ARGOMENTI DI ARCHITETTURA ISSN 1591-3171 N.11/2016 DOI: 10.13140/RG.2.2.18381.28645
ABETI Maurizio (IT)
Abstract
Per quanto riguarda il pensiero estetico occidentale, possiamo considerare che, sino a tutto il ‘600, sia stato essenzialmente impostato sopra una quasi assoluta fiducia nei canoni proporzionali e simmetrici.
È solo con l’avvento dell’età barocca, ma soprattutto con la filosofia dell’empirismo, che assistiamo ad una messa in dubbio del’ineluttabilità proporzionale armonica e ad un’accettazione di principi che si volgono contro la simmetria.
In un periodo di totale conformismo come l’attuale, mi sembra sia molto interessante cercar di intravedere la possibilità di un rinnovamento dell’architettura, o forse, se preferiamo usare un termine di moda, di «decostruzione», attraverso un deciso aiuto verso quello che potremmo definire la «distanza» di una concezione estetica basata sull’ordine, l’armonia, l’equilibrio.
E credo che, anche nelle condizioni disagiate attuali; anche in situazioni perturbate e convulse come quelle che attraversiamo, sia possibile veder ancora rifiorire l’architettura, oggi non solo confusa, ma agonizzante, come poesia.
Introduzione
Nel tentativo d’inquadrare la forma dell’architettura contemporanea in un “codice-stile” che contesta il presente e propone, consegnando al XXI secolo, una reinterpretazione della storia libera da ogni concezione ideologica secondo la quale la realtà di un’opera architettonica nel suo insieme e in ogni sua parte tende a un fine per diventare immodificabile, eterna e globale, ho inteso raccogliere, relativamente alla componente “storia”, alcune epoche del passato per comprendere la sua trasformazione concettuale e definirla come se fosse una libera e grande tendenza.
La forma è l’obiettivo della progettazione. Ma la forma architettonica non può essere ricercata dal progettista soltanto come fatto a sé, come un’entità astratta. (Fig. 1) Essa, con i suoi contenuti autonomi, è inevitabilmente avvolta dalle relazioni con il suo contesto, che è la base su cui si costruisce, il supporto fisico e il complesso delle condizioni del presente.
Sarebbe però errato limitarsi a ricercare una corretta rispondenza col contesto, intesa come estrapolazione da un processo già in atto.
Ogni rchitettura è destinata a modificare la realtà nella quale converge, ma ciò non deve avvenire secondo un rapporto neutrale. La progettazione, come proiezione nel futuro, tende ad un senso, tende ad istituire altri valori e diverse situazioni funzionali e presuppone, anzitutto, un atteggiamento critico nei confronti dell’esistente.
È in quest’ottica che ho cercato di riassumere, attraverso la “storia”, i termini materiali e quelli morali che sono all’origine della forma dell’opera architettonica.
Nella tessitura formale degli edifici l’impiego di mezzi geometrici e matematici elementari ha dato luogo, nelle varie epoche, a procedimenti talvolta analoghi per l’organizzazione generale o per il dimensionamento delle varie parti. I rapporti proporzionali si basano prevalentemente sui numeri interi (moduli), o sulle quantità irrazionali (sezione aurea, spirale logaritmica, proporzione armonica, “Modulor”), o sulle figure geometriche elementari iscritte nel cerchio (il quadrato, il pentagono, l’esagono e il poligono derivanti dalla loro rotazione, particolarmente usati nel periodo gotico).
Possiamo ritenere, per quanto riguarda il pensiero dello spazio architettonico e del concetto estetico occidentale, che, sino al culmine del Rinascimento (tutto il ‘600), tutta la progettazione artistica degli elementi strutturali, funzionali ed estetici della costruzione, sia stata essenzialmente impostata sopra una quasi assoluta fiducia negli ordini classici innanzi esposti.
Il percorso del processo di formazione attraverso le epoche storiche
Per iniziare, nell’architettura gotica, sottende un suo lessico e una sua sintassi. (Fig. 2) I procedimenti degli scalpellini, dei muratori, dei carpentieri, venivano allora trasmessi da maestro ad allievo durante la pratica del lavoro comune per la configurazione di elementi formali costanti, anche se continuamente reinventati. Le formule geometriche e numeriche per il tracciamento e il proporzionamento degli edifici, per l’equilibrio del sistema statico, per la curvatura degli archi, per lo spessore delle volte e dei supporti, per la costruzione delle parti decorative (rosoni, cupidi, etc.), formule verificate nella continuità dell’esperienza, venivano trasmesse oralmente e segretamente dal “maestro d’opera” al discepolo, e spesso da padre in figlio.
Così, in alcune epoche più antiche, l’architettura è riuscita ad avvalersi con continuità di “sistemi” linguistici chiaramente definiti e questi hanno costituito un valido strumento per operare.
Durante l’epoca Rinascimentale (Fig. 3) e in tutta quella Classica, i trattatisti hanno definito le diverse parti delle fabbriche, i moduli, le norme per la loro unione e i principi teorici per la conformazione generale degli edifici secondo le destinazioni. Nella definizione di Leon Battista Alberti «la bellezza è accordo e armonia delle parti in relazione a un tutto al quale sono legate secondo un determinato numero, delimitazione e collocazione, così come esige la “concinnitas” …»1.
Al riguardo, Bruno Zevi definì il Rinascimento come «una riflessione matematica svolta sulla metrica romanica e gotica, evidenziando la ricerca, da parte degli architetti dei secoli XV e XVI, di una metrica spaziale basata su rapporti matematici elementari …»2, dando vita ad ambienti regolati da leggi immediatamente percepibili e facilmente misurabili dall’osservatore3.
In definitiva, nella cultura occidentale non può sorprendere più l’affermazione che l’architettura, dalla Grecia al Rinascimento – sempre non tenendo conto delle dovute eccezioni alla regola -, grazie alle testimonianze di secoli e della materia analizzata, è stata dominata dalla insistente presenza dei dogmi, dei canoni, delle proporzioni, delle simmetrie, dall’euritmia, dagli ordini, delle scatole volumetriche, dalle tipologie articolate con angoli a 90° e da vincolo che hanno soffocato la libertà degli spazi dinamici.
Tutte le problematiche teorie attorno alla sezione aurea o al numero aureo o alla proporzione divina o la serie fibonacciana, sono in definitiva una conferma che rappresentavano, e gli era sempre stata rappresentata nel genere diverso (rotatoria, centrale, radiale, bilaterale o traslatoria), una simmetria che nella cultura occidentale era una dominante.
È solo con l’avvento dell’epoca Barocca (Fig. 4), ma soprattutto con la filosofia dell’empirismo, cioè della superficialità dovuta a scarsa informazione e mancanza di approfondimento e conoscenza, che assistiamo ad una messa in dubbio dell’ineluttabilità proporzionale armonica e ad un’accettazione di principi che si volgono contro la simmetria. Sempre Bruno Zevi descrisse il Barocco come «liberazione spaziale, liberazione mentale dalle regole dei trattatisti, dalle convenzioni, dalla geometria elementare e dalla staticità, è liberazione dalla simmetria e dall’antitesi tra spazi interno e spazio esterno»4.
Infatti, caratteristiche fondamentali dell’architettura barocca furono «le forme plastiche, la predilezione per le linee ricurve, anche in pianta, le composizioni spaziali complesse, l’impiego di pittura, scultura e stucco nel sistema compositivo, l’abile uso della luce naturale tra suggestivi giochi di luce ed ombre, aumento della scenografica, e l’impiego di materiali preziosi»5.
Qualche tempo prima, «nel XVI secolo, Michelangelo Buonarroti aveva anticipato il Barocco nelle forme imponenti e massicce della cupola della Basilica di San Pietro a Roma»6, nelle modificazioni delle proporzioni del vestibolo della Biblioteca Laurenziana e nella realizzazione dell’imponente e solido cornicione di palazzo Farnese . Queste alterazioni del linguaggio architettonico classico avevano suscitato all’epoca forti reazioni7.
Il Barocco è raggiante quando non isola i propri edifici al paesaggio; quando palpita di ondulazioni e vivacità materiche; quando passa dalla forma chiusa alla forma aperta, da contenitore tipo palazzo Ruccellai a Firenze o palazzo Farnesi a Roma (a parte il cornicione michelangiolesco) ) a volumi che debordano oltre la cornice come il famoso palazzo Ca’ Rezzonico sul Canal Grande a Venezia, oggi sede del Museo del Settecento Veneziano.
Ma con lo stile Neoclassico si ritorna ad elaborare metodi proporzionali e rigorose norme basate su esempi classici. Ma non si tratta di un recupero analogo ai precedenti del I secolo d.C., dell’epoca Carolingia o del Rinascimento. Nella teoria si rifiutano i modelli del passato ma nelle realizzazioni sono presenti i principi classici (moduli e stilemi), di derivazione architettonica greca e romana.
Anche nell’arte orientale, simmetria ed equilibrio costituivano degli schemi costanti. È stato l’avvento del Zenismo (la filosofia Zen in architettura: la comprensione dello spazio nella profondità del silenzio) a trascinare nella concezione estetica orientale un principio completamente opposto che doveva identificarsi con la ricerca costante e intenzionale dell’asimmetrico. La dimensione fondamentale dell’architettura Zen e lo “spazio continuo”, senza nessuna ricerca della regolarità, dell’equilibrio speculare della composizione, con strutture ineguali e con diverse forme di vuoto, con aperture verso l’esterno di disegno e di grandezza diverse. In definitiva, la sua arte sfugge ad ogni composizione, costituendo un unico succedersi di “imprevisti” formali, di puntuali attimi figurativi, i cui caratteri indicativi li ritroviamo nell’architettura organica. Quest’ultima, promuovendo un’armonia tra l’uomo e la natura, abbandona tutti gli schemi spaziali accreditati da secoli, come le forme regolari classiche della geometria e della stereometria elementare; la struttura concepita come un meccanismo in cui tutti i componenti sono disposti secondo un ordine “supremo”, definito da un’immutabile legge di un metodo apriori8; per ricercare un’architettura libera da ogni classificazione, istituzione di norme, tabù, idoli e miti accademici, dove la sua creatività spaziale è, in qualche modo, impreveduta, inventata, senza nessuna ricerca della regolarità dell’equilibrio, atipica, piena di colore e di fascino, in definitiva piena di Zen. Frank LIoyd Wright, il massimo genio dell’architettura moderna, con il suo Movimento organico fu il maestro fondatore e il principale esponente di questa nuova modalità di elaborare l’architettura e la sua spazialità. (Fig. 5)
Norris Kelly Smith scrisse: «Benché il pensiero biblico abbia giocato un ruolo d’importanza incalcolabile nel formare la cultura occidentale, solo con Wright ha trovato espressione nel campo architettonico dominato quasi esclusivamente, per duemila anni, dalla tradizione greco-romana»9
Al termine di questo paragrafo, non posso non citare il dibattuto tema del rapporto con la tradizione, a cui costantemente gli architetti si riportano, per avversarla, citarla o essenzialmente reinterpretarla. In questo senso gli elementi e principi di coordinamento modulare classico sono impliciti anche nelle opere e nelle ricerche teoriche prodotte da alcune correnti del Movimento Moderno. In questo ambito si colloca il Postmodernismo, la cui teoria è basata su un processo di composizione o di trasformazione che non cessa di essere una strategia voluta e calcolata, un’evoluzione di aggiunte o eliminazione di un impasto di ordini in una concentrazione tra “passato” e “moderno”.
La rivoluzione architettonica del III millennio
La ricerca architettonica più recente ha consegnato al XXI secolo i risultati di una battaglia durata più di 50 anni e che ha visto uscire sconfitta la razionalità dell’arte classica/neoclassica con i suoi canoni, privata di qualsiasi intrinseco significato ideologico perché logorata dalle continue iterazioni. Un’arte moderna che ha demolito anche i concetti di fine art, cioè un’architettura come prodotto di pensiero, aspirante alla regola, al sistema, alla legge, all’idealismo e allo stilismo, etc.. (Fig. 6)
In un periodo di esiziale conformismo come quello attuale, mi sembra molto interessante cercare di scorgere la possibilità di un rinnovamento dell’architettura, o forse, se preferiamo usare un termine di moda, di “decostruzione”, di de-cristallizzazione della stessa, attraverso una decisa spinta verso quello che potremmo definire la “scoria” di una concezione della forma basata sull’ordine, l’armonia, l’equilibrio.
I decostruttivisti tutelano i principi di un progettare libero, variabile, connesso con la realtà. Questo concetto viene esternato visivamente con una de-costruzione delle sue forme e dello spazio.
Gli stili, le leggi della statica, le norme asservite degli elementi vengono aboliti in nome di uno spazio universale: concepito come parte integrante dell’architettura del paesaggio in continua trasformazione. Nelle loro opere (da Frank O. Gehry a Daniel Libeskind; da Rem Koolhaasa a Peter Eisenman; da Bernard Tschumi al gruppo Coop Himmelbau o Greg Lynn, e in ultimo cito Zaha Hadid, recentemente scomparsa)*, l’architettura è complemento di forme decomposte, di scomposizione di linee e volumi, di asimmetrie, di instabilità e di disarmonia. Bisogna non equivocare disarmonia con disordine, perché sovente è proprio una “scelta ordinata” a causare un presupposto di disarmonia e di asimmetria (Fig. 7).
Fig. 7 Zaha hadid – Stazione marittima di salelerno.
Conseguenza di questa rivoluzione è la dissoluzione della forma che avviene attraverso la dematerializzazione del suo involucro: le pareti, da inamovibili e insensibili elementi, acquistano trasparenza, luminosità, leggerezza, freschezza, eleganza e comunicazione. Tale da realizzare una stretta interdipendenza di flessibilità e integrazione con l’ambiente naturale, determinando una unità organica (analogamente a quanto avviene nel regno vegetale, quando le piante si adattano e si conformano alle dimensioni, agli spazi, al sole, al vento, nel “luogo” nel quale sono stabilmente ancorate), al punto tale che lo spazio naturale diventa uno spazio intimo, interno all’architettura, anche se aperto verso il cielo.
Rapporti viceversa di prevalenza e di astrazione quando subentra l’“esprit de géométrie”, il concetto dell’edificio come oggetto, chiuso in sé, immerso nella libera irregolarità delle forme naturali.
Sull’evoluzione dell’architettura con forme complesse di decomposizione, nell’era della famigerata realtà globale, altamente tecnologica, una riflessione è da farsi.
Certamente, oggi, le tecnologie informatiche, in particolare le tecnologie CAD e di Virtual Reality, offrono alla progettazione architettonica notevoli cambiamenti, introducendo un’innovazione nella metodologia progettuale.
Innanzitutto, c’è da considerare che consentono sicuramente di aggiungere alla dicotomie tradizionalmente associate all’architettura, quali forma-funzione, tecnica-estetica, una nuova dicotomia: l’idea di spazio-supporto digitale. Cioè gli ambienti CAD e V.R. agevolano la conoscenza delle logiche topologiche, tipologiche, compositive e strutturali delle architetture “notevoli” ed appropriarsi di essi, che sono alla base di tali architetture, amplificano la creatività e l’inventiva per la creazione di nuove architetture (blobitettura). (Fig. 8/9) Per di più, metabolizzando queste tecnologie digitali, oltre ad implementare notevolmente le possibilità, esse introducono nell’architettura elementi prima impensabili, perché troppo complessi da calcolare, da disegnare o da visualizzare, consentendoci di oltrepassare i nostri limiti percettivi e temporali.
Per concludere, oggi, la dissoluzione della forma, nel processo compositivo, è finalizzata al conseguimento di una connotazione architettonica dove continuità e fluidità spaziale, mutevolezze e trasparenze, forme instabili e amebiforme, volumi deformati, rigonfiati e geometrie sghembe, soggiacciono a un comune denominatore: «fuori di una modernità impegnata, sofferta e disturbata non c’è poesia architettonica»10.
* Altri potrebbero essere nominati di questa attrazione razionale, non più elementare ma, anzi, sofisticata nelle sua diversità: Rem Koolhaas, Jean Nouvel, Renzo Piano, Santiago Calatrava, Massimiliano Fuksas, Steven Holl, Herzog & de Meuron, Tadao Andō, Norman Foster, etc..
NOTE
1 L. B. Alberti, De re aedificatoria, V capitolo del IX libro.
2 B. Zevi, Saper vedere l’architettura, Torino, 2012, p. 76.
3 Cfr. B. Zevi, Op. cit., p. 77.
4 B. Zevi, Op. cit., p. 86.
5 N. Pevsner, J. Fleming, H. Honour, Dizionario di architettura, Torino, 1981, voce Barocco.
6 N. Pevsner, Storia dell’architettura europea, Bari, 1998, p. 154.
7 N. Pevsner, Op. cit., p. 154.
8 Cfr. B. Zevi, Verso un’architettura organica, Einaudi, Torino, 1945, pp. 66-67.
9 N. K. Smith, Wright, Frank Lloyd: Uno studio nel contesto architettonico (A Spectrum book), Editore,
Prentice-Hall (Edizione 1 °), New Jersey, 1966.
10 B. Zevi, Storia e controstoria dell’architettura in Italia, Newton & Compton editori s.r.l., Roma, 2005, p. 730.
Abeti Maurizio
Graduate in architecture
Independent researcher
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