MARCEL BREUER: L’ARCHITETTURA DELLO SPAZIO “SENZA TEMPO” St John’s abbey church in Minnesota (USA)

CHIESAOGGI ISSN 1125-1360 vol.106
DOI: 
10.13140/RG.2.2.20278.29763

ABETI Maurizio (IT)

Architetto e ‹‹industrial designer›› americano di origine ungherese Marcel Breuer (Pécs, 1902 – New York, 1981) è stato tra gli architetti/designer più importanti del XX secolo, tanto da essere considerato tra i maestri che più contribuirono all’affermazione dell’architettura moderna. Entrato nel 1920 al Bauhaus di Weimar, divenne quattro anni dopo, quando la scuola si trasferì a Dessau, docente del laboratorio del mobile e collaboratore di Walter Gropius (Berlino, 1883 – Boston, 1969).
Nel 1935, con l’avvento del nazismo, fuggì in Gran Bretagna e vi rimase fino al 1937 per poi emigrare negli Stati Uniti dove lavorò insieme W. Gropius. A Partire dal 1937 ottenne la cattedra di architettura alla Harvard University di Cambridge, Massachussets. La sua fama si rafforzò nel 1953, quando fu incaricato di progettare insieme a Pier Luigi Nervi (Sondrio, 1891 – Roma, 1979) e all’architetto francese Bernard Zehrfuss (Angers, 1911 – Neuilly-sur-Seine, 1996) il Palazzo dell’Unesco di Parigi; e sempre nel 1953 quando progettò la Chiesa dell’Abbazia di San Giovanni in Minnesota.
Il suo patrimonio architettonico comprende una serie di opere in cemento (materiale che ben presto ne divenne il suo marchio di fabbrica) di cui ne sfruttò totalmente le possibilità strutturali per dare vita a eccezionali creazioni spaziali, contrassegnate da volumi e spigoli taglienti e da facciate geometricamente proporzionate. Parlando della sua architettura dichiarò: “c’è piacere creativo nello ottenere il massimo rendimento da un sistema strutturale. Non equilibrismo, ma una ricerca di opportunità”.
La storia di MarcelBreuer è, si potrebbe dire, la storia stessa di un grande periodo dell’architettura moderna, del disegno industriale e del gusto, dall’inizio (dai tempi “eroici”) sino alle evoluzioni estreme, raggiunte attraverso gli episodi più singolari.
Dedico questo articolo all’Abbazia di San Giovanni in Minnesota perché mi interessa puntualizzare alcuni caratteri di quest’opera: opera estremamente significativa in un iter che dal prerazionalismo, e poi dal primo razionalismo al post razionalismo, dai i primi esperimenti e sviluppi del gusto, sfocia in un’architettura il cui modello strutturale (vedi il campanile) ha le libertà e le creatività della scultura: in gigantesche forme unitarie, in nuovi “giganti” sculturali.
Scultura piena e massiccia nel suo esterno, “vuota” negli interni (invasi che provengono da forme profondamente elaborate), ma animata sempre da una sua dinamicità, della quale si sono visti i segnali nella sede dell’Unesco a Parigi, nel contatto di Breuer con la collaborazione di Nervi.
Si potrebbe dire che, se le espressioni, nelle quali l’impiego totale del cemento come struttura identificata nell’architettura sono in Nervi, italiano e mediterraneo, di un equilibrio classicamente statico, Breuer prosegue quella esperienza procedendo verso movimenti formali, in un romanticismo dinamico dove la forza del cemento non è tanto espressione del suo lavoro strutturale quanto espressione di se stessa, o meglio, quest’opera è significativa non solo di lui ma della sua intera epoca ed oltre.
L’incontro con l’acciaio si conformò, per Breuer, in un’estetica elegante dell’esilità: qui l’incontro con cemento si conforma in brutilità, e ci fa meditare sulla storia stessa della nostra civiltà che è tecnologica e industriale, ma ma che tende a nonesserlo più (in Breuer come in Le Corbusier) lungo la “la via del cemento”. Onde si potrebbe fare anche una storia (attraverso queste opere) del cemento armato.
Breuer in questa costruzione passa simbolicamente da questo cemento strutturale all’interpretazione di un altro cemento: il cemento pietra, il cemento scultura. Non è più nemmeno il ‹‹new brutalism›› cementizio a vista di Le Corbusier, è, in questi blocchi dinamici di calcestruzzo gettato in forme che eliminano la distinzione tra struttura e involucro, una ‹‹new vitalité››.

La pianta della chiesa dell’Abbazia di San Giovanni in Minnesota (iniziata nel 1958 e completata nel 1961) doveva rispondere a tre fondamentali requisiti dei monaci benedettini del monastero di San Giovanni, per i quali il loro obiettivo era quello di creare uno spazio sacro per una liturgia cattolica moderna: l’altare isolato e posizionato al centro, tra il coro dei monaci e i fedeli; il coro dei monaci reso visibile ai fedeli, non nascosto da schermi o transetti, e diviso in due parti, per la comunicazione musicale;
i principali elementi architettonici della liturgia: -fonte battesimale, entrata alla chiesa, confessionali, altare, sede del Presidente- sistemati in simbolica successione lungo l’asse orizzontale della chiesa.
Il primo requisito anticipa uno dei punti focali della riforma liturgica dettata dal Concilio Vaticano II: la partecipazione attiva dell’assemblea che assume l’immagine di una famiglia intorno alla mensa comune (SC124). Questo fuoco liturgico con sua forma architettonica e collocazione esprime una profonda forza significante: come centro focale dello spazio sacro. Ne segna simbolicamente il ruolo sacramentale come cuore spirituale di questo corpo che è l’assemblea, invitandola al “banchetto nuziale escatologico”.
Il secondo requisito ha condotto ad una planimetria di forma ‹‹a campana››, con la parte più larga dal lato dell’ingresso perché si è preferita una chiesa più corta e con posti anche a scalinata, ove i fedeli fossero più vicini all’altare. Vista dal coro, la chiesa sembra anche più breve (le pareti
divergenti controbilanciano la prospettiva) e più raccolta, anche durante
le semideserte funzioni. Questa organicità del suo contenuto tipologico pone in risalto un altro punto della riforma conciliare: la celebrazione Eucaristica deve facilitare la partecipazione piena e attiva dei fedeli nell’insieme, favorendo “il regolare svolgimento dei compiti di ciascuno” (Istruzione “Inter ecumenici”, 1964, cap.V ).
Il terzo requisito esplicita una ri-scoperta di una specifica qualità simbolica: l’edificio religioso non è solo strutturato, come dicevo poco sopra, da uno spazio liturgico centrale, polarizzato centripetamente sull’unica mensa eucaristica, ma è anche caratterizzato da una tensione escatologica assiale (che d’altronde, è stata il carattere fondamentale dell’architettura cristiana del passato), che partendo dalla porta e passando per il fonte battesimale, l’altare e l’ambone, termina con la sede del Presidente, rappresentando in una visione simbolica sacramentale, il cammino d’iniziazione cristiana (porta = catecumenato, sede = cresima = confermazione).
Aggiungo un altro elemento di novità raggiunto da Breuer, che al di là di queste due dinamicità dello spazio, la centralità spaziale intorno all’altare da un lato e dall’altro l’assialità, è la funzionalità di questa chiesa: un’aula sacra luminosa, bella, artisticamente pregevole, invitante, priva di ostacoli tecnici (divisori, pilastri, colonne blocco vista, muri, ecc.); e in questa prospettiva e nel rispetto dell’assemblea convocata l’esigenza di funzionalità acquista il proprio significato: funzionalità dell’edificio-chiesa (funzionalità non riscontrabile, ancora oggi, nella “potenza creativa” di alcuni autori di progettazioni di chiese).

Infine, ancora un altro elemento religioso, importante, di questa composizione di Breuer e la parete-vetrata istoriata esposta a nord della chiesa (prospetto principale) con sovrapposta struttura in cemento a nido d’ape, progettata dal professore d’arte, Bronislaw Marion Bak (1922-1981), la quale non solo svolge la funzione di separazione tra il ‹‹vuoto›› dell’edificio e la sua struttura esterna, il suo ‹‹involucro››, ma realizza, attraverso l’arte musiva che la caratterizza, un ruolo di trasmissione ed in qualche modo rivela e valorizza, nello spazio, quel senso del mistero. Quindi, non solo manifestazione solo d’irradiazione luminosa o un qualche senso poetico, ma diventa parte costitutiva dello spazio; un elemento architettonico costruttivo capace di organizzare e temprare la ‹‹cavità›› dell’edificio-sacro.
A questi principi liturgici si affiancano i due concetti architettonici che hanno guidato Breuer nella progettazione: il mettere in evidenza gli elementi strutturali sia all’interno che all’esterno,-come fattori diretti dell’espressione della chiesa, col risultato di potenziare un livello organico qualitativo totalmente nuovo, in cui il naturale carattere dell’oggetto geometrico non si produce a protagonista, ma piuttosto come un’articolazione della stessa massa volumetrica secondo un gusto e un ritmo e di concepirlo secondo la sua tecnica (qui sia le pareti che la copertura sono in grandi piastre di cemento, da quindici a venti centimetri di spessore, irrigidite dalla piegatura); il dare nuova funzione al campanile: non come un semplice manufatto di supporto per le campane, ma come elemento costitutivo della progettazione; ed è, con il suo archetipo architettonico, collocato come un grande bandiera simbolica di forma trapezoidale piatta “a protezione” dell’ingresso della chiesa.
(La Nota Pastorale della CEI. in proposito, al n. 22 recita testualmente: ‹‹Il campanile non deve essere escluso dalla progettazione; può costituire un qualificante componente di riconoscibilità dell’edificio religioso›› (CEI, La progettazione di nuove chiese, 1993).

La chiesa è spaziosa; alta, all’interno circa venti metri, è larga cinquanta per 1500 fedeli. L’aula liturgica, con la sua apparente rigidezza compositiva, esalta la flessibilità. Il suo interno è privo di decorazioni e di sovrastrutture: la finitura delle sue pareti è la superficie grezza (o a vista) del cemento, studiato però nel gioco decorativo delle impronte delle casseforme; i pavimenti sono in cotto, le pareti divisorie in cemento; il legno dei banchi è quercia scura.
Nel rapporto tra sistema compositivo e contenuto simbolico la chiesa dell’Abbazia di San Giovanni risponde alle istanze dalla riforma conciliare dell’architettura sacra moderna: nella figurazione architettonica evoca il linguaggio di un edificio-chiesa omogeneo e razionale tale da evolversi nello spazio urbano come segno manifestativo di ‹‹luogo›› sacramentale e nello schema tipologico una rivoluzione radicale della struttura spaziale degli edifici-ecclesiali pre-conciliari.
In rapporto alla storia dell’architettura, tutto il complesso-sacro non perde mai la sua “vitalità” e “presenzialità” come opera architettonica e si offre nel processo artistico-scientifico come patrimonio dell’evoluzione dell’architettura religiosa. A tal punto che Ieoh Ming Pei, 1917, (uno degli ultimi grandi maestri dell’architettura modernista) affermò che l’abbazia di San Giovanni di Breuer sarebbe potuta essere classificata tra le più grandi realizzazioni architettoniche del XX secolo.

Si ringrazia Richard Anderson che nel rispetto dei Diritti di Proprietà Intellettuale, ha dato il consenso della pubblicazione del suo reportage fotografico.

Bibliografia:

  1. G. C. Argan, L’arte moderna 1770/1970, Firenze, 1970, p.343
  2. Kenneth Frampton, Storia dell’architettura moderna, Bologna, Zanichelli, 1982, p.142
  3. K. Frampton, cit., p.143
  4. “Le Muse”, De Agostini, Novara, Vol. II, pag.420
  5. Giulio Carlo Argan, Walter Gropius e la Bauhaus, Torino, 2010,p. 184
  6. K. Frampton, cit., p.159
  7. Arnt Cobbers, “Breur”, Editore Taschen 2007, Hohenzollernring 53, Köln


Abeti Maurizio
Graduate in architecture
Independent researcher
Via SottoTen. Gaetano Corrado  n. 29 - 83100 Avellino (Italy)
cell. Phone: +393393146816 
email: maurizioabeti@gmail.com
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