Servizio di: Barbara Arnaboldi Nell’architettura, la maniglia è una specie di miniatura. Essa appartiene alla storia del costume, e rispetto ad una casa ha lo stesso compito estetico che un gioiello ha rispetto al corpo umano: deve valorizzarla, aggiungendo un dettaglio, un particolare che grazie alla cura con cui è scelto, può modificare il risultato progettuale definendo il linguaggio e lo stile dell’arredamento. Se la condizione necessaria di questo complemento è la funzionalità, non meno importanti sono i materiali e le finiture utilizzati per la sua creazione. E anche va detto che la maniglia è l’impugnatura, quella zona della porta da “toccare con mano” per passare da una stanza all’altra, per aprire o chiudere, per accettare o negare il possibile mistero di una soglia. E’ per questo che ogni architetto tende volentieri a impegnarsi in questo progetto, che è tanto piccolo, quanto esaltante e complesso.
Non è un caso dunque se da qualche tempo l’industria e progettisti hanno rafforzato la loro attenzione verso questi oggetti, all’apparenza così banali ma in realtà tanto importanti. La maniglia è un piccolo concentrato di grandi problemi: un oggetto ergonomico, che può ostacolare o facilitare l’accesso quotidiano agli ambienti; un elemento indispensabile dell’arredo, che deve essere coordinato agli altri presenti in una casa; ma anche una piccola scultura, l’unico punto fortemente caratterizzato in spazi spesso anonimi. Già nel primo decennio del 1900 Gaudì accompagna le straordinarie invenzioni spaziali delle sue Casa Batlò e Casa Milà con il dettaglio di una piccola leva apriporta, elegantemente risolta nella forma e nelle proporzioni ed organicamente integrata con gli edifici. Non siamo ancora arrivati alla standardizzazione geometrica della macchina, ma la capacità di controllare tutti gli elementi di un’abitazione è già vissuta come una conquista per la quale si batteranno anche gli architetti funzionalisti. Nelle foto: 2. Due maniglioni in ottone: “Square” progettato da Architettura Laboratorio e “Jazz” progettato da Bartoli Design. Entrambi in ottone rispettivamente nelle finiture cromo opaco e cromo. Colombo Design Nel 1923, nella fabbrica Fagus, disegnata da Walter Gropius, compare “la prima maniglia prodotta in serie coscientemente disegnata con forme stereometriche primarie”, come la definisce lo storico tedesco Siegfried Gronert. E’ questa la prima maniglia ”astratta” della storia, alla quale ne seguirà una serie ricchissima, arrivando fino a quelle in plastica disegnate da Giorgetto Giugiaro per la Olivari nel 1985. Piacentini, Gardella, Nizzoli, Ponti, Gregotti, Aulenti, Magistretti, Mendini: tutti i più grandi architetti si sono prima o poi cimentati nel disegno di una maniglia ed hanno cercato di darne una definizione. Vico Magistretti, ad esempio, nota che “Maniglia e mano hanno la stessa radice fonetica in molte lingue e la mano in quasi tutti gli oggetti toccati ama sentire la pelle…questa è la ragione che mi ha portato ad utilizzare la pelle per l’impugnatura, perché proprio la maniglia è uno degli oggetti del quotidiano più toccati dall’uomo…”, mentre Andrea Branzi afferma che “La maniglia è una delle poche parti nodali dell’architettura; una delle poche parti che si possono impugnare, per creare importanti trasformazioni dentro l’ambiente”. La maniglia è una piccola scultura. Quando apriamo o chiudiamo una porta compiamo Al di là delle divagazioni filosofiche è indubbio che il disegno di una maniglia implichi comunque la soluzione di alcune problematiche tecniche, come l’interazione tra una leva e un mozzo. A questo si devono aggiungere l’aspetto ergonomico, che deve essere curato nei minimi dettagli per garantire la praticità di utilizzo, e quello estetico, che deve permettere al “dettaglio” maniglia di integrarsi con il “tutto”, come già avevamo sottolineato all’inizio. Soffermandoci sul valore estetico di questo oggetto vale la pena di ricordare che la maniglia si è sempre fatta interprete degli stili che si sono susseguiti nel tempo.
Nel 1923, nella fabbrica Fagus, disegnata da Walter Stili che sono anche e soprattutto frutto dell’evoluzione dei materiali: dalle maniglie in ferro battuto dei manieri nel medioevo, fino all’ottone o all’acciaio dei nostri giorni. La maniglia è un oggetto d’uso quotidiano e quindi, inevitabilmente, è soggetta ad una naturale usura. Particolari situazioni climatiche e agenti atmosferici, come salsedine e umidità, o l’utilizzo in situazioni gravose, possono accelerare il suo deterioramento; proprio per questo le aziende produttrici hanno rivolto i loro studi alla ricerca di trattamenti superficiali in grado di garantire resistenza e durata contro gli effetti del tempo. Le maniglie di oggi sono quindi dei veri e propri componenti funzionali di attenta e sofisticata progettazione, esteticamente eleganti e pensati per durare nel tempo. Vere architetture in miniatura.
Nelle foto: 2. “Selene” disegnata da Massimo Iosa Ghini nasce da un’unione, dall’incontro di due forme in un armonioso incastro. Il gesto leggero che la disegna rispecchia la confortevolezza dell’impugnatura in un’armonia estetica e funzionale. In ottone nelle finiture lucido/satinato; cromato/cromato opaco; cromato opaco. Olivari
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