Sorta, col suo romitorio, attorno all’inizio del XVIII secolo lungo la strada che da Termoli conduceva a Guglionesi, la piccola chiesa della Madonna delle Grazie è sempre stata considerata un santuario: un tempo in aperta campagna, oggi circondata dall’espansione urbana. L’interno della chiesa fu abbellito a metà degli anni ‘60 del Novecento con il dipinto di scuola napoletana raffigurante la Madonna con Bambino (sec. XVI), mentre nel 1976 un casuale ritrovamento ha portato ad arricchirla con una statuina lignea rinascimentale dell’Addolorata (sec. XV circa).
I lavori di restauro si sono resi necessari a causa della mancanza di interventi conservativi e manutentivi e sono stati fortemente voluti dal Vescovo, S.E. Mons. Gianfranco De Luca, con la collaborazione del Vicario Generale, Don Gabriele Morlacchetti. Le opere di consolidamento e restauro sono state realizzate, con partecipazione appassionata, dall’impresa di restauro Edilgen di Campomarino (Campobasso), coadiuvata dal Geom. Nicola Franchi, dal capocantiere Antonio Sallustio, insieme ai progettisti Arch. Ivano Ludovico, Ing. Antonio De Gregorio, Arch. Giovanni Risolo, e all’Arch. Clementina Valente, funzionario della Soprintendenza per i Beni Architettonici del Molise.La struttura è stata consolidata, in facciata è stata recuperata la muratura originaria, all’interno sono stati eliminati i rivestimenti marmorei che impedivano al muro di traspirare, l’impiantistica è stata aggiornata. Insomma, ad una chiesa non vivibile sono state restituite le valenze funzionali proprie, sia in termini di luogo liturgico che di testimonianza di arte e cultura da sempre radicata nei termolesi e non. Interessante è stato l’intervento in facciata, interamente rivisitata, riportando in luce un antico rosone, ricostruendo un portale d’ingresso in mattoni e riposizionando, restaurata, la campana del 1795. All’interno del luogo liturgico è stato realizzato un pavimento bicromatico in cotto come tracce di un’antica pavimentazione lasciavano intuire ed è stato posizionato un nuovo altare in marmo statuario, un nuovo tabernacolo e una croce astile in bronzo, tutte opere dello scultore Michele Carafa. Il presbiterio è abbracciato dal vano absidale che risulta individuato grazie al grande arco che lo separa dalla navata illuminato da monofore con vetrate raffiguranti il cielo stellato (opera di Sara Pellegrini). La conformazione stessa dell’ambiente tende a concentrare la visione verso l’altare: Michele Carafa ha saputo esaltare questa qualità spaziale elaborando il polo liturgico fondamentale secondo una forma cubica che nel fronte si presenta con una superficie mossa da onde disposte a raggiera attorno al reliquario centrale. Questo diventa come un piccolo sole che proietta all’intorno la propria presenza.
Il tema della sorgente di luce, metafora del messaggio evangelico, è ripresa anche nel tabernacolo che si pone in tal modo in assonanza con l’altare, mentre la croce astile si eleva sul suo leggero stelo come una presenza eterea ma ben visibile, dando coerenza al tutto, come espressione di una dimensione totalmente “altra”.
Ricerca nel nostro sito
Michele CarafaMichele Carafa
Scultore