La natura dell’architettura

Cosa significa essere naturale?
Essere naturale è il contrario di essere artificiale. Artificiale è qualcosa costruito dall’essere umano, qualcosa che si aggiunge a quello che già c’era, al preesistente. Per ciò, da questo punto di vista, ‘natura’ è tutto l’ambiente che non ha ancora ricevuto un intervento antropico.
Questa accezione di essere naturale è evidente e conosciuta da noi tutti, ma non è esattamente veritiera: o per lo meno, non lo è completamente.
Questa separazione tra natural e artificial, esistente dentro un orizzonte di mondo dato a priori, è precipitosa e poco chiara. Perché? Basta l’evidenza del nostro corpo per intuirlo: il corpo è tanto naturale quanto il paesaggio che esso ci fa percepire – alberi, case, montagne, valli, verde, tonalità di colori, uccelli.
Sono nato nudo come gli uccelli e, come essi, morirò solo. Quasi come tutti gli uccelli sono un essere mortale in Cielo e in Terra.
Questo mio corpo, edificio di cellule e molecole, che nasce e che muore, condivide la stessa origine della natura ed è assoggettato al tempo, grande scultore. L’equivoco non abita nel corpo, bensì nella concettualizzazione che operiamo su di esso; in particolare se lo si considera come assente dal mondo; o in altre parole, se si considera il mondo come qualcosa che è esterno al corpo stesso. Unicamente da questo punto di vista (quello che considera le ‘cose del mondo’, gli ‘oggetti’ o il ‘proprio mondo’ come parti esterne del corpo) si può spiegare l’apparente antagonismo fra il naturale e l’artificiale – la Storia delle Mentalità o la Filosofia stessa, può provarlo: da Platone a Hegel fino a Kierkegaard. Nonostante ciò, dopo Hegel, Kierkegaard, Nietzsche, Husserl, Sartre o Marleau-Ponty, è presente nella civiltà occidentale questa idea sbagliata: tutto ci è esterno, anche se è umanamente evidente che, se abbiamo conoscenza del mondo, è perché il nostro corpo che ce la da; e che, corpo e mondo sono privatamente e individualmente, uno solo in me, in te e in ogni altro essere umano.
Può darsi che la ‘nostra’ coscienza di questa visione privata e unica, una visione che ognuno di noi ha di ciò che lo circonda, sia la responsabile della costruzione di un mondo prestabilito, dato a priori e supportato dagli artifizi del linguaggio: esterno, concreto, condivisibile e con un’apparente possibilità di lettura univoca, universalizzante e mondana. Sia come sia, questa nozione di esteriorità delle cose in relazione al corpo sussiste e interferisce in tutte le attività umane; essa non è estranea all’architettura e alle discipline di frontiera.
Tuttavia, se incontriamo il corpo, non come qualcosa di esteriore al mondo, né il mondo come qualcosa esterno al corpo, allora, non avrà senso parlare di naturale e artificiale, di natura e anti-natura. Se pensiamo al corpo così come alla natura, allora esso sarà – ed è – tanto della natura come dell’uccello che vola, vive e muore, come me, in Cielo e in Terra.

Il passero costruisce il nido, l’uomo la sua casa. Sono entrambi costruttori.
È certo.
Il nido e la casa sono conseguenze formali di gesti che testimoniano la vita di uno e dell’altro. Il nido e la casa sono estensioni, protesi dei nostri corpi costruttori. Il nido e la casa, sono oggetti che, non facendo esattamente parte dei nostri corpi, li completano, li dilatano, e per quanto paradossale possa sembrarci, li significano perchè senza non potrebbero esprimersi.
Si presuppone che l’enorme differenza fra il nido e la casa, è che l’uccello non ne sia a conoscenza: non sa che il nido che costruisce è un’estensione corporale, che è una protesi che soddisfa in modo effimero una sua necessità, non sa perché vola o qual è il significato di volare; semplicemente costruisce il nido, per poi abbandonarlo quando soddisfa l’esigenza di perpetuare la sua specie, perché è la sua natura. Il nido è lo strumento del volatile. Non si può affermare lo stesso quando si parla della casa dell’uomo.Perché?
Perché la casa non è un attrezzo …
Perché la casa dell’essere umano si insedia nel mondo e il nido no.
Per questo motivo, legittimamente, il nido non è Architettura e la casa sì. Solo metaforicamente possiamo dire che il nido è la casa dell’uccello.
L’uccello non possiede una casa perché è libero; siamo noi che identifichiamo nella casa il nido del passero.

In senso lato la casa, l’oggetto architettonico, stabilisce un mondo nel mondo.
Ma qual è questo mondo in cui si instaura l’oggetto architettonico?
L’oggetto architettonico non è più un oggetto nel (o del) mondo.
Quando si converte in luogo, crea un mondo, un mondo a partire dal quale (o in funzione del quale) ‘l’albero, l’erba, l’aquila e il toro, il serpente e la cicala’ (e tutto ciò che appare alla coscienza, ciò che è dato’,1 infine, le cose2) acquisiscono significato nella forma, e in questo modo appaiono come sono’3. Da questa prospettiva possiamo dire che l’Architettura è – ciò che si situa fra l’uomo che abita e la cosa che è abitata – la struttura di un mondo a partire dal quale tutto il resto può avere senso.4 È attraverso la strutturazione del mondo che sorgono i limiti del significato. In altre parole: si crea universo dove le cose possano esistere5 – iniziano ad esistere in funzione della creazione del mondo, iniziano a coesistere, in analogia con questa creazione.
Ma cos’è il mondo?
‘Il mondo non è l’agglomerato delle cose sussistenti in quanto risultato di un’enumerazione, eseguita in dettagli o anche solo pensata.
Tuttavia, se non è la somma di ciò che esiste, tanto meno il mondo è l’ambito solamente immaginato e mentalmente prefigurato per l’esistente’. 6
Detto in altre parole, l’architettura instaura ‘un suo mondo ed è qualcosa che attribuiamo alla casa, che va al di là di ciò che è palpabile e comprensibile’7 – ossia un mondo che oltrepassa la tangibilità dell’oggetto architettonico.
Per questo motivo, l’Architettura non è riducibile all’oggetto architettonico e la sua comprensione non si esaurisce semplicemente in ciò che vediamo. L’oggetto architettonico instaura un mondo sulla terra,8 stabilisce una modalità attraverso cui l’uomo come ente, possa relazionarsi con la terra – ‘nella e sulla terra, l’uomo storico fonda il suo abitare nel mondo. Nella misura in cui l’opera instaura un mondo, produce terra. La produzione deve essere qui pensata in un senso rigoroso.
L’opera muove la propria terra in un mondo aperto e in essa la mantiene. L’opera lascia che la terra sia terra’.9
Quando l’oggetto architettonico include il corpo, o viceversa, quando il corpo si sente incluso da questo, l’oggetto smette di essere oggetto (là) e diviene luogo (qui).10 È questo che l’uccello non sa, né sogna mentre sta costruendo il nido o sta volando. Nella conversione da oggetto a luogo, da là a qui, da oggetto a mondo, nella certezza di un corpo non incapsulato, ma di corpo vivo, si instaura un mondo e tutto il resto deriva per analogia dalla relazione fra l’uomo e questo mondo sulla Terra.11 Il luogo, l’Architettura,  è il mondo: e ‘Il mondo non è un oggetto, che si situa prima di noi e può essere intuito. Il mondo è l’inoggettuale a cui siamo sottomessi fino a che le strade della nascita e della morte, della benedizione e della maledizione ci separeranno dall’Essere’;12 per questo motivo l’Architettura non si offre all’uomo come materia prima per la contemplazione degli occhi. Per questo la ricerca diretta ad un’estetica del visibile dell’Architettura sarà sempre incompleta perché ‘in senso lato, tutta l’estetica assume l’opera d’arte come oggetto, l’oggetto della percezione sensibile. Oggi questa percezione si chiama esistenza …’?
Per tutti questi motivi, l’Architettura non è solo una specie di cornice in cui l’uomo vive d
entro la società: l’Architettura instaura il mondo dell’uomo nella società.
Per cui, da questo punto di vista, è il luogo che offre all’uomo un’immagine di sé nel mondo: ‘Il tempio, (l’opera architettonica) nel suo esserci offre il suo volto alle cose e agli uomini lo sguardo su se stessi.
Questo sguardo resta aperto fino a che l’opera resta aperta, fino a che il suo Dio non sia fuggito.’14 In questa conclusione di Heidegger, ritroviamo Muntañola, secondo cui il luogo coincide sempre con il paradigma che in ogni epoca l’uomo ha di se stesso e dell’ambiente in cui vive.
Tuttavia Heidegger non ci dice a quale paradigma Muntañola si riferisce e, in un certo senso, non abbiamo fatto un passo avanti nella posizione originaria del problema: abbiamo osservato che l’oggetto architettonico non esiste autonomamente e che, è a partire dal momento in cui qualcuno si sente coinvolto dall’oggetto, che questo si converte in qui, in luogo. Nuovamente, che luogo è questo? Se è vero che esiste una conversione e che in questo cambiamento esiste un significato, qual è questo significato?
Ritorniamo al corpo.
Ciò che si può affermare con certezza sul corpo è che è mortale: ‘I mortali sono gli uomini. Si chiamano mortali, perché possono morire.
Morire vuol dire essere capaci della morte come morte. Solo l’uomo muore e vive in quanto sta sulla Terra e sotto il Cielo …’.15 Nonostante ciò ‘il Cielo di cui si parla non è il cielo astronomico, ‘il Cielo’ di cui parliamo è: ‘il Cielo (che) è il corso arcuato del sole, il destino della luna, il brillio degli astri, le stagioni dell’anno e i cambiamenti, la luce e il crepuscolo del giorno, l’oscurità e la chiarezza della notte, il tempo ospitale e inospitale, il passaggio delle nuvole e la profondità azzurra dell’etere …’;16 questo ‘Cielo’ è quindi, il tempo.17L’uomo è mortale nel senso spaziale e temporale. Questo essere umano, questo stato di esistenza e questa ‘coscienza della nostra identità’,18 rivela l’uomo in relazione con se stesso vicino alle cose19 – le cose che sono rappresentazioni indirette del tempo perchè si trasformano e divengono significative.
Il tempo sorge dalla mia relazione con le cose, dalla coincidenza nel momento in cui le trovo e le posso significare. Questo momento che la Fisica definisce come una frazione minima di successione temporale, è ciò che potremmo chiamare presente o ora – o nunc in cui si annullano le distanze; usando un termine di Heidegger, il ‘precipizio’ fra il soggetto e la cosa.20
Per cui quando parliamo di cosa stiamo parlando di Architettura: nonostante si sappia che esiste di fatto una distanza fra soggetto e oggetto architettonico che può essere misurata o rappresentata matematicamente da un numero21 o dalla geometria, e che, di conseguenza, questo oggetto in quanto sostanza chimico fisica non appartiene al soggetto (effettivamente, non condividono la stessa carne), ‘è … (alla fine), la coscienza che, a partire dal suo ora, l’istante in cui si disfa o si costituisce il tempo’,22 lo consustanzia.
In altre parole, nell’istante in cui la coscienza opera questo dispiegamento o questa costituzione, si può parlare di una coincidenza temporale fra il soggetto e ciò che lo riguarda – un’ora deposta in uno spazio avvolgente,23 ossia, la costruzione di un luogo24 (dove vivere ed esistere). La coscienza di questa unione fra soggetto/colui che lo circonda, o corpo/oggetto – che circonda il corpo, il tempo, il nunc li rende simultanei, nel senso che li fonde,25 li incasella l’uno nell’altro come in una sorta di rima.
In questo modo, quando si annullano la misura e il numero26 proposti dal pensiero oggettivo, quando si oltrepassa la materia e si sospende il discorso predicativo della scienza, si può dire che a partire dal momento in cui qualcuno si sente circondato dall’oggetto architettonico, nonostante i limiti corporali, questo comincia ad esistere come
un altro corpo, come una dilatazione del corpo o di uno ‘spazio umano’. 27 Questa dilatazione è il luogo ‘tra una rappresentazione di se stesso e una rappresentazione del mondo che lo circonda’.28
Il luogo è quindi, un altro corpo – è la dilatazione del corpo di qualcuno che essendo circondato dall’oggetto architettonico lo sensibilizza, lo umanizza, lo rende sensibile; per cui il luogo è uno spazio di rappresentazione del corpo, dove il corpo si proietta, è l’Architettura.
Il nido non è luogo, è strumento: ‘Contrariamente l’opera-tempio, instaurandosi nel mondo, non lascia svanire la materia, ma la fa risalire per la prima volta (hervorkommen) all’aperto del mondo dell’opera: la roccia diviene immobile e giace e solo allora, è roccia’.29
È da questo punto di vista che possiamo asserire che la natura dell’Architettura si occupa, fra le altre cose, di migliorare il paesaggio (detto naturale), in altre parole, dargli significato.
La nozione di paesaggio è stata inventata dalla Pittura.30
Possiamo dire: instaurando un mondo si crea un universo dove le cose possano esistere e coesistere, in funzione di un mondo stabilito, ossia, in analogia con questa installazione.
Cosa sarebbe la roccia se non esistesse la cappella?
Cosa sarebbe l’onda se non esistesse la chiatta?
Cosa sarebbero due rive se non esistesse un ponte?
Cosa sarebbe una scarpa se non esistesse il MAC?31
Cosa sarebbe una scogliera se non esistesse il faro?
Cosa sarebbe una spiaggia se non esistesse il forte?
La roccia, l’onda, le due rive, la scarpa, la scogliera, la spiaggia, sarebbero mere e indistinte occorrenze del paesaggio e non forme.
È la cappella che fa della roccia, la roccia. Questa roccia.
È la chiatta che fa dell’onda, l’onda. Questa onda.
È il MAC che fa della scarpa, la scarpa. Questa scarpa.
È il faro che fa della scogliera, la scogliera. Questa scogliera.
È il forte che fa della spiaggia, la spiaggia. Questa spiaggia.
Roccia/cappella, onda/chiatta, scarpa/MAC, scogliera/faro, spiaggia/forte, rimano naturalmente. Perché?
Perché una non esiste senza l’altra; come anch’io non volo come l’uccello in Cielo e in Terra.
PAJ Faculdade de Arquitectura, Universidade Tecnica de Lisboa Bibliografia
Ekambi-Schmidt, Jézabelle, La Percepción del Habitat, Barcelona, Editorial Gustavo Gilli,
S. A., 1974.
Heidegger, Martin, A Essência do Fundamento, Lisboa, Edições 70, 1988.
Heidegger, Martin, A Origem da Obra de Arte, Lisboa, Edições 70, 1990.
Heidegger, Martin, Vortrage und Aufsatze, Gunther Neske Pfullingen, 1954, pp. 145-162,
trad. do alemão por Carlos Botelho. Conferência dada a 5 de Agosto de 1951 no âmbito
do Colóquio de Darmstadt II sobre Homem e Espaço; impresso na publicação deste
Colóquio, Neue Darmstadter Verlagsanstalt, 1952, p. 72 ff.
Kubler, G., A Forma do Tempo, Lisboa, Vega, 1990.
Lyotard, Jean-François, A Fenomenologia, Lisboa, Edições 70, 1999.
Merleau-Ponty, Maurice, Fenomenologia da Percepção, 2ª ed., São Paulo, Martins Fontes,
1999.
Muntañola Thornberg, Joseph, La Arquitectura como Lugar, Aspectos preliminares de
una epistemología de la arquitectura, Barcelona, Editorial Gustavo Gili, S. A., 1974.
Muntañola Thornberg, Joseph, Topogénesis Tres, Ensayo sobre la Significación en Arquitectura, oikos-tau, s. a. – ediciones, 1980.
Norberg-Schulz, Christian, Existencia, Espacio e Arquitectura, Barcelona, Ediciones Blume,
1975.Note
1. Jean-François Lyotard, A Fenomenologia, Lisboa, Edições 70, 1999, p. 10.
2. Em que pensamos quando nos referimos aqui à coisa? Manifestamente, a coisa não
é apenas o somatório das características, tampouco
a acumulação das propriedades
através do qual somente existe o todo. A coisa é como todos julgam saber, aquilo
em torno qual estão reunidas propriedades.’ Martin Heidegger, A Origem da Obra
de Arte, Lisboa, Edições 70, 1990, p. 16.
‘Que é perceptível nos sentidos da sensibilidade, através das sensações.’ Martin
Heidegger, A Origem da Obra de Arte, op. cit., p. 18.
3. Martin Hedigger, A Origem da Obra de Arte, op. cit., p. 33.
4. Nesse mundo ‘… onde se jogam as decisões essenciais da nossa história, por nós
são tomadas e deixadas, onde não são reconhecidas e onde de novo são interrogadas,
aí o mundo mundifica. A pedra é destituída de mundo. A planta e o animal também
não têm qualquer mundo, mas pertencem à aglomeração velada de uma ambiência,
em que se encontram inseridos. Pelo contrário, a camponesa tem um mundo,
porque se mantém na abertura do ente. O apetrecho, na sua fiabilidade, confere
a este mundo uma necessidade e uma proximidade próprias. Ao abrir-se o mundo,
todas as coisas adquirem a sua demora e pressa, a sua distância e proximidade,
a sua amplidão e estreiteza.’ (Sublinhados nossos) Martin Heidegger, A Origem
da Obra de Arte, op. cit., p. 35.
5. Ali de pé repousa o edifício sobre o chão de rocha. Este repousar (Aufruhen) da obra
faz sobressair do rochedo o obscuro do seu suporte maciço e, todavia, não forçado
a nada. Ali de pé, a obra arquitectónica resiste à tempestade que se abate com toda
a violência, sendo ela quem mostra a própria tempestade na sua força. O brilho
e a luz da sua pedra que sobressaem graças apenas à mercê do Sol, são o que põe
em evidência a claridade do dia, a imensidade do céu, a treva da noite. O seu seguro
ergue-se torna assim visível o espaço invisível do ar. A imperturbabilidade da obra
contrasta com a ondulação das vagas do mar e faz aparecer, a partir da quietude
que é sua, com ele está bravo.’ Martin Heidegger, A Origem da Obra de Arte, op. cit.,
p. 33.
6. Martin Heidegger, Dell’origine dell’opera d’arte e altri scritti, op. cit., 2004, p. 38
7. Martin Heidegger, A Origem da Obra de Arte, op. cit., p. 35.
8. ‘Perguntamos: que relação há entre o instalar de um mundo e o produzir da terra na
própria obra?
O mundo é a abertura que se abre dos vastos caminhos das decisões e decisivas
no destino de um povo histórico. A terra é o ressair forçado a nada do que constantemente
se fecha e, dessa forma, dá guarida. Mundo e terra são essencialmente diferentes
um do outro e, todavia, inseparáveis. O mundo funda-se na terra e a terra
irrompe através do mundo. Mas a relação entre mundo e terra nunca degenera na
vazia unidade de opostos, que não têm que ver um com o outro. O mundo aspira,
no seu repousar sobre a terra, a sobrepujá-la. Como aquilo que se abre, ele nada
tolera de fechado. A terra, porém, como aquela que dá guarida, tende a relacionarse
e a conter em si o mundo.’ Martin Heidegger, A Origem da Obra de Arte, op. cit.,
p. 38.
9. Martin Heidegger, A Origem da Obra de Arte, op. cit., p. 36.
10. Passa a ser lugar-(num ‘ponto-aqui’): ‘Con este criterio [o do que o espaço existe
através da percepção de quem nele se encontra], el espacio está muy lejos de ser
equivalente a sí mismo en todas partes como nos enseñan geógrafos e geómetras;
muy al contrario, este espacio cuenta con un ponto de referencia que lo polariza alredor
del ser y constituy una especie de ‘Point ici’ que establece formas privilegiadas
a partir de la mayor o menor influencia que ejerce éste sobre el espacio.’ Abraham
A. Moles in Jézabelle Ekambi-Schmidt, La Percepción del Habitat, Barcelona,
Editorial Gustavo Gilli, S. A., 1974, p. 7.
11. Percebe-se, agora, nitidamente o motivo que levou Muntañola a reconhecer em
Husserl a originalidade de uma topologia axiológica actual – como também, passa
agora a fazer mais sentido a importância do indissociável enraizamento entre linguagem
e mundo de que Husserl falava, ele falava de lugar, falava de Arquitectura.
12. Martin Heidegger, A Origem da Obra de Arte, op. cit., p. 35.
13. Martin Heidegger, A Origem da Obra de Arte, op. cit., p. 65.
14. Martin Heidegger, A Origem da Obra de Arte, op. cit., p. 33.
15. Martin Heidegger, Vorträge und Aufsätze, Günther Neske Pfullingen, 1954, Tradução
do original alemão por Carlos Botelho, pp. 145-162. (Conferência dada a 5 de Agosto
de 1951 no âmbito do ‘Colóquio de Darmstadt II’ sobre ‘Homem e Espaço’; impresso
na publicação deste colóquio, Neue Darmstädter Verlagsanstalt, 1952, p. 72
ff.).
16. Martin Heidegger, Vorträge und Aufsätze, Günther Neske Pfullingen, 1954, Tradução
do original alemão por Carlos Botelho, pp. 145-162. (Conferência dada a 5 de Agosto
de 1951 no âmbito do ‘Colóquio de Darmstadt II’ sobre ‘Homem e Espaço’; impresso
na publicação deste colóquio, Neue Darmstädter Verlagsanstalt, 1952, p. 72
ff.).
17. ‘O tempo, como a mente, não é susceptível de reconhecimento enquanto tal. Conhecemos
o tempo apenas indirectamente, através do que nele acontece: observando
a mudança e permanência; marcando a sucessão dos acontecimentos entre quadros
estáveis, e assinalando o contraste entre ritmos variáveis de mudança.’ G. Kubler,
A Forma do Tempo, Lisboa, Vega, 1990, p. 27.
18. … temos consciência da nossa identidade através do tempo. Sentimo-nos sempre
este mesmo ser indecifrável e evidente, do qual seremos eternamente o único
espectador. Mas as impressões que asseguram a estabilidade deste sentimento,
torna-se-nos impossível traduzi-las ou sequer sugeri-las. Raymond Aron cit. por Jean-
François Lyotard, op. cit., p. 9
19. ‘Quando – como se diz – pensamos em nós mesmos, regressamos a nós a partir das
coisas sem renunciar nunca à estada junto delas. Mesmo a perda da relação com
as coisas, que surge em estados depressivos, não seria de todo possível se este
estado não permanecesse também o que é enquanto estado humano, a saber, uma
estada junto das coisas. Só quando esta estada já determina o ser-homem, podem
as coisas, junto das quais somos, não nos dizer nada, não terem nada mais a ver
connosco.’ Martin HHeidegger, Vorträge und Aufsätze, Günther Neske Pfullingen,
1954, Tradução do original alemão por Carlos Botelho, pp. 145-162. (Conferência
dada a 5 de Agosto de 1951 no âmbito do ‘Colóquio de Darmstadt II’ sobre ‘Homem
e Espaço’; impresso na publicação deste colóquio, Neue Darmstädter Verlagsanstalt,
1952, p. 72 ff.).
20. Martin Heidegger, A Essência do Fundamento, Lisboa, Edições 70, 1988, p. 35.
21. ‘A pedra pesa, e manifesta assim o seu peso. Mas, enquanto este peso pesa sobre
nós, ela recusa toda a intromissão (Eindringen) em si mesma. Se tentarmos isso, rachando
a pedra, as partes nunca mostram algo de um interior e de um aberto. Logo,
a pedra volta a retirar-se no mesmo abafamento e no pesado e maciço das suas
partes. Se tentarmos compreender isso por outra via, colocando a pedra numa balança,
aí só trazemos o peso (Schwere) ao cálculo de quanto pesa (Gewicht). Esta
determinação talvez muito precisa da pedra não passa de um número, mas o pesar
(Lasten) escapou-nos. A cor brilha e só quer resplandecer. Quando no uso do entendimento,
medindo, a decompomos em números de frequência de vibração, ela já
desapareceu. Só se mostra quando permanece oculta e inexplicada.’ Martin Heidegger,
A Origem da Obra de Arte, op.
cit., pp. 36 e 37.
22. Jean-François Lyotard, op. cit., p. 89.
Também Merleau-Ponty adverte para esta correlação consciência/tempo: ‘O tempo
é pensado por nós antes das partes do tempo, as relações temporais tornam possíveis
os acontecimentos no tempo. É preciso portanto, correlativamente, que o próprio
sujeito não esteja ali situado, para que ele possa, em intenção, estar presente
ao passado assim como ao porvir. Não digamos mais que o tempo é um ‘dado da
consciência’, digamos, mais precisamente, que a consciência desdobra ou constitui
o tempo. Pela idealidade do tempo, ela deixa enfim de estar encerrada no presente.’
Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia da Percepção, 2ª ed., São Paulo, Martins
Fontes, 1999, p. 555.
23. La percepción interfiere un mundo que podría ser descrito también perfectamente
como ‘ acontecimientos en un espacio-tempo de cuatro dimensiones’. Christian Norberg-
Schulz, Existencia, Espacio e Arquitectura, Barcelona, Ediciones Blume, 1975,
p. 11.
24. La lógica del lugar nos expresa en su propia estructura la dialéctica razón e historia,
por ello la lógica de representar lugares siempre ha comportado un equilibrio entre
experiencia y racionalización. El lugar, como limite, es más que nunca un balance
rítmico entre razón e historia; ya que el tiempo depositado en espacio, o sea, el lugar,
siempre refleja en su misma estructura el equilibrio existente entre un aumentode movilidad atrás y adelante en el tiempo (razón), y un alejamiento progresivo del
lugar originario (historia). Acuerdo febril entre movilidad conceptual y forma figurativa
(entre movimiento y reposo, diría Spinoza), la lógica del lugar marca siempre la
medida bajo la cual la humanidad es capaz de representarse a sí misma. Y así empezamos
a estar ya muy cerca del corazón de la Arquitectura como lugar para vivir.
Joseph Muntañola Thornberg, La Arquitectura como Lugar, Aspectos preliminares
de una epistemología de la Arquitectura, Barcelona, Editorial Gustavo Gili, S. A.,
1974, p. 30.
25. El usuario debe fundirse con el lugar, y el ‘fenómeno’ de la Arquitectura se constituye
como un todo indisociable en el que cualquier cuerpo humano experimenta el
mismo ‘fenómeno’. Joseph Muntañola Thornberg, Topogénesis Tres, Ensayo sobre
la Significación en Arquitectura, oikos-tau, s. a. – ediciones, 1980, p. 30.
26. Los conceptos de espacios físicos y matemáticos, sin embargo, satisfacen solamente
una pequeña parte da las necesidades originales de orientación del hombre. Christian
Norberg-Schulz, op. cit., p. 10.
27. Christian Norberg-Schulz, op. cit., p. 10.
28. Do castelhano ‘La evolución de este paradigma [o paradigma que em cada época o
homem tem sobre as interrelações entre si mesmo e o seu meio ambiente] ha estado
manifestada en los diferentes modelos de lugar desde Aristóteles hasta Thom, y
la característica común a todos estos modelos ha sido la simultaneidad que existe,
en la lógica del lugar, entre una representación de sí mismo y una representación
del mundo que envuelve a este ‘si mismo’.’ Joseph Muntañola Thornberg, La Arquitectura
como Lugar, Aspectos preliminares de una epistemología de la Arquitectura,
op. cit., p. 29.
29. ‘O apetrecho utiliza a matéria de que se compõe, porque é determinado pela serventia
e pela utilidade. A pedra é usada e consumida na fabricação (Anfertigung) do
apetrecho, por exemplo, machado. Esvanece-se na serventia. A matéria é tanto melhor
e mais adequada quanto menos resistência oferecer ao seu desaparecimento
no ser-apetrecho do apetrecho. Pelo contrário, a obra-templo, ao instalar um mundo,
longe de deixar esvanecer a matéria, fá-la pela primeira vez ressair (hervorkommen),
a saber, no aberto do mundo da obra: a rocha passa a jazer e a estar imóvel
e, só então, é rocha; os metais passam a resplandecer; as cores ganham a luminosidade;
o som adquire a ressonância; a linguagem obtém o dizer. Tudo isto ressai
na medida em que a obra se retira na massa e no peso da pedra, na dureza e na
flexibilidade da madeira, na dureza e no brilho do metal, no esplendor e na obscuridade
da cor, na ressonância dos sons e no poder nomeador da palavra.’ Martin Heidegger,
A Origem da Obra de Arte, op. cit., p. 36 (Sublinhados nossos).
30. A noção de paisagem é recente e, como quase tudo, foi inventada pela Pintura. Não
só a paisagem, tal como nós a entendemos hoje e a utilizamos enquanto conceito,
é recente como foi, insisto, inventada pela Pintura. Os pintores do século XVI começaram
por dar alguma importância à paisagem, servindo-se dela como cenário ou
pano de fundo. A paisagem viria a servir, desde o Renascimento até meados do século
XIX, de contexto sobre o qual as narrativas pictóricas eram veiculadas. Essas
narrativas que ocupavam o primeiro plano da representação aconteciam sobre uma
paisagem que criava a atmosfera e a profundidade, mas lá longe. Lá longe é como
a paisagem ainda hoje pode ser entendida – uma imagem longínqua a perder de vista
onde se contempla a distância entre mim e ela lá longe. E, assim, a paisagem
define, em confronto comigo, um ponto: o meu ponto-de-vista, o ponto que institui
uma certa maneira de ver e a partir da qual aquilo que se vê pode ser visto. Este foi
o critério que a Pintura usou desde o Renascimento até ao Naturalismo novecentista
para dar figura à paisagem. E se não foi, respondam-me uns, e ensinem-me outros,
os académicos.
31. Museo di Arte Contemporânea, Baia di Guanabara, Niteroi, Brasile.

Condividi

Utilizziamo i cookie per offrirti la migliore esperienza sul nostro sito web.
Puoi scoprire di più su quali cookie stiamo utilizzando o come disattivarli nella pagine(cookie)(technical cookies) (statistics cookies)(profiling cookies)