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L’abbellimento dello spazio pubblico Prima di iniziare a esaminare il problema dell’arte civica, si potrebbe richiamare alla memoria l’esordio e il tramonto dell’ idea della città come opera d’arte. Nell’affrontare i rapporti tra arte e città nel mezzo di un decisivo processo di trasformazione non sembra inopportuno ricordare alcuni aspetti della città del passato: sono presenti poiché le città sono strutture sedimentarie e molte parti della città storica continuano ad essere abitate. Viene meno, semmai, la nostra capacità di vedere e non è difficile immaginare che molti, pur vivendo nel mezzo della sostanza edilizia della città tradizionale, non riescano a percepire che in maniera debole e distratta la realtà in cui si trovano. Per questo vale la pena ricordare per sommi capi alcuni presupposti della costituzione dello spazio urbano tradizionale, lo spazio che forma la sostanza edilizia della città sette-ottocentesca, ad esempio, tuttora una parte consistente della città europea. Per introdurci nell’argomento possiamo risalire alle prime trasformazioni cinquecentesche, proseguite con relativa continuità sino all’ottocento (fintantoché nei primi decenni del nostro secolo il sistema dell’urbanistica tradizionale non viene sovvertito). Possiamo far risalire queste pratiche alle trasformazioni della Roma del rinascimento, con le grandi opere innovatrici intraprese alla fine del ’400 da Sisto IV, detto ‘Restaurator urbis’, e proseguite dai papi successivi sino al ‘piano’ di Sisto V, nella seconda metà del cinquecento, con i famosi tracciati realizzati con finalità eminentemente religiosa che costituirono successivamente l’ossatura della Roma barocca. Con questi interventi, è la città in quanto tale ad essere considerata oggetto di un intervento complessivo. È nel quadro di questa azione urbanistica che viene messo a punto un programma destinato a dare forma allo spazio pubblico. Vediamo all’opera un proposito di trasformazione urbana che agisce direttamente su strade e piazze, trasformandole in uno spazio altamente formalizzato.1 Tale processo investirà nel secolo successivo molte città europee (ma anche le città di altre parti del mondo collegate con il dominio europeo) dando luogo alla cosiddetta città barocca. Siamo nella fase del passaggio dalla città mercantile alla forma della Città di Stato nella quale si realizza quella occupazione dello spazio pubblico da parte dello Stato o della Chiesa. Nella costituzione del nuovo spazio pubblico le sedi del potere centralizzato sono un elemento decisivo per la formalizzazione dei nuovi rituali estetici e di potere. Per immaginare la portata del cambiamento dobbiamo pensare L’ Arte pubblica Come reagire a questa caduta di rappresentatività dello spazio pubblico prodotto dall’estetica dell’ embellissement, cosa fare al momento in cui la tradizione dell’arte civica viene meno? Una soluzione è quella di interferire con lo spazio urbano, distorcerlo, produrre una sorta di disturbo occupandolo con un messaggio privato. Porre in punti cruciali della città un’arte che, sviluppatasi nella ‘galleria privata’, cerchi non solo un luogo di esposizione all’aperto ma una interferenza significativa nei confronti dei modelli di rappresentazione da contestare è l’ipotesi delle sculture, delle installazioni di Richard Serra. Poste sovente in spazi pubblici rilevanti, le opere di Serra si prefiggono lo scopo di ridefinire la specificità di tali luoghi entrando in conflitto con aspettative, pregiudizi estetici, comportamenti. Che siano poste di traverso ad una strada o nel mezzo della Federal Plaza di New York (Tilted Arc, 1981), tali installazioni rappresentano il trasferimento di una sensibilità privata negli spazi pubblici; sollevano un problema politico, interferiscono con gli standard di sicurezza, impediscono la trasparenza, deviano percorsi. Sovente destinate a suscitare polemiche, molte opere di Serra sono di fatto confinate in luoghi marginali, come vedremo anche per altre esperienze, oppure sono destinate a ritornare negli spazi controllati delle gallerie e dei musei, o, come nel caso della installazione della Federal Plaza, ad essere rimosse. Per questa via l’arte entra nello spazio pubblico come una installazione, ne costituisce una interpretazione, o una contestazione a seconda dei casi, può limitarsi a soprassegnare lo spazio (come nel caso di Buren), cerca il confronto tra la cultura altra – o ‘alta’ – e lo spazio ‘basso’ dei comportamenti di massa. È in questo confronto, è da questa intenzione pedagogica, che i conflitti si generano e scattano i meccanismi di espulsione. Oppure, in rare circostanze, tali inserimenti vengono assorbiti dallo sfondo, rientrano a far parte del contesto metropolitano con i suoi segni pubblicitari, le sue superfetazioni tecnologiche, i segnali di circolazione, le barriere, le presenze tecniche.
Il tentativo di lavorare con i materiali stessi di tali deiezioni metropolitane, di operare adottando i segni delle manifestazioni comunicative dello spazio pubblico contemporaneo – totem pubblicitari, insegne, manifesti, scritte … per ‘trasmettere’ altri messaggi è l’obbiettivo di Barbara Kruger (da vedere anche come critica dei compiacimenti o delle collusioni della pop-art di un Claes Oldemburg) . Adottando lo stesso sistema di segni del contesto, l’efficacia del messaggio artistico dipende dalla capacità dell’artista di contestare quello stesso codice, di introdurre scarti imprevisti nel messaggio. Se l’arte, in questo modo, si trova collocata nel campo agonistico nel quale avviene la competizione degli altri segnali (soprattutto pubblicitari) essa metterà in campo sue strategie di differenziazione. Proprio perché si tratta di una intrusione, si cerca di differenziare l’intervento artistico dagli altri messaggi. Nel caso di Barbara Kruger i procedimenti di presa di distanza possono essere cercati nel contenuto del messaggio, la parte scritta: critica, antagonista, poetica, e in ogni caso fuori contesto. Altre strategie consistono nell’operare uno scarto attraverso una particolare scelta della dislocazione o della restituzione grafica del messaggio, oppure operando cambiamenti di scala, o altro. O perché, al contrario, si occupa abusivamente un luogo deputato come un tabellone elettronico a Time Square. In questo caso, come anche in quello dei lavori di Jenny Holzer, il cui mezzo artistico sono le parole che scorrono su schermi elettronici, l’opera si confronta con l’apparato della comunicazione urbana e territoriale, interferisce con il sistema dell’informazione grafica introducendovi correttivi sia visivi che testuali. La Holzer combina l’evanescenza del linguaggio con la forte presenza fisica di simboli LED per creare opere provocanti, talvolta sconcertanti. Assumendo il sistema della comunicazione urbana come sua propria referenzialità, anziché opporvisi, questo lavoro tende a mettere in luce le possibilità di un uso alternativo di questo stesso apparato, lavora all’interno di un processo spingendolo in avanti, forza il sistema comunicativo della metropoli contemporanea alla ricerca di momenti emancipativi. Un luogo antagonistico allo spazio concitato della comunicazione metropolitana è indubbiamente il parco. È attraverso lo sguardo di alcuni artisti come Mary Missche si cerca di superare la astrazione autoreferenziale, quella perdita del sito che ha reso al tempo stesso monumentale e nomadica la scultura modernista.4 A differenza dei minimalisti, che in genere si sono dedicati a singoli pezzi astratti ‘Miss ha tentato di costruire non oggetti ma luoghi. In teoria questo approccio dovrebbe consentire a spazio e memoria di condensarsi in forme che comincino a suggerire qualcosa che trascende, ad affermare qualcosa che non sia soltanto la propria esistenza oggettiva. In contrasto con le forme monolitiche di artisti quali David Smith, Donald Judd e Richard Serra, i progetti di Miss rappresentano altrettanti tentativi di coinvolgere l’osservatore costruendo non un monumento totemico, ma un intero ambiente’.5 Miss si richiama ad artisti quali Nancy Holt, Alice Aycock e Richard Fleischner. Ciò che li avvicina è il tentativo di coinvolgere l’osservatore riferendosi a strutture note, in qualche modo cioè chiedendogli di condividere un linguaggio comune. ‘Questi artisti’, afferma, ‘(Holt, Fleischner, Trakas, Aycock e Armajani) sono più interessati al coinvolgimento dell’osservatore nelle strutture che alla mera costruzione di oggetti da guardare. Il loro stile è meno autoritario rispetto a quello degli scultori che li hanno preceduti; le loro opere non sono più monolitiche, e l’immaginario cui attingono richiamandosi a ponti, cortili o edicole le rende accessibili. La differenza di atteggiamento più importante è che questi artisti cercano di stabilire un dialogo con il pubblico partecipando agli incontri con la cittadinanza, alle sedute delle commissioni di piano, insomma calandosi in situazioni molto pragmatiche. 1. Anthony Vidler, The scenes of the Street: Transformations in Ideal and Reality, 1750- 1871, in on Street, The MIT Press, 1978.
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