Salvo Giunta



L’attuale situazione economica, l’apertura di nuovi mercati, il post-fordismo e la diffusione delle problematiche ecologiche, hanno prodotto una riflessione rinnovata sul senso del fare progettuale. Da un’idea di sviluppo sostenibile che coincideva con il solo miglioramento ambientale, si è passati a una concezione che comprende ogni tipo di attività,
consumi e comportamenti all’interno del sistema produttivo, dove non si parla più di cose (automobili, piatti, lavatrici) ma di azioni (muoversi, mangiare, lavare) e interazioni (tra persone, cose e ambienti).1
In quest’ottica, l’interpretazione dei temi della contemporaneità delinea un’intensa attività di ricerca e sperimentazione progettuale. Queste prospettive sottolineano che le scelte dell’uomo mettono in gioco, oggi più che mai, l’equilibrio delle relazioni tra uomo e natura, con effetti sia in campo sociale sia in campo economico.
Una attenta attività progettuale che dispone di opportunità d’azione assume valenze socio-culturali rilevanti. Si tratta di segnali di cui intuiamo certamente la portata, senza però conoscerne o potere controllare gli esiti.
Chi scrive è un progettista e designer di sistemi produttivi locali. I miei studi sono incentrati sul design dei sistemi legato alle condizioni future di sostenibilità ambientale e sociale.
Questa breve presentazione precisa il mio un punto di vista, necessariamente ‘viziato’, che concepisce lo spazio come il luogo di sperimentazione di quei passaggi attraverso i quali la progettazione e il design dei sistemi2 si influenzano a vicenda.
Design inteso come competenza disciplinare specifica, è un processo che media tra le esigenze sociali/contestuali e quelle tecnico/produttive ed economiche delle aziende, alimentando nuovi ambiti tra innovazione e sviluppo. Per questo, il progettista è il regista di un insieme di competenze diverse legate a necessità condivise, come nel caso dell’emergenza ambientale.

E. Peressutti, Casa ideale, 1942
1 ingresso – 2 soggiorno – 3 pranzo – 4 cucina – 5 ripostiglio – 6 bagno
Le Courbusier, Casa La Roche
Misura

Proverò a raccontarvi la mia concezione dello spazio nei luoghi del progetto attraverso alcuni esempi noti dell’architettura di ogni tempo, attraverso alcuni libri della mia formazione, attraverso alcuni viaggi, per descrivere scenari di vita nel cui ambito noi progettisti, da registi, dobbiamo dare risposte puntuali e pertinenti.
Il primo esempio è casa La Roche (1923) realizzata da Le Corbusier per due clienti, il proprio fratello e il signor La Roche. Prendo spunto da questo esempio famoso per delineare un concetto che sarà esplicitato nel seguito di questo breve scritto.
Le Corbusier realizza le due case contigue secondo un programma funzionale ben preciso. Una dal ‘taglio moderno’ per il fratello, l’altra, dotata di una promenade architecturale, per il signor La Roche.
La Roche era un uomo affascinante, colto, non troppo alto e appassionato di pittura. Voleva usare la sua casa per intrattenere gli ospiti e forse per realizzare qualche buon affare, come ad esempio vendere qualche pezzo della sua collezione.
Di tutto questo Le Corbusier è consapevole, anzi, mi piace pensare che il piano di arrivo della scala, in aggetto nello spazio a doppia altezza della hall, fosse pensato come un ‘ambone’, un ‘luogo alto’ per vedere ed essere visti, per catturare l’attenzione e mostrare qualche quadro posto in vendita.
Oppure, come non ricordare la misura di una Isotta Fraschini3 che ritroviamo disegnata nella pianta di villa Savoye? O, ancora, il rapporto con le innovazioni tecnologiche che, in quel periodo, era sempre mediato: il telefono da una centralinista, l’auto dall’autista.4
Ci ritorna in mente un concetto esposto da Rogers in una mostra del 1951 alla Triennale di Milano.
Nel pannello posto all’ingresso si poteva leggere: Questa sala è dedicata all’architettura, espressione concreta dell’uomo, sintesi della sua misura fisica e spirituale. La misura fisica dell’uomo determina le dimensioni necessarie dell’architettura, è la misura costante, dovuta alle nostre condizioni anatomiche e fisiologiche. (…) Uomo, architettura,
uomo, ecco il ciclo continuo dell’origine, dei mezzi e dei fini.5
Nella Casa Ideale (1942) di Enrico Peressutti, pubblicata sempre da Rogers nel testo fondamentale Esperienza dell’architettura si evidenzia il rapporto tra ‘vita e servizi’, due parti distinte che si integrano nel quotidiano. Ma oggi, nelle nostre città, quali sono i servizi che arricchiscono il nostro quotidiano? La ricerca di Ezio Manzini sul Quotidiano
sostenibile6 ci dà lo spunto per riflettere sui modi dell’abitare. I programmi funzionali dei sistemi produttivi locali influenzano gli spazi del reale che ci circonda.
Si possono fare degli esempi: se il ristorante prende il nome di atelier alimentare, lo stesso luogo si modella secondo il nostro tempo. Si da più spazio alla socializzazione mediante il tavolo conviviale e attraverso cucine pronte a ospitare i novelli cuochi e gli ospiti.

S.G. Facoltà di Architettura di Palermo

S. Giunta. Progetto per Vema
F. Purini. Masterplan di Vema

Si va con gli amici, si comprano i prodotti, si cucina per loro, si mangia e si conversa, si paga e si va via. I piatti sporchi, ma anche tutte le manutenzioni, compresi i rifiuti, sono a carico dell’azienda atelier alimentare.
Questi temi fanno parte di un sistema più ampio in cui le scelte umane, le dinamiche storiche e le leggi naturali si integrano in un destino dagli esiti aperti, dove il campo di pertinenza del design dilata i suoi confini disciplinari dal prodotto alla costruzione del sistema di valori verso cui bisogna orientare i processi di innovazione.
Oggi però, consumi e divertimenti sembrano essere tra gli elementi- cardine di un modo di vivere in cui a una crescente quantità di informazioni corrisponde sempre meno il senso collettivo dello spazio architettonico e dell’abitare.
Non è ingiustificato legare al design dei servizi una possibile ripresa culturale, nell’esercitare, rovesciando l’attuale tendenza, la possibilità di intervenire nel progetto della città.
Mi tornano in mente delle realizzazioni che ho ammirato in qualche palazzo del centro storico di Lisbona o Barcellona, che tengono conto della distanza sempre minore che separa i luoghi di lavoro dai luoghi dell’abitare. Lo spazio non diventa mai luogo finché la presenza e l’uso degli esseri umani non lo vive, cambiandolo e conferendogli identità, rendendolo diverso con i propri oggetti.
Alcune tracce di questi ragionamenti sono utili per individuare i sistemi dei servizi,7 quali possibili elementi ordinatori che informano organicamente nuovi modi di abitare.
Essi sono una sorta di ‘gemmazione’, in quanto sviluppano rapporti tra il design dei sistemi e la complessità dei livelli di relazione.

S. Giunta. Particolare degli orti
S. Giunta. Progetto per Vema

Soprattutto negli edifici pubblici, oscillando tra le suggestioni e la soluzione, tendono a fare emergere memorie e allo stesso tempo ad ampliare i valori delle abitudini nelle relazioni sociali.
Il design dei servizi, quindi, risulta un condensato di significati che si adatta ai bisogni reali: da un lato, rileva ed esaspera il concetto di funzionalità, mentre dall’altro sposta il campo delle prestazioni verso una comunicazione giocata su più aspetti. In questi percorsi progettuali, acquista centralità la fase di concept, in cui l’attività di ricerca e sperimentazione ha maggiori possibilità di produrre risultati innovativi.
Nel mio ultimo progetto per la città di VEMA, esposto alla X Biennale di Architettura di Venezia, ho provato a fare tesoro di questi insegnamenti dove lo spazio degli orti definisce il tessuto connettivo di VEMA. Si tratta di un sistema poroso e labirintico, disponibile a un processo di progressiva appropriazione da parte dei futuri abitanti, una struttura aperta che reinterpreta, aggiornandolo all’attualità, il parco della Ville Radieuse di Le Corbusier. Tale spazio si integra con micro-strutture di servizio, destinate a moltiplicare le opportunità di scambio interindividuale. Con la consapevolezza della misura umana per lo spazio del reale, si intrecciano persone, gesti quotidiani, socialità e desideri.
Dalla presa di coscienza dei problemi, e soltanto da qui, l’architetto potrà trarre le forme che aderiranno ai modi di vita della sua società.8

1. Ezio Manzini, Il mondo cambia. Il design si adegua. Il design italiano (per ora) no, in Palermodesign, n. 2 aprile 2007
2. Design sistemico di prodotti servizi e comunicazione. Significa cioè design strategico e interaction design
3. Società automobilistica sorta a Milano nel 1900, produsse automobili che parteciparono alle competizioni sportive cogliendo prestigiosi successi; nel 1908 vinse infatti la Targa Florio e trionfò sul circuito statunitense di Long Island
4. Patrice Flichy, L’innovazione tecnica, Feltrinelli, Milano 1996. Flichy cita il caso del telefono, dell’automobile e della fotografia, strumenti che all’inizio la borghesia non desiderava maneggiare liberamente (il rapporto con la tecnica era mediato dalla telefonista e dall’autista), mentre il grammofono è fin dall’inizio uno strumento di massa progettato come tale. La radio era allora l’unico mezzo di comunicazione affermato con piena sicurezza, e così il telefono. Sono tutti e due strumenti, dice Flichy, che spostano progressivamente l’asse della comunicazione familiare alla comunicazione individuale, e questo è il fatto sociale che s’impone insieme a quello tecnologico
5. Pannello d’ingresso alla sala architettura, misura dell’uomo, Milano IX Triennale 1951, pubblicato in: Ernesto Nathan Rogers, Esperienza dell’architettura, Giulio Einaudi Editore, Milano 1958, ed. Skira, Milano 1997, p. 315
6. Ezio Manzini, Francois Jégou, Quotidiano sostenibile, scenari di vita urbana, ed. Abitare, Milano 2003
7. Ad esempio il Centro Comunale di Raccolta dei rifiuti che è destinato a divenire parte integrante delle abitudini dei cittadini. A tal fine il CCR dovrà essere facile da raggiungere e dovrà possedere requisiti di accessibilità, identificazione e agevolezza nell’operazione essenziale del disfarsi dei rifiuti. Dovrà essere strumento di promozione di interessi complementari (valutazione economica dello scarto) e consentire lo svolgimento di attività direttamente connesse alle problematiche dello smaltimento ecosostenibile dei rifiuti. Dovrà, infine, includere servizi per le esigenze sociali di ogni specifica realtà urbana (laboratori di ricerca e progettazione ambientale di quartiere). Il CCR contribuirà quindi alla nascita di una centralità urbana nuova, poiché gli abitanti avranno nella città, così come avviene per alcuni servizi essenziali quali la scuola, la posta, la delegazione municipale, ecc., un preciso contesto in cui non solo conferire i rifiuti domestici, ma anche ampliare interessi personali, rapporti e relazioni, con funzioni e cono
scenze collegate alla biosostenibilità ambientale e abitativa. L’ubicazione, l’accessibilità e la qualità del sito sono condizioni necessarie alla realizzazione del CCR, ma devono essere accompagnate da una significativa progettazione architettonica, il cui compito
è quello di rendere attrattivo lo spazio Cfr. Pasquale Culotta, Santo Giunta, L’architettura urbana dei CCR. Strategie e progetti per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, ed. L’Epos, Palermo 2006
8. Da Franco Albini, Le mie esperienze di architetto nelle esposizioni in Italia ed all’estero; lezione tenuta allo IUAV in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1954-55, pubblicato dal Il sole 24 Ore – Domenica, 8.10.2006 n. 272, p. 51

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