Nicola Pagliara: l’antica radice del moderno – Casa “F” a Santa Maria di Castellabate, Salerno

ARGOMENTI DI ARCHITETTURA  ISSN 1591-3171  N. 6/2020
DOI: 10.13140/RG.2.2.33022.31048

«Pagliara appartiene piuttosto a quel gruppo di maestri della terza generazione
che hanno compreso, fin dagli anni Cinquanta, che per uscire dal vicolo cieco in 
cui si trovava l’architettura era indispensabile rivolgersi ai pionieri, rimescolare 
le carte e indagare nei sotterranei dell’architettura moderna, in quei luoghi in cui
 il moderno aveva iniziato ad agire non ancora vincolato all’estremismo che lo ha 
condotto all’azzeramento dei rapporti con la tradizione».
 Paolo PortoghesiI grandi Architetti del ‘900

ABETI Maurizio

Abstract
Per Nicola Pagliara la forma è l’obiettivo della sua progettazione. Ma questa questa forma architettonica non può essere ricercata soltanto come un fatto a sé, come un’entità astratta. Essa, con i suoi contenuti autonomi, è inevitabilmente avvolta dalle relazioni con il suo contesto, che è la base su cui si costruisce, il supporto fisico, ma contemporaneamente è destinata a modificare la sua realtà, quest’ultima avviene non secondo un rapporto neutrale ma come proiezione nel futuro.
Fare architettura per Pagliara non comportava però soltanto la necessità di individuare un rapporto e di trovare una concordanza con l’ambiente fisico, sia nella dimensione più ampia, estesa ai caratteri generali esistenti nella città o nella regione o nell’ambiente cilentano che in quella più definita, riguardante il “sito” in cui una nuova opera deve sorgere.
Come in questo caso occorreva portare avanti una precisa ricerca di una nuova configurazione per l’insieme che comprendeva l’opera e di cui essa veniva a costituire una parte: il manufatto aggiunto all’insieme “urbano”, insieme in gran parte artificiale, ma in quel clima, in quel luogo geografico.

Introduzione
Nicola Pagliara (1933 – 2017), architetto e accademico napoletano, è stato una personalità tra le più importanti della cultura architettonica partenopea a partire dagli anni 60 fino al secondo decennio del ventunesimo secolo. Grande conoscitore dell’architettura organica statunitense, in particolare dell’opera di Frank Lloyd Wright e di Louis Henry Sullivan. Infatti, l’influenza di Wrighte di Sullivan, del loro messaggio di libertà culturale, del loro invito all’autonomia di pensiero, è ben evidente fin dalle prime opere di Pagliara.
Questa impostazione architettonica fu seguita da Pagliara per tutta la sua lunga carriera, e anche attraverso inizi di mutamenti del linguaggio architettonico.
La sua opera è stata quella di un artista che ha operato sempre secondo la sua coscienza e non secondo il gusto corrente. «Un amante della “materia”, dal marmo alle essenze lignee, dal metallo alle pietre, aveva la capacità di trattarle tutte con grande maestria. Tanto che Benedetto Gravagnuolo scrisse di lui: «Pagliara ha attraversato diverse stagioni ideative: dall’età della pietra, all’età del ferro… fino all’età del marmo”»[1] (Fig. 1).

Fig. 1 Biblioteca Tecnico-scientifica dell’Universita degli studi di Salerno.

Lui stesso affermava: «l’architettura è fatta di emozioni e di esperienze trasformate in forma. Ho capito che cosa nella progettazione esulava dall’ambito tecnico, senza escludere l’utile e l’indispensabile, ed erano quei valori in cui la somma dei ricordi e delle esperienze potevano fornirmi materia per farmi costruire immagini. Dopo tanto tempo so che ogni segno tracciato sulla carta non è fine a se stesso, ma è frutto di una lunga storia alle nostre spalle. Ogni linea appartiene alla natura umana, vissuta per uomo e legata di infinite altre storie simili, ma mai uguali»[2].
Ammirò i moduli sottili di Carlo Scarpa, e per loro tramite sognò le creazioni wrightiane e nel 1959 scoprì il Dadaismo e il Surrealismo ed assimilò che c’è «un divertimento di fondo nel costruirsi una vita inventata sulle cose della reale esistenza quotidiana»[3] .
La sua firma non fu solo quella di un architetto d’avanguardia, ma quella di un maestro del architettura moderna. Nel 2008 fu insignito del premio per l’Architettura Sebetia-Ter, sotto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica, dopo aver ricevuto il premio per l’Architettura dell’Accademia di San Luca nel 1979.

Fig. 2 Vista esterna della casa “F”.

La casa “F” a Santa Maria di Castellabate
Quest’opera di Pagliara è stata quella di un artista che ha operato sempre secondo la sua coscienza e non secondo il gusto corrente. E questa casa l’attesta! Costruita non copiando le formule eclettiche allora in voga, ma seconda le esigenze di una vera architettura organica, come la pensava Sullivan, e secondo la tradizione dell’architettura domestica: approccio dell’uomo alla terra, apertura verso la natura esterna, scelta di materiali naturali, aderenza della casa all’uomo.
Un modo di abitare capace di ricreare tutta la potenza di un autentico microcosmo e di coniugare attitudine primitiva, fascino ancestrale, tecnologia e design d’avanguardia.
Come osservò Giovanni Klaus Koenig, storico dell’architettura: «l’architetto ha velocemente ripercorso le sue tappe di memoria: è un processo indispensabile, e Pagliara lo ha vissuto mantenendo sempre, tenacemente, il rapporto significante-significato su un piano reale, la semanticità linguistica non è un problema, la metafora non lo svia. Pagliara è un architetto anche proprio per questo»[4].

La Casa “F”, progettata e realizzata nel 1966, (Fig. 2) ubicata in zona “Lago” di Santa Maria di Castellabate, località turistica in provincia di Salerno, nel Parco Nazionale del Cilento (Vallo di Diano e Alburni), è riconosciuta come la migliore interpretazione delle costruzioni costiere abitative della costiera cilentana e non solo, fu recensita dalla rivista L’Architettura Cronache e Storia di Bruno Zevi nel 1967 e fu inserita tra le più belle ville d’Italia.

Fig. 3 e Fig. 4 Viste esterne della casa “F”.

Si tratta di un esempio di architettura organica di Pagliara, un misto wrightiano-lecorbusiana (Fig. 3 e Fig. 4), che promuove, come vedremo in seguito, l’armonia tra uomo e natura attraverso il design così ben integrato con il suo sito, che la costruzione, gli arredi, e dintorni diventano parte di una composizione unitaria interconnessa. Le linee “artificiali” della Casa “F” si mescolano alle linee del paesaggio, in un equilibrio tra un habitat creato e un habitat naturale, e suggeriscono, nel loro integrarsi, il concetto della villa come estensione del paesaggio, anziché come intrusione.
E questo è un elemento fondante della sua formazione di opera architettonica: il suo rapporto con la natura. Un legame di stretta interdipendenza che vede la sua struttura edificata inserirsi nell’ambiente naturale in modo flessibile ed integrato, ricollegandosi punto per punto alla roccia, alla collina, al mare, all’orizzonte vicino o lontano, determinando una unità organica. Analogamente a quanto avviene nel regno vegetale, quando le piante si adattano e si conformano alle dimensioni, agli spazi, al sole, al vento, nel “luogo” nel quale sono ancorate.
Lo slancio con cui i balconi di cemento della casa imitano e insieme sfidano i letti di pietra orizzontali della rocciosa costiera sulla quale è costruito l’edificio, si accompagna a un’intricata rete di elementi verticali della composizione (i setti murari) che ricordano le forme intrecciate del De Stijl. Renato De Fusco scrive: «…la dissimmetria dei corpi, lo slittamento dei volumi e dei piani rispondono sì ad una volontà conformatrice figurativa, ma riflettono anche, s’adeguano ed esaltano l’organico disordine proprio alla natura del luogo…»[5].
Pagliara ha abbracciato la tecnologia moderna per raggiungere questo obiettivo: la progettazione di spazi di vita che esprime architettonicamente la libertà espansiva della costiera cilentana.
La Casa “F” è qualcosa di più che un pezzo da museo dell’architettura moderna, in quanto, nel suo processo di composizione, nel suo relazionarsi all’apparato scenico costiero cilentano, offre un’architettura pensata organicamente capace di esaltare attraverso il proprio anonimato lo straordinario spettacolo che in essa si svolge.
Da questo punto di vista e in contrapposizione allo spoglio razionalismo, essa è riconoscibile come un’estrema conseguenza dei principi dell’architettura organica, ma applicati con una intuizione creativa, una capacità strutturale e un utilizzo di materiali naturali e locali e nuove tecnologie come anticipo delle architetture del duemila.

Caratteristiche della pietra arenaria e pillole di storia
Da secoli la pietra naturale ha rivestito un’importanza fondamentale nell’edilizia, oggigiorno, però, essa viene riscoperta per la sua grande capacità di conferire agli ambienti (sia interni che esterni) un aspetto naturale e, al contempo, gratificare gli occupanti con un equilibrio psicofisico che solo un materiale naturale riesce a regalare.In particolar modo, la pietra naturale acquista un valore inestimabile, poiché consente di vivere lo spazio come se si fosse immersi in un ambiente incontaminato: l’estetica naturale, ruvida e vellutata, si pone in contrasto con gli ambienti contemporanei e artificiali.
Da secoli la pietra naturale ha rivestito un’importanza fondamentale nell’edilizia, oggigiorno, però, essa viene riscoperta per la sua grande capacità di conferire agli ambienti (sia interni che esterni) un aspetto naturale e, al contempo, gratificare gli occupanti con un equilibrio psicofisico che solo un materiale naturale riesce a regalare. In particolar modo, la pietra naturale acquista un valore inestimabile, poiché consente di vivere lo spazio come se si fosse immersi in un ambiente incontaminato: l’estetica naturale, ruvida e vellutata, si pone in contrasto con gli ambienti contemporanei e artificiali.
Pagliara utilizzò, per arrivare a questa sua architettura, e con illimitata abilità e capacità, non solo il calcestruzzo armato, il ferro e il vetro, ma anche un materiale naturale del luogo: la pietra arenaria (Fig. 5). L’arenarie sono delle sabbie consolidate in quando i loro granuli di quarzo, aventi differenti dimensioni, si sono saldati gli uni agli altri a opera di un cemento naturale, che può avere composizione chimica varia: silicea, calcare, ossido di ferro, e porta tante variazioni cromatriche.

Fig. 5 La scogliera rocciosa in pietra arenaria della località “Lago”, frazione del Comune di Castellabate (SA).

Ovvero utilizzò le pietre cadute sulla spiaggia in seguito alla costruzione del vicino sentiero di Punta Tresino che, lavorate a scalpello in sito da maestranze locali altamente specializzate, conferiscono non solo all’opera un aspetto organico, ma addirittura movimentato, cosa che si abbina bene al vento leggero che spesso soffia sulla costa cilentana.
Comunque c’è un collegamento con la storia locale.
La spiaggia della località “Lago”, frazione del Comune di Castellabate, offre la possibilità di esplorare un importante sito archeologico: l’antica cava del Campo dei rocchi (Fig. 6), dalla quale venivano estratti dei blocchi di pietra “rocchi”, a forma cilindrica, che sovrapposti componevano i fusti delle colonne. Si ipotizza che la cava fosse attiva già nel VI sec. a.C., rappresentando quindi una delle più antiche testimonianze archeologiche del Cilento.

Fig. 6 I “rocchi”, a forma cilindrica, del sito archeologico dell’antica cava del Campo dei rocchi, ©Francesco Adamo.


Strabone, geografo greco vissuto tra il 60 a.C. e il 20 d.C., ci informa che i Dori Trezeni, uno dei tanti gruppi etnici che in antichità fondarono la Magna Grecia nell’Italia Meridionale, esiliati dagli Achei di Sibari, edificarono la città di Poseidonia (che più tardi i romani denomineranno Paestum) e alcuni villaggi fortificati nei territori vicini. Il più importante villaggio fu costruito sul promontorio di Tresino, dove venne elevato anche un grande tempio, eretto nel VI secolo a. C. e dedicato a Poseidone, dio del mare, che i fondatori avevano segnato, con la sua divina protezione, fonte della loro prosperità.

Fig. 7 Dettaglio del fregio del Tempio di Hera a Paestum.

L’insediamento dei Dori Trezeni sul promontorio di Tresino aveva anche una importante funzione di sorveglianza dei confini a sud del territorio della città di Poseidonia.
Il materiale per la realizzazione del tempio, in particolare per la costruzione del colonnato e degli elementi decorativi nel fregio del Tempio di Hera (Fig. 7) (sposa di Zeus e principale divinità di Poseidonia), fu estratto proprio dalle rocce di questa spiaggia e, dopo oltre due millenni, ancora oggi sono distintamente visibili le forme cilindriche, lasciate dopo il prelievo degli enormi massi, e, nell’antica cava, componenti di lavorazione dei “rocchi”.

Descrizione
La Casa “F” (dove la lettera F è la forma derivata da un attento lavoro di adattamento alla morfologia del luogo), sorgendo in frazione “Lago” di Santa Maria di Castellabate, si ritrova a far parte dell’area marina protetta (istituita nel 2009), vale a dire la fascia di mare compresa fra le punte di Tresino e Licosa

Fig. 8 Piante e sezione.

Il progetto è stato sviluppato in una proprietà con 15 metri di pendenza, un angolo di inclinazione di 30 gradi e 700 mq di superficie. Queste condizioni hanno determinato la progettazione della casa e la procedura di costruzione.
Si è trattato di sovrapporre spazi sfruttando l’essenza del vuoto, sospendendo volumi sul terreno, collegando così natura e materia. Questa convinzione di collegare entrambi i concetti ha permesso una relazione costante tra esterno e interno. La nozione di fusione tra topografia e architettura è stata quella che ha modellato il processo creativo e progettuale, cercando il rispetto assoluto per le superfici.
Il complesso architettonico si organizza su tre livelli, connessi tra loro da scale e terrazze sporgenti che si saldano come piani d’appoggio a un nucleo centrale (il “setto” di c.a. centrale), la cui centralità spaziale (non geometrica) diventa l’asse portante, intorno al quale ruota tutta la costruzione.
La costruzione è concepita in tre pezzi sfalsati e incassati nella pietra che si muove trasversalmente nella proprietà raggiungendo radure fino a 14 metri. La posizione in eccedenza tra ciascuno, con movimenti e curve alla ricerca del miglior orientamento e illuminazione, consentono incroci che tollerano la stabilità strutturale e, verso l’interno, un’azione continua che articola i suoi volumi attraverso la detta circolazione verticale centralizzata. Pertanto, la soluzione, nonostante la distanza tra l’ingresso superiore e inferiore, raggiunge un percorso interno ottimale tra le tre piattaforme come se fosse una casa spostata al livello 0,0.
Il programma architettonico obbedisce a uno schema di raggruppamento in tre sezioni. Lo spazio del primo volume: soggiorno, sala da pranzo, cucina, camere da letto, ripostiglio e zona lavanderia. Il secondo contiene: studio e camere da letto e nel terzo da un disimpegno. Su ciascuna “piattaforma” si ottengono ampi terrazzi collegando la vista panoramica principale verso il mare.

Fig. 9 e Fig. 10 La spazialità abitativa esterna della casa “F”.

L’architetto Nicola Pagliara chiamava la sua idea per i terrazzi «facciata abitata» (Fig. 9 e Fig. 10) ed intendeva esprimere che gli spazi dei terrazzi ingrandiscono lo spazio abitativo non solo visibilmente, ma anche praticamente, realizzando la fusione tra interno ed esterno. E c’è ne di più: nella facciata, nonostante il suo insieme di movimenti plastici, complessi ed articolati a livelli diversi, ci sono, appunto, questi grandi spazi a terrazza che assomigliano un po’, guardati da sotto, a specchi d’acqua. Nella progettazione delle loro forme è stata considerata la direzione verso i punti cardinali, per evitare il più possibile l’ombreggiatura.

Fig. 11 Elementi verticali portanti realizzati in pietra arenaria.

L’utilizzo della pietra che giace nell’area è evidente, essendo utilizzata in tutti gli elementi verticali (Fig. 11) che a loro volta funzionano come componenti strutturali (alcune zone sono sostenute da pilastri in c.a. inglobati nella spessa muratura), al contrario degli elementi orizzontali in c.a. alla ricerca di un equilibrio visivo e tettonico.
Stessa logica è la scala interna che con il suo sviluppo in un crescendo armonico verso l’alto, rappresenta volume architettonico puro, perfetta “spirale” in c.a. che funge da trait d’union tra i piani valorizzando gli ambienti e rispondendo alle esigenze del living abitativo, diventando fondamentale elemento di interior design oltre che funzionale.

Fig. 12 I muri esterni in pietra arenaria.

Il ritmo compositivo, il senso estetico, diventano il momento artistico essenziale, infatti la sequenza di blocchi arenacei giallo, bruno-rossastri, intercalati tra la malta, rendono un magnifico effetto di contrasto cromatico, specialmente durante le ore del tramonto (Fig. 12).
I muri rustici esterni in pietra arenaria, di varie dimensione e con superficie ruvida, hanno uno spessore massimo di circa 70 cm. Essi sono stati murati a mano e tenuti insieme e stabilizzati con la malta, una miscela di cemento, sabbia ed acqua. Sono stabili e resistenti ed in grado di sopportare carichi significativi .
La Casa “F”, secondo le idee dell’architetto, è un “ritrovamento più o meno casuale del passante quando passeggia per la cittadina”, un po’ come se fosse un geologo che trova per pura fortuna in un luogo inaspettato il materiale prezioso che cercava da tanto tempo.
La metafora della geologia emerge subito nel caso delle facciate, realizzate in pietra arenaria.
Questi non sono comunque gli unici accenni alla geologia. Le stanze nella casa hanno una configurazione tettonica, come affermava Nicola Pagliara: «ci si può immaginare che gli spazi di soggiorno e le camere siano state spostate verso l’esterno, partendo dall’atrio centrale con sala da pranzo e scala, sistemandoli lì come blocchi rettangolari».
Questo tipo di sistemazione permette il massimo inserimento di luce naturale con la massima protezione dalla luce solare.
A questa apertura verso il mare contribuisce anche l’impronta puristica delle cromie degli interni. L’interior design trasmette e dimostra che Pagliara voleva mantenere tranquilli gli interni per non distogliere lo sguardo del paesaggio circostante.
Contemporaneamente ci sono dei collegamenti estetici tra esterni ed interni, legati non solo all’aspetto fisico, ma al gusto e al senso della forma, creati attraverso il materiale: la pietra arenaria si trova anche sulle pareti degli interni, ma in questo caso con una superficie fiammata. I davanzali e le spalle delle finestre indicano già al “pedone” cosa l’aspetta dentro casa.
Entrando in casa si vive l’esperienza temporale dello spazio vissuto e dilatato in ogni direzione, tale da sviluppare in ogni punto della superficie abitabile la coscienza di quanto accade dentro e fuori. Continuità indescrivibile! Evidenziata ancor più dalle finestre e dai terrazzi che provvedono a far vedere i cambiamenti della natura, chi si trasferisce oggi sulla costa vuole anche percepire le circostanti forze della natura. La forma della casa “F” e la sua verticalità saluta il sole quasi ogni giorno con un applauso. Questa disposizione assomiglia un po’ ad una rappresentazione teatrale con il mare come palcoscenico dove gli “astanti” possono seguire con prassi integrale lo spettacolo quotidiano all’entrata ed all’uscita del sole (Fig. 13).

Fig. 13 La bellezza Interna ed esterna della casa “F”, ©Mariblu B&B, Santa Maria di Castellabate.

Per questo motivo tutto l’impianto tipologico è stato composto in modo che all’interno si aprono ripetutamente degli squarci verso il mare.
Una casa progettata per essere vissuta, intima ed informale, dove la zona giorno principale con i suoi spazi aperti verso il flusso della dimensione del mare, guidano gli occhi verso lo “spettacolo” della natura. Un ambiente equilibrato, organizzato intorno a sé in varie zone con spirito di continuità spaziale. Spirito che si ripete in tutto il contesto edificato: percorsi orizzontali, percorsi verticali, stanze, terrazzi, pareti, materiali, e il paesaggio circostante di cui riesce a captare creativamente le luci, i suoni, i colori, gli odori della natura del posto.
Il capolavoro di Nicola Pagliara continua ad unire la vita umana, la forma architettonica e la natura: come disse Bruno Zevi, essa “è una proiezione del futuro nel mondo d’oggi”.
Attualmente, la prestigiosa residenza ospita un esclusivo Bed & Breakfast, dal nome Mariblu.

Conclusione
Il contributo di Nicola Pagliara fu lungimirante, poche concezioni sono state così feconde come questa casa “F”. Fu uno dei primi ad interpretare l’architettura come il risultato di una definita e cosciente “volontà artistica” che si afferma in conflitto con le esigenze della tradizione e dei beni materiale.
La sua creatività e competenza tecnica si manifesta, in questo complesso abitativo, in un linguaggio compositivo e in un contenuto tipologico all’antipodo rispetto alle forme secolarmente acquisite dalla tradizione e dove gli schemi spaziali, schemi fondamentalmente geometrici e prospettici, sono abbandonati. Pagliara non predispone un blocco ideale, generalmente cubico, di spazio, cingendolo all’esterno e suddividendolo all’interno geometricamente in tante “scatole” giustapposte, seppure di diversa misura e di varia disposizione. Ogni volume della sua costruzione, che è insieme spaziale e figurativo, è, in qualche modo, inventato, irregolare, pieno di colore e di fascino, pieno insomma di architettura organica.

Fig. 14 L’ingresso principale della casa “F”.

Così è la casa “F” (Fig. 14). Non vi si accede per un gran viale prospettico, ma camminando su una serie di selci disposte sul prato; non vi si entra per un ingresso di carattere più o meno monumentale e di disegno regolarmente rettilineo, ma per aperture seminascoste, che possono avere qualunque forma, purché viva, inventata, piacevole. E, all’interno, non si trovano stanze e corridoi infilati l’uno dietro l’altro, ma quello “spazio continuo” che è la dimensione fondamentale: il “grande vano” di tutta questa sua architettura. Con soffitti di altezza e di struttura ineguale; con divisioni realizzate con diverse misure e diverse forme dei vuoti; con aperture verso l’esterno di disegno e grandezze diverse; e con pareti perimetrali senza nessuna ricerca della regolarità, dell’equilibrio speculare della composizione geometrica.
La sua vera invenzione consiste nella creazione di un nuovo spazio, quest’ultimo trasformato o fatto nuovo ha un’importanza relativa. Importante, necessario, conditio sine qua non , è stato creare la condizione per fare dell’architettura moderna uno spazio “rivoluzionario” che sfugge ad ogni composizione, dove tutto è un succedersi di “imprevisti” formali e di puntuali attimi figurativi.
Infine, va detto che l’entusiasmo suscitato dal lavoro di questo architetto rimase circoscritto al mondo di lingua italiana, in particolare al contributo di Bruno Zevi. Gli storici dell’architettura degli altri paesi considerarono, e in parte considerano, l’interesse per un argomento così intangibile come lo spazio fuori dei confini della loro accademica disciplina.
Certamente non è un architettura antica, vecchia, ma di sicuro è attualissima e moderna, grazie ai sui caratteri architettonici come la continuità, la fluidità, la riflessione speculare, la libera comunicazione delle varie parti tra loro e con la natura esterna (Fig. 15).

Fig. 15 Vista mare dalla casa “F”.

Bibliografia
[1] Alessandro Castagnaro, Nicola Pagliara (1933 – 2017), Il giornale di Architettura, maggio 2017.
[2] Francesca Pagliara, Un incontro in ricordo di Nicola Pagliara, Università di Napoli Federico II, 11 maggio 2018.
[3] Bruno Zevi, Cronache di architettura, Editori Laterza, 1979 Roma-Bari, pag. 872.
[4] L’Architettura Cronache e Storia, rivista diretta da Bruno Zevi, anno XI, N 126, Aprile 1966.
[5] Renato De Fusco, Storia dell’architettura contemporanea, Editori Laterza, Roma, 1988, pag. 315.

Indirizzo corrente:
Maurizio Abeti, PhD_ MSc
Professore del Corso di Storia dell’Arte Contemporanea e delle Arti applicate
Universitas Mercatorum 
Piazza Mattei, 10  
00186 Roma (Italia)
e-mail: maurizio.abeti@unimercatorum.it

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