana. Luce e colore nel palazzo si fondono ad ampliare gli spazi interni, a invitare il sorriso nella facciata verso la strada. Parlano della ricchezza della natura, della sua rigogliosa, instancabile generosità.
Siamo ancora nella prima parte della esperienza creativa di Gaudí, in cui il richiamo alle forme della natura appare più spontaneo, frutto di emotività o di ricordi storicistici che a volte sconfinano nel mitologico.
In seguito, col progredire delle sue indagini fisico-geometriche (lo si nota nella Sagrada Familia) acquisiranno un rigore più intenso man mano che scoprirà come ragionando per superfici rigate, coniche, ellissoidi, iperboloidi, il progetto architettonico può avvicinarsi al linguaggio del vivente mantenendo la sua intrinseca coerenza compositiva.
Ma nelle case che ha elaborato, forse il progettista-artefice-artista si è trovato a interpretare anche l’animo dei proprietari. A dar forma abitabile a uno stile di vita. I committenti di Gaudí erano tutte persone a lui in qualche modo affini: catalanisti (l’800 è stato il secolo in cui è sorto il moderno catalanismo, che proprio in quest’epoca trova il suo “Rinascimento”) e cristiani convinti di voler manifestare il loro credo anche nell’architettura.
Sia nella Casa Calvet, sia nel Palazzo Güell, troviamo ferri d’arte, oggetti che vanno osservati centimetro per centimetro: così come furono realizzati da un architetto che ha passato tutta la vita in cantiere e ha lavorato sempre con le sue mani. Una persona per la quale la materia era oggetto di continua esplorazione e la forma una meraviglia in continua creazione.

La vita e le opere

Nato il 25 giugno 1852 a Reus, in provincia di Barcellona, in Catalogna, Antoni Plàcid Guillem Gaudí i Cornet visse i suoi primi anni in campagna. Studiò a Barcellona, la capitale catalana. A quel tempo la città era in pieno fermento: di sviluppo industriale e di crescita culturale. Pare che sia stato il decimo laureato alla Scuola di Architettura di Barcellona, all’inizio del 1878, ma già da studente aveva compiuto le sue prime esperienze lavorando come disegnatore per Josep Fontesé e per Francisco de Paula del Villary Lozano. Tra le sue prime opere: lampioni stradali e un chiosco in ghisa. Lavora quindi con l’artigiano Eudald Puntì e per un commerciante di guanti progetta una vetrina espositiva per l’Esposizione Universale di Parigi. Qui l’industriale catalano Eusebi Güell notò e apprezzò l’opera del giovane architetto: i due si conobbero e quello fu il primo passo di una collaborazione che avrebbe consentito a Gaudí diverse, importanti opere (disegnò un padiglione di caccia non realizzato, poi la Finca Güell realizzata a Barcellona nel 1887, quindi il Palazzo Güell compiuto nel 1888, poi la Bodega Güell; il Park Güell, cominciato nel 1900 come progetto di “città giardino” ma lasciato incompiuto e, infine la cripta della Colonia Güell nel 1907).

Nella foto: uno strepitoso balconcino disegnato da Gaudì per il Palazzo Güell (1886-89), dove la decorazione a
scacchi modernista si sposa a ferri battuti di fantasia inseriti in una struttura trilobata tipicamente barocca.
Continua la rassegna di ferro battuto catalano di fine ottocento di palazzi dello stesso quartiere.

In queste foto due stupende immagini del ferro battuto di Palazzo Güell a Barcellona. Qui a lato, la stilizzazione delle foglie di una palma decorativa, la Chamaerops detta anche palma di San Pietro, dal tipico andamento plissettato e
sovrapposto, poggiate su supporti circolari che le valorizzano. Agli incroci della griglia spuntano le nuove foglie a forma di bocciolo: un particolare estremamente poetico che fa capire quanto amore per la natura ci sia alla base delle decorazioni di Gaudì.
Nelle foto sopra lo stile cambia totalmente anche se il ferro battuto si trova nello stesso palazzo Güell, e questa è una costante del modo di progettare di Gaudì: genio e sregolatezza al fine di non perdere l’ispirazione ultima, quella di cantare l’inarrivabile bellezza del creato. In questo caso domina la linea serpentiforme, è quasi una testa di Medusa dove s’intrecciano innumerevoli serpentelli, anche se in realtà si tratta di lunghi pistilli terminanti in una piccola sfera.

Nel 1882 Gaudí lavorò nello studio di Joan Martorell che l’anno successivo gli permetterà di entrare come architetto capo nel cantiere della Sagrada Familia, già impostata secondo canoni neogotici: due anni dopo ne diventerà il progettista principale e in breve riformerà totalmente il progetto, facendolo suo.
Nel 1889 realizza il Colegio de las Teresianas a Barcellona. Nel 1900 completa la Casa Calvet e imposta il progetto per la Torre Bellesguard che sarà completato cinque anni dopo. Nel 1904 realizza la prima sala cinematografica di Barcellona e comincia la ristrutturazione della Casa Battlò (che durerà due anni). Nel 1905 comincia a lavorare per la Casa Milà detta “La Pedrera”, a due passi da Casa Ballò. Nel compiere questi progetti, oltre che l’edificio, realizza anche tutto l’arredo: questo oggi è visibile nelle due case, che sono in parte musealizzate, e nel museo a lui dedicato realizzato nella casa entro il Park Güell dove abitò per alcuni anni. Si dedica con crescente intensità alla Sagrada Familia, nel cui cantiere si trasferirà a vivere. Muore nel 1926, dopo essere stato investito da un tram ed è sepolto nella cripta della Sagrada Familia. La Sagrada Familia è ancora incompiuta: il cantiere è portato avanti seguendo i suoi modelli (ne studiava la realizzazione su modelli in gesso).

Condividi

Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza sul nostro sito web.
Puoi scoprire di più su quali cookie stiamo utilizzando o come disattivarli nella pagine(cookie)(technical cookies) (statistics cookies)(profiling cookies)