Stefano Zecchi, professore ordinario di Estetica presso l’Università degli Studi di Milano, e già presidente dell’Accademia di Brera, è diventato da pochi giorni assessore alla cultura del Comune di Milano. In questa intervista rilasciataci nel ‘99 (di cui riportiamo un’ampio stralcio), una sintesi delle sue idee sulla bellezza, sull’arte, sulla casa considerata come uno dei momenti in cui si realizza l’esperienza estetica del bello. (Da IL CAMINO 79)
La sua idea di “bello” parte da una concezione ottocentesca? Non cerco certo un’estetica ottocentesca perché il problema è vivere il proprio presente; piuttosto bisogna capire cosa del proprio presente può trovare nel passato dei riferimenti utili. Uno degli aspetti su cui insisto di più è il tema della bellezza che dà l’idea di essere connotata in maniera ottocentesca. Del resto è vero che nel nostro secolo la bellezza è stata ed è una delle categorie tra le più vilipese e combattute. Non che cerchi una bellezza neoclassica anzi, cerco di capire qualè la bellezza moderna, cioè di cogliere nell’effimero, nel transitorio della nostra contemporaneità, gli elementi essenziali che possano ritrovare un’idea di bellezza come forza e come progetto.
Come impariamo a rendere belle le nostre case? La casa è uno dei momenti in cui si realizza l’esperienza estetica del bello. Ed è proprio qui che ci deve essere un progetto, dove la propria identità si esprime, un ambiente in cui la propria personalità ha modo di rappresentarsi. Rendere bella una casa è renderla il più possibile simile a chi la abita: meno anonima è una casa più parla di te, del tuo gusto, della tua intelligenza nella visione delle cose. (…)
Quindi è nell’espressione della propria identità che si rintraccia un’estetica della casa, quasi fosse la rappresentazione della propria anima? Non uso spesso la parola “anima” perché rimanda a tutti quegli atteggiamenti interiori e psicologici dove bisogna tenersi a riparo da sopravvalutazioni. Comunque l’aspetto della propria personalità e della propria identità sono gli elementi che si devono trovare in una casa come atmosfera direi quasi familiare. Infatti nell’esperienza estetica c’è l’origine dei nostri simboli di senso, di verità, di giustizia, di bene, di bellezza.
Qual è il simbolo di questa familiarità? Il camino è una delle cose che ho cercato di curare di più nella mia casa poiché ha ancora una funzione tradizionale, di luogo di raccoglimento, anche se oggi è più un elemento estetico. (…)
Uno dei suoi slogan principali è “fair for beauty”, cioè l’importanza del gusto nella ricerca di una bellezza. Il camino sta al centro di una casa e attira immediatamente l’attenzione, quindi è chiaro che debba avere alcune qualità, tutto dipende dall’idea d’abitazione che ha una persona. Anche se io non vedo, onestamente, il camino legato alla modernità; cioè il camino moderno ha puramente e solamente uno scopo decorativo, mentre quello classico aveva la sua funzione, messa in secondo piano nel presente.
Oggi, però, con le nuove tecnologie, sembra riprendere la sua funzione di riscaldamento principale di una casa. Il camino è certamente un luogo “bello”, di raccoglimento. Ma attenzione, perché può diventare estremamente kitsch, di grande cattivo gusto. Come tutte le cose che hanno forte presenza, se non vengono ben contestualizzate e ben dominate nell’intera dimensione dello spazio, possono diventare un pugno nell’occhio. (…)
Qual è la critica che lei pone al modernismo? È quella di non cercare un’idea di bellezza ma di essere sostanzialmente, per dirla in sintesi, legata ad un’idea di funzionalità degli spazi. Poi si affida all’architetto un gesto trasgressivo assolutamente arbitrario per dare personalità ad uno spazio che di per sé è anonimo. Quindi la modernità ha questa contraddizione di essere il luogo della funzionalità, dell’ordine e dell’economicità per poi cercare di essere personalizzata. L’uomo vuole la differenza, vuole il sé, vuole la testimonianza del proprio io, e per questo ci si affida ad un gesto estrinseco, talvolta provocatorio, talvolta bizzarro o grottesco.(…)
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