Democrazia urbana per la qualità architettonica Il CNAPPC, e Lei personalmente quale Presidente, avete preso l’impegno per il miglioramento della qualità dell’architettura diffusa, in particolare dall’incontro di Assisi del 1998. Quali risultati avete ottenuto? Intervista a cura di: Leonardo Servadio Quel congresso di Assisi era incentrato sullo slogan: “Mille concorsi all’anno in Francia e in Germania, poche decine in Italia”; era una denuncia e la dichiarazione di una ferma intenzione. Rilanciare la qualità architettonica avrebbe dovuto passare per lo strumento del concorso, l’unico capace di garantire una vasta partecipazione e un libero confronto di idee. Il nostro grido di allarme originava dalla visione di ciò che chiamammo “architettura italiana interrotta”: dopo 2500 anni di magnifici sviluppi, nell’ultimo mezzo secolo la massiccia edificazione delle periferie urbane, e l’impulso speculativo che la accompagnava, aveva portato 1) a costruire più di quanto non sia mai stato fatto in passato e 2) a farlo senza il dovuto rispetto per la qualità architettonica e per l’impatto ambientale e paesaggistico.
In Francia lo stesso principio è attuato tramite il “documento preliminare”. Prima di definire un progetto, questo è valutato in funzione all’effetto che avrà nel contesto. Per esempio, il noto caso del Grand Arche: questo è stato concepito nel contesto di una visione di assieme della città, per fare da contrappunto all’Arco di Trionfo e raccordarsi idealmente a questo. Alla valutazione preliminare inserita nel Codice degli Appalti spetta di formulare una chiara visione dell’impatto del progetto. La preoccupazione per la conservazione e valorizzazione del paesaggio urbano o rurale, e per l’importanza della qualità dell’architettura, ha trovato riscontro nel congresso successivo, che si svolse a Torino nel 1999. Qui l’impulso per una migliore qualità architettonica si tradusse anche nell’impegno dell’allora ministro dei Beni Culturali, Giovanna Melandri, per un disegno di legge “per la promozione della cultura architettonica e urbanistica”. Questo impegno si è tradotto successivamente anche nella “Risoluzione sulla Qualità architettonica dell’Ambiente urbano e rurale” del 2001 e quindi nel disegno di legge approvato due volte dal Consiglio dei Ministri, nel 2003 e nel 2004, sulla “Qualità architettonica”. Purtroppo tale disegno di legge non ha concluso il proprio iter entro la scadenza della legislatura; tuttavia alcuni suoi aspetti qualificanti, come quelli su menzionati, sono confluiti nel nuovo Codice degli Appalti. E quando nel 2004 abbiamo svolto il Congresso Nazionale degli Architetti a Bari, lo slogan è stato “Dai cento degli anni novanta ai mille concorsi di oggi, mille nuove architetture: cambia l’Italia”. Nello spazio del congresso erano visibili le immagini dei moltissimi progetti emersi come conseguenza di concorsi, segno che una nuova mentalità si sta affermando con forza.
Quali sono stati i principali ostacoli che avete incontrato o che incontrate ora?
Recentemente molti Ordini professionali si sono trovati in disaccordo col decreto Bersani…
Ma in Italia vi sono oltre 120 mila architetti. Non sono troppi? Dove ritiene che vi sia la quantità maggiore di scempi sui quali intervenire con progetti di riqualificazione urbana: sulle coste, in montagna… L’Italia è il paese delle tante culture e della varietà della natura. Ha il grande vantaggio di essere un territorio proteso nel mare, con un panorama variato. Anche le architetture rispecchiano questa diversità di culture e di condizioni naturali. Occorre mettere in campo la tecnologia più avanzata per risolvere i notevoli problemi ecologici che premono sul territorio. Il principio dev’essere – ma qui parlo non come Presidente del CNAPPC, bensì esprimendo la mia opinione personale di architetto – di rispettare le caratteristiche del luogo, ed esaltarle il più possibile. L’architettura non è come un’automobile, che dovunque vada resta uguale a se stessa. È come un albero, che ha le radici in un luogo preciso e cresce in un certo modo nel contesto dato, mentre magari altrove non cresce affatto.
Data l’abbondanza di scempi architettonici, si può parlare oggi dell’architettura del togliere piuttosto che del riempire?
Vi sono infrastrutture che spesso deturpano: penso al proliferare di impianti di risalita in montagna che, fuori stagione, restano come ferite nei monti. La situazione italiana è molto particolare. Abbiamo la corona alpina più bella del continente. Il paesaggio va salvaguardato facendo prevalere l’aspetto estetico, definito dall’armonia che deve instaurarsi tra natura e costruito, rispetto al semplice aspetto funzionale. In Italia vi sono molte aree di rilievo ambientale, aree a parco governate da una visione d’insieme nel rispetto della bellezza del patrimonio paesistico e del patrimonio architettonico. È fondamentale la capacità dell’architetto di comprendere unitariamente tutti gli aspetti di un territorio al fine di esaltarne l’armonia dell’assieme. |