La luce che illumina e riscalda

Finalmente! Dopo quasi cinque anni dal mio arrivo a Novara riusciamo ad entrare nella nuova chiesa parrocchiale. 
La sua inaugurazione ha atteso 18 anni. Ero venuto la prima volta, la settimana dopo il mio ingresso ufficiale nella nostra Diocesi, il 5 febbraio 2012. Ho trascorso due ore qui, visitando il cantiere con l’elmetto giallo in testa. In questi cinque anni, tra molte grida e lacrime, abbiamo potuto portare a compi-mento una casa per la parrocchia di San Rocco. 
Vorrei proporvi la mia riflessione, partendo dal logo centrale di questa chiesa, che vi sarà subito familiare, perché sovrasta l’assemblea ed è molto ben visibile stando seduti nella navata. 
Nella croce là in alto vedete due parole, scritte in greco. Sul braccio verticale la parola Φ Ω Σ. Si pronuncia “Phós”. In greco “Phós – Photós”, significa Luce ed è la parola dalla quale in italiano deriva, ad esempio, il vocabolo “fotografia”. 
La luce che scende dall’alto è richiamata da questo lucernaio e attraversa idealmente tutta la parete. Sul braccio orizzontale abbiamo altre tre lettere che combinandosi con l’Omega centrale compongono la parola Ζ Ω H. Si legge “Zoè” e significa Vita. Da questa parola derivano i nostri termini “zootecnico” o “zoologico”. 
È una croce multicolore – realizzata da una giovane e promettente artista novarese, Chiara Peretti e quando la luce sarà accesa (perché il rito prevede che la luce ci sia data alla fine della consacrazione della Chiesa) vedrete le tessere del mosaico in ceramica e l’oro delle grandi lettere brillare di una luminescenza piena di fascino. È dunque di queste due parole e di una terza cosa “nascosta” che vi vorrei parlare.  
La prima parola è Luce. Oggi è una giornata nuvolosa, ma potrete contemplare la bellezza di questa chiesa quando la illumineremo. La luce è la luce della vita: quando mamma e papà generano un bambino si dice che lo hanno dato alla luce. E luce è anche ciò di cui questo stesso bambino ha bisogno per vivere: è la luce della fede. Attenzione, però. Non è una luce che illumina soltanto. È una luce che illumina e riscalda. È come il sole: che dona splendore ed insieme calore alla Terra. Senza il sole la vita sul nostro pianeta non sarebbe possibile.  
La luce che illumina e la luce che riscalda sono i due simboli che ci vengono dati per comprendere meglio il senso della luce della fede. La prima enciclica di papa Francesco, scritta a quattro mani con papa Benedetto si chiamava proprio così: Lumen Fidei.  
Quando i colori di questa croce saranno illuminati, in essi potremo riflettere noi stessi. Porteremo qui in Chiesa la nostra settimana e chiederemo al Signore la luce per illuminare e per riscaldare il nostro cuore. Perché le nostre fatiche, la nostra sofferenza, la nostra ricerca siano davvero illuminate e riscaldate da questa luce. Lo dico soprattutto per le famiglie. Oggi la chiesa è piena e don Giuseppe sognerebbe che tutte le domeniche fosse così. Però questa chiesa diventerà sempre più frequentata e diventerà la nostra casa, se sarà capace di darci una luce che illumina e che riscalda.  
Dovremo portare qui tutta la nostra esistenza, perché sia illuminata e riscaldata e perché uscendo dalla chiesa possiamo a nostra volta irradiare la luce nel quartiere di San Rocco, illuminando e riscaldando la vita di ogni giorno. La chiesa è punto di arrivo e di partenza: ma il momento decisivo è quando si esce, avendo incontrato e portando il Signore che illumina e riscalda.  
La seconda parola è Vita. La vita è una vita che cerca e una vita che invoca. Lo si capisce bene guardando i giovani, anche quelli che sono qui oggi: la vita è ricerca. Ma dev’essere una ricerca che è capace di diventare invocazione, preghiera, persino attesa. Come suggerisce il tempo che stiamo vivendo, l’Avvento.  
Oggi, vedete, la vita è diventata per certi versi più difficile. È la conseguenza di ciò che è successo negli ultimi 25 anni. La nostra è una vita piena di risorse e di beni, ma ci manca la cosa più importante: il pane che dà la vita. Allora, cari giovani, dovete essere capaci di venire in questa chiesa e partire da questa chiesa per cercare la vita. La nostra vita è piena di cose: nessuno di voi ha passato la notte, temendo di non aver da mangiare per il giorno dopo. E tuttavia a questa vita manca la capacità di cercare quel senso che sta dentro in questi beni, anche se non si esaurisce in nessuno di essi.  
Quando godiamo di qualcosa di buono – un’amicizia, un affetto, un disco, una serata, un bel panorama – dobbiamo saper riconoscere che c’è un “di più” che ci sfugge e proprio questo apre il nostro cuore all’invocazione e alla preghiera.       
Tra poco consacreremo l’altare che è di una bellezza mozzafiato. Il Concilio dice che questa è l’unica mensa della Parola e del Pane. L’uomo vive di Pane e Parola. Un Pane capace di essere illuminato dalla Parola, di essere reso sapido dalla Parola e una Parola che diventa nutriente e croccante come il Pane.  
Non è la chiacchera. Viviamo una società stremata dalla parola vuota. Subiamo un’overdose di messaggi. Abbiamo bisogno di una Parola sapida, che è capace di darci ogni domenica quel piccolo Pane che trasmette la potenza di Dio nella nostra esistenza. È la vita che cerca e la vita che invoca. Va cercata nella bellezza e nella fatica di ogni giorno e va fatta diventare Pane di vita che illumina la mente e scalda il cuore.  
La terza parola è nascosta. Osservate la croce: vi sono due sfumature nel mosaico sui bracci orizzontali, che sembrano quasi brillare perché emanano un chiarore bianco, sottolineato da un profilo d’oro. È quasi il bagliore dell’apparizione delle braccia del Crocifisso. I bracci orizzontali della croce sono molto più grandi. Voi sapete che a me piacciono le croci con le braccia di Cristo molto ampie, come in questo caso, dove la forma leggermente concava della parete ne accentua l’effetto di abbraccio.  
Chi ascolta la Parola di vita, accoglie la fede che illumina e riscalda, chi accoglie il Pane di vita sentirà il calore di queste braccia che ci avvolgono. Sono braccia nude e disarmate, ma sono braccia che accolgono e ci stringono. 
Il quartiere di san Rocco ha forse qualche difficoltà, ha qualche bisogno in più, merita una maggiore attenzione. Perciò ringrazio le autorità la cui presenza è un segno di cura per questa parte della città.  
Voi, però, d’ora in avanti sapete che avete anche una casa, dove c’è il Signore con le braccia allargate che vi accoglie. Non abbiate paura di parlargli, di raccontargli le vostre preoccupazioni. Perché quando vi sarete seduti per parlargli, queste braccia saranno già aperte per avvolgervi. 
Guardate queste braccia come sono larghe.  
Dentro c’è una presenza spirituale che non risponde solo ai nostri bisogni materiali. Ci dona la vicinanza stessa del Signore. Il rito che si compie qui ogni domenica nella sua semplicità sconvolgente è un pane spezzato che diventa corpo distribuito e un calice condiviso che è sangue che lava e ristora. 
Questa è la vostra casa. La consegno al vostro parroco, don Giuseppe, agli operatori responsabili della comunità e soprattutto a voi, che siete il popolo santo di Dio.  
Questa è la casa della gente. Questa chiesa, venendo dalla strada del quartiere quasi non si vede. Va cercata, perché è nascosta da altri edifici. Ma una volta trovata, diventa un vero centro che ci attira e che ci accoglie. Ecco, cercatela, venite e partite da qui, perché da ora in avanti la comunità di San Rocco ha trovato la sua casa comune. Può essere la casa di tutti, perché è la casa di Dio.  
È la casa di Dio, perché s’incontra la croce di Gesù. Egli è la luce che illumina e riscalda, Egli è il pane di vita che nutre e ristora, Egli ha le braccia nude e disarmate che tutti accoglie e tutti invia sulle strade del mondo. 
Buon cammino!      

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