L’AMBIZIONE DI SEMPRE

Non c’è una spiegazione semplicemente razionale per il desiderio umano di alzarsi verso il cielo. Si può solo constatare che tale ambizione è sempre presente nella storia: dalla torre di Babilonia di biblica memoria, alle ziggurat mesopotamiche, alle piramidi – presenti con profili simili dall’Egitto all’America Latina – agli alti campanili delle chiese romaniche, alle guglie delle chiese gotiche.
Poi, le tecniche costruttive che fanno uso di acciaio hanno portato a realizzazioni che appartengono a un ordine di grandezza superiore a quello cui i materiali tradizionali avevano abituato gli architetti nella storia passata.
Ma l’aspirazione a raggiungere altezze sempre maggiori è rimasta inalterata.
E oggi la città verticale non è più un sogno: semmai il problema nuovo è se vi siano limiti entro i quali contenere la corsa verso la realizzazione di edifici sempre più alti e complessi.
Se la tecnologia detta questi limiti, che pur via via potranno essere superati, costante è il desiderio di rivestire di bellezza e di significato gli edifici. Pur in condizioni tali per cui il loro porsi nel contesto è totalmente nuovo. Perché un grattacielo di oltre 800 metri supera le dimensioni dell’architettura come questa è stata conosciuta sinora, per attingere alla scala geografica.
Un edificio oggi può essere alto come una montagna.
La città invade non solo la campagna, non solo il deserto, ma sconfina nel cielo.
Questo pone dei problemi nuovi all’arte del costruire.
La torre di Burj Khalifa nel Dubai è stata disegnata non semplicemente seguendo calcoli statici, ma prestando particolare attenzione all’effetto che i venti avrebbero avuto sulla sua struttura. Di qui la conformazione a guglia, con superfici esterne variamente concave che si spingono ad altezze diverse, componendo un manto estremamente variegato in sporgenze e rientranze. Queste sono destinate infatti a interrompere la vorticosità dell’aria.

“NEL GRATTACIELO IL PROGETTO RISCOPRE IL SENSO DEL LIMITE ”

 

Così si fraziona e si riduce la “pressione” del vento sulle strutture. Ma questa elaborazione strutturale si traduce anche in un effetto estetico: diviene il carattere che individua quella specifica torre. Non è una novità: anche la Guglia maggiore del Duomo di Milano, eretta a metà ‘700, è stata pensata in modo tale da ridurre al minimo l’impatto del vento e per questo è nato il suo disegno snello e leggero.
In ogni caso si vede come per le strutture elevate le considerazioni di carattere strutturale hanno un influsso sulla forma: gli edifici elevati sono soggetti a regole alle quali sembra che gli edifici di minore altezza siano sfuggiti.
Grazie a questo, il grattacielo recupera appieno – paradossalmente – il senso del limite che, proprio grazie a tecnologie quali il calcestruzzo armato e l’acciaio – l’architettura sembrava aver perso. Infatti l’architettura dalla seconda metà del ‘900 sembrava inoltrata su un terreno in cui la forma degli edifici poteva essere totalmente liberata dalle necessità strutturali: sembrava aver incontrato la stessa libertà espressiva della scultura, o della pittura. E da tale completa libertà progettuale sono conseguiti edifici a volte giudicati sorprendenti, a volte avulsi dal contesto, a volte troppo esibizionisti.
Avviene che gli edifici più visibili, i grattacieli, invece portino proprio a recuperare il rapporto con la necessità: per costruire edifici alti centinaia di metri occorre muoversi entro linee ben precise, rispettando parametri che attengono alla composizione del suolo, al rischio sismico, all’impatto dei venti.
Così, l’arte del costruire ritrova proprio nel grattacielo il senso della misura. E con esso anche il gusto della bellezza, intesa ora anche come capacità di ridurre al minimo l’impatto ambientale dell’edificio, sia nella fase costruttiva, sia nella fase gestionale, sia nella previsione del suo smantellamento. Quella del grattacielo è un’estetica nuova.
Ed è quella delle città del futuro.

 

“EDIFICI CONFORMATI DAI VENTI, DOTATI DI UNA NUOVA ESTETICA”

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