Le corazze più belle del mondo con la regia di Arnaldo Pomodoro

La Sala d’Armi nel Museo Poldi Pezzoli di Milano

Nel Rinascimento l’Italia era all’avanguardia e dettava al mondo tutte le mode, da quelle artistiche (Raffaello e Michelangelo) a quelle del comportamento (Il cortegiano). Anche la moda italiana dell’abbigliamento, soprattutto quello da parata (cioè gli elmi, le spade e le armature) veniva imitato in tutte le corti europee, perché gli artefici erano i grandi orefici di Milano che nelle armi riversavano tutta l’eredità decorativa dell’antichità classica.

Il nobile milanese Gian Giacomo Poldi Pezzoli fu uno dei grandi collezionisti italiani di metà ‘800 che portarono la loro ricerca della bellezza su vari fronti: la pittura del Rinascimento innanzitutto, di cui riuscì ad accaparrarsi alcuni dei
più bei ritratti femminili, ma anche i capolavori delle cosiddette arti minori, dai tappeti persiani del ‘500 e ‘600 ai gioielli antichi e moderni, e così via. Nucleo fondante della ricerca era l’abbellimento della propria dimora, un palazzo antico
con la facciata principale su una delle vie più aristocratiche di Milano, via Manzoni, dove nel ‘700 era sorto anche il famoso Teatro alla Scala. A suo modo di vedere, nel palazzo di un nobile particolarmente abbiente (ma senza una storia
importante alle spalle) era importante che ci fosse una sala delle armi con pezzi storici, come si vedeva nei palazzi dei marchesi Annoni, dei principi Belgioioso, Borromeo e Trivulzio, dei duchi Melzi d’Eril e Visconti di Modrone. Per decorare questa sala Gian Giacomo Poldi Pezzoli nel 1846 chiamò non un architetto, ma uno scenografo del vicino Teatro alla Scala, Filippo Peroni, specializzato in ricostruzioni storiche, in particolare quelle gotiche, secondo il gusto chiamato “neo-troubadour” allora di moda.

Nelle foto: L’elmetto “da barriera” eseguito da Pompeo della Cesa nel 1591 per il duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga.
Una “borgognotta” del 1570.

Quindi le armi erano state scelte solo in parte tra gli importanti pezzi storici, perché la maggioranza degli oggetti doveva solo partecipare a un effetto globale di tipo scenografico. Per fortuna, tra i pezzi messi nelle vetrine per essere ammirati nei dettagli, ci sono anche grandi capolavori del Rinascimento milanese ritenuti all’apice di quella che era una vera arte al servizio dell’immagine dei potenti. Quando durante la seconda guerra mondiale il palazzo Poldi Pezzoli fu centrato in pieno dalle bombe, gli oggetti d’arte erano stati prudentemente imballati e messi in luogo sicuro, ma dell’architettura e della decorazione gotica della sala d’armi non rimasero che macerie. Nel dopoguerra fu tentato il riallestimento secondo i criteri funzionali di allora, ma gli oggetti, tolti dal loro sontuoso contesto decorativo, risultavano nel loro insieme fatalmente immiseriti. Finché venne l’idea di affidare il nuovo allestimento non a un architetto, ma a un artista che si era cimentato più volte e felicemente con la scenografia teatrale di opere classiche. Essendo una persona di cultura, oltre che un grande artista del metallo, Arnaldo Pomodoro si rivelò adattissimo a questa operazione. Il segreto della perfetta riuscita del suo intervento sta in due fattori: primo, nel suo linguaggio d’artista, dove si sente anche la fatica dell’artigiano nel dominare un materiale duro e sordo come il metallo (quindi omogeneo allo sforzo degli armaioli del ‘500 per trasformare in sontuosi vestiti armature d’acciaio che dovevano prima di tutto proteggere) e, secondo, nel ripetere lo stesso gesto dello scenografo dell’Ottocento, che aveva raggruppato le armature, simulando manipoli di combattenti in azione, creando intorno a loro una sontuosa architettura ad arco acuto che richiamava alla mente la magia, anche fiabesca, di una lontana epoca guerriera.

Nelle foto: Qui sopra, la sala d’armi al Museo Poldi Pezzoli di Milano dopo il magistrale intervento del famoso scultore
Arnaldo Pomodoro, che ha ricreato uno spazio gotico con inserita una sua interpretazione del mondo delle armi antiche (gli elementi astratti sulla volta).
In una incisione del 1881, la stanza originale distrutta da una bomba degli alleati angloamericani.
La vetrina più importante di tutta la sala: le armature originali create dal migliore degli artefici italiani del ‘500: Pompeo della Cesa. Attivo a Milano tra il 1565 e il 1600, fu “armaiolo regio” del re di Spagna Filippo II e fra i suoi committenti
figuravano Emanuele Filiberto di Savoia, il duca Alessandro Farnese generale delle truppe spagnole, Vincenzo I
Gonzaga duca di Mantova, Filippo d’Este duca di Ferrara e i nipoti di San Carlo Borromeo.

La qualità tecnica delle armature
Le armature erano in acciaio, di qui l’estrema difficoltà di molte lavorazioni. L’innovazione principale degli armieri
milanesi di fine ‘500 è stata la messa a punto di una decorazione fittissima e minuziosa ispirata ai disegni dei tessuti (anche dei velluti a due altezze) e dei pizzi del tempo, ottenuta mediante incisione, cesello, agemina, damaschinatura, ricorrendo talvolta anche allo sbalzo. La decorazione era di diversi tipi: “a tutto campo”, a fasce alternate (una ornata
e l’altra liscia) oppure “a rete” con all’interno di ogni maglia raffigurazioni di emblemi, persone o trofei. Il disegno veniva spesso dorato e lo sfondo annerito o bronzato. I milanesi andavano così fieri delle botteghe armaiole locali che le inserivano nelledescrizioni letterarie di Milano a partire dalla più antica, quella di Bonvesin della Riva del 1288.

La storia, gli eroi, i guerrieri, il coraggio
di Arnaldo Pomodoro

Inizialmente nel 1998, quando sono stato incaricato di riprogettare il riallestimento della sala d’armi del Museo con un mio intervento stilistico, ho pensato, con i miei disegni, di costruire muri parietali con nicchie, portando all’interno di esse le vetrine ordinate con gli oggetti di grande pregio storico e artigianale, in una collocazione “sospesa”, cioè senza evidenziare mai i supporti, per rendere visionaria e vissuta la presenza delle armi. E progettavo di sovrastare questa duplice corsia muraria con fregi araldici di effetto memoriale sul passato eroico.

In seguito, sviluppando il progetto, ho assunto la volta stessa come luogo di una mia scultura sulla “Battaglia nella storia umana”, in quanto gli elementi sparsi nel mio linguaggio di astrattismo si sono via via disposti in un “cielo fantastico”: quasi come se le armi, collocate nei muri, fossero in mano ai grandi guerrieri nelle loro passioni. Il mio studio si è poi rivolto innanzitutto ai materiali. La “pietra serena” col suo colore grigio nei muri e sul pavimento esalta il ferro, il rame, l’oro. Nella volta lo stucco con polvere di rame dà un riflesso profondo e calmo di tonalità rossastra; in esso sono sparsi i miei elementi di “fiberglass” rivestiti con lamina di piombo. Perché ho inventato una volta arcuata di valore “memoriale”? Ciò si connette alla fondamentale tradizione del mito: esso nell’antica grecità, e ancor oggi, è un immaginario collettivo, diverso da epoca a epoca e relativo al cielo della fantasia. Per i Greci c’erano l’Olimpo e le virtù degli dèi, dal fulmine all’eros o alla fucina. Ora, nell’epoca che precede la modernità, cioè quella tardo-medioevale e rinascimentale, l’immaginazione popolare vede come decisivi gli eroi, i cavalieri, i guerrieri e le loro imprese.

 

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