Un viaggio nell’architettura e nel design

Ha scritto Alberto Sartoris*: “Ai giorni nostri, sono le esigenze di una vita tendente alla felicità che dovrebbero essere prioritarie (…).
Nel momento stesso in cui negli ambienti fedeli all’invenzione vengono lanciati richiami alla ragione, possiamo dire che il razionalismo non è più solo tema di discussione e di dibattiti. Questo tempo è passato. Siamo sollecitati a ricercare l’equilibrio stabile della città. L’inevitabile della tragedia deve sparire. Le nostre azioni sono da perseguire nei nostri pensieri per raggiungere lo scopo supremo della vita felice: l’armonia. E, con Friedrich Holderin, concludiamo affermando che ciò che è eterno, sono i poeti che lo creano”.
La poesia però non si addice agli ascensori: se c’è un oggetto che non suscita sentimenti di felicità è proprio l’ascensore. Oggi, nel momento in cui si sono raggiunti livelli qualitativi altissimi riferiti al trasporto verticale nel settore ingegneristico, possiamo e dobbiamo dedicarci, come architetti e come designer, alla risoluzione delle esigenze inerenti le qualità spaziali di questo oggetto indissolubilmente legato all’architettura, potenziando il rapporto di empatia che deve intercorrere tra il contenitore e il contenuto
(l’uomo), anche con mezzi che vadano oltre le abitudini progettuali e di regolamentazione attuali, anche rompendone gli schemi, molto spesso obsoleti.
Negli anni ‘60 vediamo gli architetti protagonisti di un successo internazionale nel campo del design, perché a essi fa precipuamente riferimento il design degli oggetti per la casa e di quanto in essa contenuto, innovandone tutte le caratteristiche funzionali e formali.
Si è partiti dunque da un design che si riferiva agli spazi interni dell’architettura, che metteva i mobili in relazione diretta con questi spazi, definendone i parametri, sia dimensionali, sia tecnologici in un rapporto di reciproca sostenibilità.
Si è insomma costruito un procedimento progettuale innovativo al servizio del consumatore (non un design di marketing, come quello americano) partendo dal concetto che esiste uno “spazio primario” a cui fare riferimento per la definizione di una casa basata sulla cooperazione tra architettura, industria e design.
Siamo di fronte a un contenitore (l’abitazione domestica) riferito all’uomo.
In questo spazio architettonico convivono, insieme col suo abitante, due tipi di oggetti: quelli riferibili al contenere e quelli ergonomici, più una serie di altri elementi che si rifanno alla parte privata dell’individuo e alle sue necessità emozionali, come le opere d’arte: quadri, sculture, oggetti decorativi, ecc.
Gli ascensori, pur essendo oggetti tecnologici per il trasporto verticale, si pongono in modo diverso da altre macchine di cui si serve l’uomo per i suoi spostamenti e quindi vanno progettati in modo assolutamente differente rispetto all’automobile, al treno, all’aereo, ecc.Questi oggetti sono contenitori che fanno riferimento agli spazi esterni, mentre l’ascensore coinvolge lo spazio interno.
È necessaria una progettazione attenta ai fattori tecnologici, come per le altre macchine ma, risolti i problemi funzionali, è fondamentale che il designer coniughi la funzionalità con l’estetica, la tecnologia con la poetica dell’abitare. (…)
Non considero il colore una variabile astratta e immateriale, ma un componente strutturale: c’è il materiale pietra, il materiale legno, il materiale rosso, il materiale giallo. Perciò la trama di un pavimento in rovere non sarà, nel progetto, più importante di una campitura colorata.
Non riusciamo a immaginare un’architettura senza colori: il volume, la scatola, avrà sempre un colore, non importa se giallo o nero, blu o bianco.
È come in natura, dove il colore di una foglia o di un fiore non può essere scisso dalla materia. Anche nel caso in cui il colore assuma un ruolo segnaletico, non perderà il suo essere materiale strutturale del progetto, sostanza stessa dell’architettura che entra in rapporto con i volumi, dilatandone o deformandone la massa, oppure alterando il confronto fra interni ed esterni.
Anche gli interventi degli artisti sono frequentemente dei supporti alla disciplina del costruire capaci di suggerirci spazi e volumi alternativi agli schemi troppo spesso rigidi e ripetitivi degli architetti.
Tutto ciò, per ricordare che accanto agli elementi razionali agiscono sull’uomo anche momenti estetici che devono ritrovarsi entrambi, fusi e amalgamati, nei nostri ambienti domestici, così come in quelli lavorativi.
L’elevatore deve diventare una scatola magica in cui tutti gli elementi che ne definiscono lo spazio possano essere potenziati dall’apporto di componenti estetiche, per suggerirci un viaggio come nel caso di “Alice nel paese delle meraviglie”.

*Nel saggio “Forme immaginarie grafica creatrice nell’architettura di Salvati e Tresoldi” (Electa)

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