Centri storici minori

L’allusione al passato
rende più complesso il presente.
M. Augé, nonluoghi, 1993

‘La straordinaria varietà di situazioni presenti nel territorio italiano ci esime dal tentare una qualsiasi precisa definizione del termine ‘centro minore’; anzi deve apparire subito chiaro che è solo per comodità che ci si riferisce qui a una terminologia da tempo in uso soprattutto nel linguaggio degli urbanisti, e che va considerato nient’altro che un puro riferimento di relazione quantitativa sia nei confronti degli insediamenti minimi o sparsi sia delle grandi città’.1
Mentre le parole di Enrico Guidoni pongono un accento critico sul termine minore, che non deve costituire aprioristicamente un parametro qualitativo, tale aggettivo, riferito ai centri storici che costituiscono uno dei patrimoni più diffusi e qualitativamente più caratterizzanti il nostro Paese, è spesso portatore di pratiche tendenti alla cancellazione della memoria. Centri storici minori. Minori architetture, minori nuclei storici di nuclei urbani minori, minori interessi economici, interventi minori, memoria storica apparentemente di seconda categoria.2
I centri minori possono ancora configurarsi come modello di qualità e sperimentazione? È possibile progettare il passato invertendo la ‘freccia temporale’ all’interno della quale noi esseri umani crediamo, pensiamo, probabilmente siamo, destinati a vivere e secondo la quale il tempo scorre in un’unica direzione? Si può concepire l’intervento di restauro come un atto più generale di tutela che sappia vedere nelle costanti storiche ancora presenti le più favorevoli linee di sviluppo?
È possibile riformulare regole insediative esistenti a prescindere dalle dannose quanto diffuse iniziative settoriali o che puntano su operazioni di natura prettamente immobiliare?
Soffermarsi a riflettere sulle azioni progettuali perpetrate sul patrimonio 
dei ‘centri storici minori’ significa, o almeno dovrebbe significare, porsi questi, e molti altri, interrogativi. Il condizionale è d’obbligo, dal momento in cui numerosi centri minori sono in realtà caratterizzati da forme di degrado causate, per lo più, da diverse forme di abbandono: il risultato di interventi acritici condotti per ovviare a tale progressivo deterioramento si concretizza in un’avvilente omologazione delle quinte urbane e nella perdita della memoria storica, materiale e immateriale. Ancora troppo spesso si interviene sui nuclei storici come se questi fossero svincolati dal proprio contesto identitario; in realtà storico ‘il luogo lo è necessariamente dal momento in cui, coniugando identità e relazione, esso si definisce a partire da una stabilità minima. Lo è nella misura in cui coloro che vi vivono possono riconoscervi dei rifermenti che non devono essere oggetti di conoscenza’.3
Il recupero della città storica, l’organizzazione strategica di proposte di intervento, la complessità della periferia urbana e della città contemporanea che si estende oltre quella antica, pongono sempre più il problema del controllo dell’immagine della città e del territorio.
Ogni azione progettuale che sia finalizzata al ridisegno, alla rifunzionalizzazione o al nuovo intervento, entra nel merito del rapporto identità/qualità, che soprattutto nel tessuto quanto nella scena urbana mette in risalto esigenze di contestualizzazione e costringe ad atteggiamenti critici capaci di innescare un vero processo di riqualificazione nelle soluzioni operative, quanto nelle procedure di gestione e controllo. 4
Non riconoscere e, di conseguenza, non affermare valori storici e valori estetici del patrimonio architettonico dei piccoli centri significa seguire le mutate condizioni sociali, culturali ed economiche senza porsi il problema di progettare il passato.Progettare un passato diventa sfida ancora più ardua quando, confrontandosi con la qualità del tessuto urbano e con le caratteristiche tipologiche presenti, la scena urbana non viene riconosciuta e identificata come maggiormente rappresentativa delle forme quotidiane dell’abitare piuttosto che della singola emergenza architettonica o dell’edificio monumentale.
Riconoscere i centri storici minori come modello di qualità porta ad ‘(…) una serie di temi di riflessione che riguardano le finalità e i modi della salvaguardia del nostro patrimonio culturale. Non vi è alcun dubbio che sia necessario recuperare le risorse e le energie disponibili per tutelare e salvaguardare un immenso patrimonio storico che, soprattutto nei piccoli centri, rischia di scomparire per incuria o di essere ‘banalizzato’ o snaturato da interventi di ‘recupero’ poco attenti: del resto è ormai abbastanza diffusa la consapevolezza che la salvaguardia di questo patrimonio rappresenti un fattore di affermazione delle identità culturali e di sviluppo locale. Ma è altresì evidente che (…) il solo intervento di restauro delle strutture edilizie, anche se condotto secondo ‘le regole dell’arte’, non è di per sé sufficiente ad operare una salvaguardia duratura di queste testimonianze, se non è inserito in una logica di interventi ‘strategici’ che puntano a rimuovere i fattori che hanno generato il degrado, recuperando o riproponendo un rapporto di ‘necessità’ tra il manufatto e il contesto circostante. Ciò significa concepire l’intervento di restauro sull’emergenza architettonica come momento di un processo più generale di tutela e ‘riqualificazione’ che va esteso al paesaggio e al tessuto urbano’.5
Recuperare il ‘rapporto di necessità’ tra architettura e contesto, tra edilizia storica minuta e tessuto connettivo può fare la differenza per valorizzare un patrimonio a rischio di perdita, tornando a leggere con attenzione la morfologia dei luoghi, sperimentando metodologie di analisi e di rappresentazione dedicate ai livelli di lettura che contesti apparentemente marginali o di semplice decodificazione richiedono, non tralasciando i riferimenti di carattere storico-architettonico affinché le operazioni conoscitive non si trasformino in passive e acritiche catalogazioni di situazioni edilizie.

Ed è un rimprovero frequente quello mosso alle ‘città nuove’, uscite da programmi urbanistici allo stesso tempo tecnicisti e volontaristi, di non offrire l’equivalente dei luoghi di vita prodotti da una storia più antica e più lenta, ove gli itinerari singoli si incrociano e si mescolano, ove le parole si scambiano e le solitudini si dimenticano per un istante.
M. Augé, nonluoghi, 1993

1. E. Guidoni, Introduzione, in ‘Inchieste sui centri minori’, Storia dell’arte italiana, vol. 8, Einaudi, Torino, 1980, pp. 5-6.
2. Cfr. Centri Storici Minori. Progetti di recupero e restauro tra identità culturale e salvaguardia, a cura di Federica Maietti, Maggioli Editore, Rimini, 2008.
3. M. Augé, nonluoghi, elèuthera edizioni, Milano 1993, p. 61.
4. Cfr. M. Balzani, Pensare e vedere le altre città. I centri storici minori, sospesi tra tentativi di recupero/restauro ed esigenze di riqualificazione urbana possono essere il luogo di una nuova stagione di sperimentazione progettuale, in ‘Centri Storici Minori’, op.
cit., p. 21.
5. D. Pini, Il sito, il tessuto urbano e le emergenze. Un rapporto di necessità, in F. Maietti, ‘Dalla grammatica del paesaggio alla grammatica del costruito. Territorio e tessuto storico dell’insediamento urbano di Stellata’, Nardini Editore, Firenze, 2004, pp. 15-17.

Nella foto: Dettaglio delle case sull’argine di Stellata.
La morfologia dell’architettura storica minuta, attorno
alla quale il piccolo nucleo urbano si è sviluppato,
si è conservata pressoché integralmente preservando
la peculiare identità del borgo sorto lungo le rive del Po
(foto FM)

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