Il giardino della KolymbetraValle dei Templi di Agrigento


Sulle tracce del mito: Dio “fece germogliare dal suolo ogni sorta d’albero piacevole a riguardare e buono da mangiare …”

Testo di Antonella Bondì

Esistono luoghi di rara bellezza dove, a dispetto del caos d’immagini e frastuoni del nostro quotidiano, sembrano miracolosamente regnare la sintonia tra gli elementi, l’armonia dei colori, le sonorità lievi e la presenza sapiente della costruzione umana; luoghi che rimandano alla ricerca, fragile ma persistente, di un pacifico accordo con i luoghi dell’abitare e del produrre e che restituiscono una porzione inattesa del giardino primordiale, del mitico Eden della Genesi, dove Dio “fece germogliare dal suolo ogni sorta d’albero piacevole a riguardare e buono da mangiare …” J. Milton, Paradise lost, IV, vv. 142-156
In un contesto unico dal punto di vista storico e paesaggistico qual è la Valle dei Templi ad Agrigento, un ammirevole lavoro di recupero ha restituito al godimento di tutti un luogo eccezionale nella sua apparente semplicità, il giardino della Kolymbetra, che si dispone lungo un vallone, protetto da alte pareti di calcarenite, per un’estensione
di circa cinque ettari, tra il tempio di Castore e Polluce e quello di Vulcano.
La riproposizione di questo brano di paesaggio agricolo, di storica fondazione, si snoda nella vallata con le sequenze visive di percorsi già vissuti nell’esperienza della campagna siciliana odierna ma ricondotta quasi alla sua essenza, sfrondata da intrusioni e contaminazioni di attività diverse.

Luca Baroni
Luca Baroni, Bologna (Italia)
Agronomo paesaggista, socio AIAPP, si è laureato in Scienze Agrarie a Bologna. È progettista di spazi pubblici, parchi e giardini in Italia e all’ estero. Nel 2002, con Gonç alo Byrne, Joã o Nunes e P31, vince il concorso per il Parco Forlanini a Milano, nel 2004, con lo studio Arbau di
Treviso, quello per Piazza Barche a Venezia-Mestre, nel
2006, quello per la riqualificazione dell’ Ilot Bonne Nouvelle – Echiquier a Parigi. Nel 2006 fonda a Milano lo studio Insitu, progetti per il paesaggio. Nel 2008 ha vinto il premio “ Ippolito Pizzetti”

Antonella Bondì
Architetto, specializzata in “ Architettura dei Giardini Progettazione e Assetto del Paesaggio” , a Palermo. Valutatore di sistemi di gestione ambientale ISO 14001. È socio AIAPP dal 1997, già responsabile della Sezione Magna Grecia, e componente dell’ Osservatorio per la qualità del Paesaggio della Regione Sicilia. Consulente per il piano di gestione del parco della Favorita a Palermo, per la redazione del Piano paesaggistico della provincia di Agrigento e delle Isole Pelagie. Progetta spazi aperti, verde urbano, arredo urbano, giardini privati. Si occupa di formazione, ha progettato corsi, ricercatore senior, direttore di corso e componente di comitati tecnico-scientifici.

Come all’interno di una sospensione temporale, la visita consente una percezione del paesaggio intima ed esclusiva, non alterata da alcuno scorcio sull’attualità del costruito. È un recupero sorprendente perché restituisce un quadro paesistico che solo l’iconografia e le fonti letterarie hanno consegnato alla memoria e ripropone il giardino quale
archetipo; luogo, pertanto, che è dentro ciascuno di noi, sintesi della natura resa produttiva.
La testimonianza dello storico greco Diodoro Siculo (Biblioteca storica XI 25, I sec. a.C.) ci riconduce alle origini, quando il tiranno Terone, grazie al bottino accumulato nella battaglia d’Imera contro i Cartaginesi, nel 480 a.C. commissiona all’architetto Feace la realizzazione di una colossale opera d’ingegneria idraulica per approvvigionare la città di Akragas. Il sistema di acquedotti terminava con una grande peschiera, la “Colimbetra”, che si configurava come vero e proprio luogo di delizia. “Gli agrigentini costruirono anche una sontuosa piscina ……diventando così un vivaio di pesci, che forniva molti pesci per l’alimentazione e per il gusto; e poiché moltissimi cigni volavano giù verso di essa, la vista era una delizia …”.Lo storico testimonia pure del suo degrado, dell’ interramento nel I sec. e della trasformazione in terreno agricolo produttivo, in cui si coltivava la canna da zucchero e piante da frutto.
Il passaggio concettuale dall’orto al giardino, nell’accezione tipica siciliana, dove la coltivazione delle specie orticole e arboree segue regole funzionali ed estetiche che lo elevano al rango di luogo di delizie, produttivo e piacevole, si ravvisa appieno con l’introduzione degli agrumi, un topos che la storia della giardineria affermerà come un riferimento
insostituibile al solare paesaggio mediterraneo, affiancandosi alle specie altrettanto nobili dell’olivo, del mirto e del mandorlo. Le vicende successive vedono il passaggio alla Chiesa in epoca medioevale, con la denominazione di “Badia
Bassa” o di “horti abbatie”, ed un momento di massima espressione durante il XIX e XX sec., come testimoniato dalle numerose descrizioni letterarie dei viaggiatori del Gran Tour. Nell’ultimo decennio del Novecento la mancanza d’acqua e di cura avevano segnato il declino del giardino, che grazie all’intervento del FAI è stato riaperto per la prima volta alla fruizione nel novembre 2001 e conta un sempre maggior numero di visitatori e di estimatori. Le tappe del processo di recupero agronomico- paesaggistico sono individuabili in alcuni significativi interventi: le opere d’ingegneria naturalistica, il recupero del sistema d’irrigazione tradizionale e la realizzazione di un rete per la subirrigazione,
di cui non si avverte traccia in superficie, la ricostruzione di due piccoli acquedotti collegati alle saie e alle gebbie, la coltivazione volta alla conservazione del paesaggio agrario tradizionale, nonché la reintroduzione di antiche varietà di alberi da frutto e dei mandorli, scelti tra le varietà del Museo Vivente del Mandorlo creato nei pressi della basilica paleocristiana, con la finalità di contrastare i rischi di erosione genetica.

   
Nei disegni in alto, pianta e prospetto, del particolare
costruttivo dello scolo delle acque. Disegni di L. Baroni

La scoperta di opere idrauliche nell’alveo fluviale lascia presumere che coincidano con i resti del bacino della Kolymbetra, la presenza di ingrottamenti, lembi di latomie, ipogei rinvenuti durante i lavori suggeriscono di intraprendere nuove campagne di scavi per scoprire e rendere visitabile il sistema degli ipogei. Oggi il paesaggio mediterraneo, ed in particolare il rinomato paesaggio dell’arboricoltura siciliana, è rappresentato nella Kolymbetra in tutta la sua essenza: al giardino d’agrumi, simbolo per eccellenza di fertilità, bellezza e solarità, (“le trombe d’oro della solarità” come le
interpreta Eugenio Montale), si accostano il bosco di mandorli e olivi saraceni, le varietà di alberi da frutto, la vegetazione fluviale, la macchia mediterranea ai piedi delle rupi calcaree e si viene a creare, così, un patrimonio di biodiversità ormai raro, oltre che un luogo di straordinario valore culturale.

Lo stato delle sponde del torrente della Badia Bassa ed il degrado dei manufatti per la difesa idraulica del Rio affluente, hanno reso necessari interventi di consolidamento e rinaturalizzazione di questi due corsi d’acqua che attraversano l’area, per la messa in sicurezza e la riqualificazione ambientale e fruitiva del Giardino. Sono stati realizzati Interventi di ripristino dell’alveo di magra e di consolidamento al piede delle sponde dei corsi d’acqua. Per tali interventi si sono utilizzate le tecniche dell’ingegneria naturalistica.
Consolidati e ri_naturalizzati i due corsi d’acqua, si è avviata la loro riqualificazione paesaggistica: si sono infatti ripristinate quelle opere e quelle pratiche di cura e governo dei corsi d’acqua che l’uomo ha da sempre messo in atto per far convivere le coltivazioni con le esigenze della natura.
Gruppi e siepi di piante arbustive, quali palma nana, melo cotogno, mirto, melograno, rosmarino, salvia, sono stati poi disposti in cima alle sponde, a chiusura degli appezzamenti coltivati.
È stato quindi ripristinato il sistema tradizionale di irrigazione del Giardino: le due gebbie – serbatoi a cielo aperto – sono state restaurate e collegate alla ricostituita rete di saje -canalette scavate nella terra – che, anche attraverso due leggeri “ponti” sospesi sul torrente, portano l’acqua alle “casedde”, sommergendo temporaneamente gli orti e il terreno
attorno agli alberi da frutto.

 

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