Oltre 750 anni di storia

L’avvio della colonizzazione Walser delle Alpi è testimoniato da
un antico documento che consiste di una pergamena perfezionata
e datata Bosco Gurin 10 maggio 1253 che costituisce il primo
documento conservato e tramandato fino a oggi in originale.
L’avvenimento così documentato fu la consacrazione della
chiesa-ospizio, costruita nel territorio di Quadrino (poi Gurin),
dedicata a San Giacomo di Galizia e al Beato Cristoforo (santi
protettori entrambi dei pellegrini che si avventuravano talvolta
attraverso le Alpi per raggiungere le lontane mète di culto dell’Europa
cristiana).
Alla consacrazione partecipò la comunità di sedici capifamiglia Walser che si impegnavano a custodire la chiesa-ospizio. Quella gente Walser da poco tempo si era insediata in quel luogo provenendo dalla Val Formazza, dove erano pervenuti dal Vallese attraverso il passo del Gries (parallelamente a movimenti migratori attraverso il passo del Monte Moro o attraverso gli antichi sentieri che poi diventeranno il passo del Sempione che portarono altra gente Walser dal Vallese a Macugnaga e di lì poi ad Alagna e oltre). Anche sulla base di tale documentazione si può ricostruire che, proprio tra il finire del XII e l’inizio del XIII sec., i Walser dell’alto Vallese avevano intrapreso quella grande migrazione che li porterà dapprima a circondare tutte le valli meridionali del Monte Rosa di insediamenti stabili e permanenti d’alta quota (dove fino a quel tempo arrivavano a stento le greggi al pascolo negli alpeggi) per
poi espandersi, di insediamento in insediamento, un piccolo ‘dorf’ dietro l’altro, di colle in colle, di monte in monte, di valle in valle, dalla Formazza al Gottardo alle Alpi Centrali e di lì ai Grigioni e di lì al Vorarlberg. Con i Walser le alte Alpi, cioè le terre d’alta quota alla testata delle valli, dove prima erano soltanto residui morenici, terreni rocciosi e petrosi e selve intricate, divennero abitate e coltivate. È quella l’epoca in cui si passa dalle Alpi ‘attraversate’ da militari, pellegrini e mercanti, alle Alpi ‘vissute’. Per vivere a quell’alta quota i walser, già portatori di una propria
identità culturale, si fecero inventori di nuove risorse tecno-culturali (una nuova agricoltura d’alta quota, una nuova architettura, una nuova pratica territoriale d’irrigazione, drenaggio, sterraggio, ecc. al limite dei ghiacciai, trasformando dirupi scoscesi e selvosi in terrazzamenti di prati a pascolo e a boschi coltivati). La grande avventura della gente Walser è tutta improntata allo spirito di ‘libertà’: essi scelsero la sorte dell’avventura nelle alte Alpi per conseguire la propria indipendenza facendosi liberi come il vento delle alte cime, pur a costo di una fatica estrema. Di tale grande tradizione culturale si rischia di perdere le tracce attraverso lo spopolamento dell’alta quota a cui stiamo purtroppo assistendo. Tuttavia, per iniziativa principalmente di una rinascita storiografica di tale cultura, sono riemersi alcuni i focolai di rinascita delle tradizioni Walser anche nel mondo delle valli del Monte Rosa, dove fiorirono alcune delle più vivaci comunità Walser (come Macugnaga, Alagna, Rima, Rimella, Gressoney, Ayas, ecc.). Di qui l’importanza della riscoperta di quelle “reliquie” che sono i documenti storici di tale civiltà dei coloni Walser: “reliquie” che devono non solo essere custodite come testi “sacri” di una storia civile che occorre “salvare”, ma anche essere rivitalizzate come fermenti di nuova cultura delle Alpi.

Prof. Luigi Zanzi, docente Università di Pavia

 

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