ARGOMENTI DI ARCHITETTURA ISSN 1591-3171 N. 11/2018
DOI: 10.13140/RG.2.2.36488.88326
ABETI Maurizio (IT)
Abstract
Oggi il rapporto stretto e individualizzato con gli altri mezzi di comunicazione di massa fa sì che un edificio o un progetto possano trasmettere i loro significati a prescindere dalla presenza fisica sul luogo. Giornali, televisione, internet, realtà virtuali ecc., rendono superfluo volare nel Sud-est asiatico a Kuala Lumpur per ammirare le due Torri gemelle alte 452 metri, e costituiscono una delle più imponenti opere dell’ingegneria umana o in Australia per vedere il Teatro dell’opera di Sydney (la Sydney Opera House), che rappresenta una delle più significative architetture realizzate nel XX secolo. Ma se non c’è bisogno di andare a vederla, allora l’opera architettonica stessa non è in realtà necessaria, la maggior parte dei suoi contenuti importanti può trasmetterli anche solo con i disegni, le visioni tridimensionali fotorealistiche, le realtà virtuali che ci permettono di muoverci dentro a tal punto che la realtà è illustrata così efficacemente e con completezza da render poco desiderabile una visita effettiva.
Ecco che allora l’architettura, per essere media, non ha più bisogno di essere costruita, basta immaginarla e comunicarla al mondo affinché essa stessa a sua volta sia in grado di comunicare i suoi messaggi. Non è un novità, starete mormorando. Cerco che non è una novità in assoluto, altrimenti che bisogno c’era di Michelangelo per modificare il disegno delle facciate dei palazzi sul Campidoglio, ma oggi la smaterializzazione e la natura di «massa» del ruolo di media assegnano all’architettura un ruolo del tutto nuovo, capace, a ritroso, di modificarne in profondità i fondamenti, lo statuto disciplinare, i concetti base che sono alla radice della trasmissione di un sapere multimillenario.
Questo articolo si pone il problema di come comunicare in modo corretto, efficace e favorevole l’architettura.
Comunicare l’architettura L’inclusione dell’architettura fra i mezzi di comunicazione di massa, per essere ammessa, necessita di tre indispensabili premesse: 1. l’estensione delle caratteristiche sociologiche dei mass media all’architettura; 2. il riconoscimento del valore comunicativo dei segni architettonici; 3. la necessità di studiare l’architettura sul piano dell’artisticità che informa qualitativamente ogni attività operativa. Il che non esclude di riconoscere anche nell’architettura come mass medium gli eventuali casi di espressioni artistiche.
Riteniamo opportuno, in questo articolo, riferirci sostanzialmente ai problemi legati alla trasmissione della conoscenza dell’architettura, alla comunicazione dell’architettura, e quindi, non ricercando simulazioni complesse, alla messa a punto di necessarie strategie di comunicazione.
Oggi stiamo vivendo sempre più un cambiamento epocale. Il monopolio mediatico e tecnologico dei social network, la diffusione di internet (Facebook, Twitter, Pinterest, Instagram), l’uso delle nuove tecnologie (le applicazioni per smartphone e tablet, gli user generated content, le reti wi-fi, i blog) e delle strategie di comunicazione digitale (la realtà aumentata, i QR code, i VT Virtual Tour, le ricostruzioni 3D, gli open data e il), oltre i “mezzi” di comunicazione di massa, i mass media (televisione, radio, cinema, e ancora la stampa e la pubblicità), fanno ormai parte del nostro linguaggio quotidiano, di quella società dell’esperienza in cui si rivelano le nostre conoscenze e le nostre relazioni.
Grazie a questi nuovi strumenti, le strategie di promozione e comunicazione sono più ampliate e sono in grado di fornire informazioni, materiali e contributi che permettono di vivere in modo originale anche e, soprattutto, l’esperienza culturale, che sia la partecipazione a una mostra, la visione di uno spettacolo o l’ascolto di un concerto o conoscere l’architettura. I fenomeni comunicativi stanno dunque innovando profondamente anche il mondo della cultura con concetti, al punto che si potrebbe tentare un parallelo tra l’esito che l’invenzione della stampa produsse nel processo di diffusione della conoscenza e ciò che sta succedendo oggi nel web: nuove audience, nuovi format e nuovi linguaggi.
In tale ambito, la comunicazione dell’architettura, negli ultimi anni, ha avuto un’evoluzione decisamente eccezionale. Dal XXIII Congresso Mondiale degli Architetti, tenutosi a Torino nel 2008 (Transmitting architecture) fino all’ultima Convention dell’American Institute of Architects (AIA) il tema della comunicazione dell’architettura alla società si è fatto sempre più attuale e avvertito. Però, al presente, mentre altri ambiti disciplinare artistici si sono adeguati, modificati e ripartiti, nella comunicazione dell’architettura sembra prevalere la volontà di informarla più che comunicarla, un voler «dare notizia» senza preoccuparsi più di cosa si comunica: l’architettura dell’immagine o l’immagine dell’architettura. Spesso si è trasportati dal desiderio di farla apparire, come se si trattasse di un prodotto pubblicitario; crediamo, invece, sia molto più importante approfondire gli aspetti legati all’interazione tra architettura e comunicazione dei già detti media della società globale e comprendere le evoluzioni delle nuove forme di espressione dei linguaggi visuali grazie alla crescita esponenziale della tecnologia informatica.
Ma quando gli architetti, condividendo linguaggi e prestando attenzione solo alle risorse multimediali per la spettacolarità del loro progetto, elaborano lo “spazio costruito” come cosa indipendente o isolata dal resto delle attività umane, escludendo audience più ampie, sono spesso autoreferenziali. Così l’architettura rischia di perdere opportunità e di non comunicare correttamente alle persone i propri valori e soprattutto i propri metodi costruttivi e i propri presupposti conoscitivi; e non solo, ma anche quelle componenti che rimandano ad altro, su questo argomento ci ritorneremo più avanti. Di conseguenza, in questo caso, l’architettura mira alla semplice edilizia e non alla superiore coscienza di un valore anche morale e civile delle forme da essa create; e a non identificarsi con l’urbanistica per la comune esigenza di coordinamento delle parti in un tutto organico di alto valore sociale.
A tutto ciò i meccanismi comunicativi e partecipativi resi possibili dal Web, il quale ha fatto esplodere la concezione soggettiva della qualità architettonica dove non c’è più differenza tra architettura “nobile” e architettura per lo shopping (comunicazione commercializzata dell’architettura: massificata e consumistica) e ha permesso, rivoluzionando in maniera significativa il nostro modo di conoscere, stante la velocità di sovvertire gli schemi tradizionali del sistema della comunicazione architettonica e di adottare una visione dell’architettura che (non) si racconta. Nuove strategie e un approccio nuovo, che portino risultati tangibili e misurabili, appaiono fondamentali per comunicare architettura.
Come comunicare in modo adeguato e utile l’architettura?
Sicuramente utilizzando la comunicazione proveniente dai mass media ed in particolare dai new media, ossia le nuove forme di comunicazione mediate dal computer, le quali, negli ultimi anni, hanno notevolmente ampliato il ventaglio delle interazioni interposte, modificando profondamente le modalità di comunicazione degli individui ed hanno radicalmente modificato culture e stili di vita, a tal punto che gli studiosi si sono uniti nell’affermare che il medium sia il messaggio (McLuhan): cioè non è tanto il contenuto della comunicazione, quanto il mezzo, la tecnologia, che veicola i messaggi ed è in grado di plasmare il modo di percepire e pensare. Il messaggio ha una intenzionalità comunicativa di “manipolare”: da “in-fórmo” “da la-forma” e “plasma”.
E i dettagli, le implicazioni socio-culturali che nascono dalla mediazione simbolica dovrebbero intuire e non ipotizzare, dal momento che l’architettura è essa stessa un oggetto di comunicazione (strumento della e per la comunicazione, afferma Maurizio Bradaschia [1]), perché è il risultato di un processo ideativo dove si pongono le relazioni con l’ambiente fisico, nella sua costituzione complessa, comprendente i dati naturali (del clima, del paesaggio, dei materiali del territorio) e quelli storici, intesi come l’insieme degli elementi configurati dall’uomo, nella loro consistenza reale. In tali ambiti è la totalità del mondo percepibile come messaggio, dall’ambiente geografico alla città, agli oggetti d’uso. La comunicazione in architettura è parte sostanziale del processo progettuale di condivisione con il territorio, l’ambiente e la comunità. «Non si tratta più, com’era accaduto fino in tempi anche molto recenti, di capire l’architettura e comunicarne il valore, quanto piuttosto di un nuovo modo allargato di concepirla,…. È noto infatti che la comunicazione trae forza non tanto dai contenuti che veicola, quanto piuttosto dai criteri strutturali con cui essa stessa è organizzata. Criteri che hanno via via instradato la comunicazione dell’architettura verso nuovi e inediti significati della disciplina stessa»[2].
Nel rapporto tra architettura e mezzi di comunicazione, i mass media non dovrebbe essere mai fine a se stessi, ma finalizzati a raggiungere obiettivi di relazione, non ad autoglorificarsi e nemmeno a cercare seguaci, condivisioni o semplicemente piacere; a instaurare uno stretto rapporto con la cultura e con nuove forme di compartecipazioni fra le persone che lo vivono. La buona comunicazione architettonica avviene quando giunge, quando il segno è compreso e diventa patrimonio comune per la costruzione di un sapere, di una cultura.
Quindi, per comunicare l’architettura, che è ben diverso da informare perché implica una relazione, un legame, un passaggio, un mettere in comune, è necessario soprattutto collegare la frequenza di comunicazione sulla base di un rapporto tra l’architettura e gli “ascoltatori”. Farla conoscere ed ammirare non solo per quello che l’architettura elabora come risultato edificato, ma soprattutto per i valori che comunica e per i cambiamenti che attiva nella società, a livello sociale, culturale ed economico, con fenomeni come la new economy.
La comunicazione architettonica, consapevole delle proprie responsabilità e forte del proprio ruolo, diventa un segno sociale, un mettere un valore al servizio di qualcuno o qualcosa fuori da sé: non basta pronunciare, scrivere o disegnare per comunicare. Renato De Fusco rafforza questa affermazione sottolineando che: «L’architettura non è soltanto un’arte che risponde ad una funzione, ma qualcosa che serve anche a comunicare: la cultura, l’ambiente, gli usi e i costumi di una nazione»[3]. D’altronde la Storia dell’Architettura ci insegna che le opere giunte fino a noi dal passato sono segni della civiltà. Per certe culture primitive che non hanno lasciato testimonianze scritte, o ne hanno lasciate alcune non ancora decifrate, quel che resta dei loro monumenti costituisce la nostra principale fonte di informazione. Persino quando si tratta dei grandi periodi della storia -come l’età di Pericle in Grecia o quella di Adriano a Roma-, edifici quali il Partenone e il Pantheon rappresentano per la gente comune le manifestazioni più significative.
Un altro aspetto che i mass media dovrebbero riconoscere all’architettura, come fatto di comunicazione, è l’importanza dei sui segni architettonici. Sotto questo approccio la comunicazione dei new media continua a diffondere una conoscenza dell’architettura basata sulla tecnica dell’immagine, dell’happening, effimera, senza anima e senza forma di immortalità, azzerando, appunto, quella del significato nonché quella dell’iconologia, intesa come significato culturale di un differente momento nella storia della cultura e degli ideali. Prendendo come spunto il sogno della realtà americana, Robert Venturi con Denise Scott Brown scrive su Las vegas: «Questa è una spuria di architettura della comunicazione…. Questa è un’architettura di stili e segni, essa è anti-spaziale: qui a Las Vegas la comunicazione domina gli spazi intesi come elemento principale della composizione architettonica ambientale»[4]. Le lunghe strade, lo skyline di insegne della pubblicità, in cui gli stessi edifici diventano spot pubblicitari, i negozi, gli hotel e i Casinò, perfino i bellissimi “laghi artificiali” con i loro spettacoli di getti d’acqua danzanti al ritmo di musica con colonne d’acqua altissime, appaiano luoghi in cui la comunicazione iconica, descrive la realtà in maniera metaforica.
Maggiore perplessità si ha quando la comunicazione visiva per immagini, con la sua massima reazione comunicativa nel più breve tempo possibile, grazie al suo forte potere di richiamo, alla sua frequente immediata comprensibilità e alla facilità di memorizzazione, si rappresenta come simbolo di consumo, «il ristorante in forma di hamburger, che all’esterno è un simbolo scultorio, all’interno è un riparo architettonico»[5], l’“arte” del prodotto pubblicitario.
Oggi l’architettura divulgata dai mass media denuncia una perplessità legata alla valenza significativa e comunicativa degli spazi e in generale dell’oggetto architettonico. Su questi aspetti si è sviluppata un’attenta ricerca diretta a rilevare il significato semantico dell’architettura stessa, a cominciare dallo stesso Venturi, di cui Bruno Zevi scrive: «Venturi persegue, con ostinata costanza e indubbia acutezza, una ricerca diretta a rilevare il significato di ciò che sfugge al controllo burocratico e professionale…»[6]. In questa prospettiva l’architettura non segna una sua dissoluzione nei mezzi di comunicazione di massa, ma si pone come il luogo della comunità. Oggi, al contrario, vediamo che la cultura mediatica e tecnologica contemporanea, condizionata da una concezione sociologica secolarizzata, tende a ridurre la valenza di segno dell’architettura divulgandola come una semplice realizzazione formalistica (in chiave Pop-Architecture) a fini meramente commerciali e pubblicitari, e standardizzando il suo sistema compositivo la rendono inadeguata a comunicare. Essa deve essere, considerando anche ciò che l’architettura comunica, il segno tangibile nella città degli uomini, come presenza significativa, e deve rispondere alle esigenze della cultura di massa con strutture culturali che, per la loro conformazione architettonica, ambientale e funzionale, vivacizzano la condivisione, il cambiamento e rappresentano un valido segno architettonico di comunicazione di massa e quindi un’architettura come o in funzione dei mass media.
Il che non nega di identificare anche nell’architettura come mass media (e le varie comunicazione informatiche) la valenza artistica. L’esperienza della storia ci mostra come l’architettura, in alcune epoche più antiche, ha potuto avvalersi con continuità di “sistemi e contenuti” linguistici chiaramente definiti e questi hanno consentito talvolta un alto livello qualitativo o comunque costituito un valido strumento per operare. Comunque, il nostro secolo, e anche quello non molto lontano nel tempo, ha già prodotto, come fatto artistico, molti edifici non indegni di stare accanto a quelli del passato, e alcuni architetti, e non pochi, sono riusciti con successo a trasformare l’Architettura in una vera e propria Arte. «Spetta allora alla critica effettuare, grazie agli strumenti della semiologia, le opportune distinzioni e una efficace azione informativa»[7] che la rendano adeguata a comunicare.
Per un’architettura comunicata è necessario, come innanzi scritto, che il messaggio della comunicazione si concretizzi sul rapporto tra l’architettura e la collettività, questo eviterebbe la sua spettacolarizzazione, che il più delle volte si circoscrive a osservare l’esito ultimo: l’oggetto architettonico, e le opzioni di targetizzazione, tipo Facebook. Cioè fare diventare la comunicazione in architettura parte fondamentale del processo costruttivo: raccontare la storia che sta dietro i progetti (illustrata in seguito), attrarre, appassionare, ispirare con l’architettura, far sentire le persone di essere partecipi attivamente al racconto (realizzare una specie di “crowdsourcing”) e trasmettergli «l’importanza della poesia e la potenza che ha l’architettura di comunicare a molti livelli»[8].
Questo «tema (ancora per una nota tesi di McLuhan secondo cui “il mezzo è il messaggio”) è divenuto di notevole interesse non solo per chi si occupa di architettura, ma anche per coloro che la vivono e la utilizzano nei modi più vari. Non si tratta più, com’era accaduto fino in tempi anche molto recenti, di capire l’architettura e comunicarne il valore, quanto piuttosto di un nuovo modo allargato di concepirla, un modo in cui l’architettura, di per sé, è divenuta parte della comunicazione, strumento della e per la comunicazione. È noto, infatti, che la comunicazione trae forza non tanto dai contenuti che veicola, quanto piuttosto dai criteri strutturali con cui essa stessa è organizzata. Criteri che hanno via via instradato la comunicazione dell’architettura verso nuovi e inediti significati della disciplina stessa»[9].
Quindi, una nuova comunicazione che vede l’architettura andare al di là della sua stessa matrice: un’evoluzione dell’architettura con nuovi contenuti, con nuove finalità, capace non solo di essere un fenomeno di innovazione sociale, ma di modificare, sul piano teorico e operativo, il ruolo dell’architetto che lo vede oltre che progettista di spazi costruiti anche generatore di pensieri.
Ultimo accenno alla carta stampata (monografie, riviste, giornali, ecc.) che la vede soccombere già prima del potente sviluppo di Internet, del Web e delle tecnologie digitali connesse – prima tra tutte il continuo sviluppo dei motori di ricerca – , e questa caduta diventerà più marcata con la crescente presa di coscienza da parte del pubblico delle potenzialità dell’editoria digitale che con le sue modalità di fruizione riescono a gestire l’organizzazione, la rappresentazione, la memorizzazione e l’accesso ad oggetti contenenti informazioni quali documenti, pagine web, cataloghi online e oggetti multimediali, facilitando la ricerca e comprimendone i tempi.
Si può dunque trarre una prima conclusione provvisoria: che le riviste sono diventate strumenti relativamente di scarso interesse e non funzionali al mondo contemporaneo e alle sue nuove esigenze. Vediamone il perché.
Partiamo dalla risposta data da Vittorio Gregotti a Rossana Certini sulla rivista online Focus del Consiglio Nazionale degli Architetti italiani: «Quale futuro vede per i mezzi di comunicazione tradizionali e, in particolare, per quelli riferiti all’architettura?
Bisognerebbe distinguere tra le riviste e i libri. Le prime sono molto cambiate, dopo le avanguardie e i movimenti che le usavano per divulgare le proprie opinioni sono diventate uno strumento professionale. Per quanto riguarda i libri penso abbiano una loro stabilità. Non si leggerà l’“Orlando Furioso” su internet»[10].
Nel secolo scorso ed in particolare a partire dagli anni Sessanta del Novecento, gli architetti esprimevano sulle varie riviste editoriali le loro teorie approfondendo i contenuti tecnici, teorici e il proprio pensiero critico sull’architettura, contribuendo a rinnovare sia il metodo, sia il linguaggio architettonico. Oggi (pur se coscienti che l’informazione monodirezionale della comunicazione cartacea è limitatissima rispetto alle grandi potenzialità delle tecnologie digitali e per giunta limitata in gran parte da un pubblico proveniente dal mondo accademico e in minima dalla filiera: architetti, imprese, committenti) proviamo ad occupare lo spazio derivante dall’arcano dubbio relativo all’affidabilità e alla qualità delle informazione che corrono su Internet, riportando l’attenzione dell’architettura sulla ricerca piuttosto che sulla professione, come affermato da Gregotti.
Raccontare l’architettura per imparare a viverla e non fermarsi a soli dettagli costruttivi o progettuali o estetico-percettivi illustrandoli con splendide foto, immagini e disegni, ma pensare che l’architettura sia destinata agli uomini perché se ne servano, perché la utilizzino per la loro vita e non soltanto perché l’ammirino o ne traggano emozione estetica o conforto. Un’interpretazione dei bisogni pratici e spirituali dell’uomo dovrà essere ricercata e tradotta nelle forme edificate; e in tale manifestazione saranno riassunti in un fatto unitario i termini materiali e quelli morali che stanno alla base del problema.
È in questa luce che i dati di base e gli elementi che si pongono all’origine della formazione di un’opera dovranno essere individuati, interpretati e poi configurati, resi significativi in senso architettonico.
In primo piano nel processo ideativo si pongono anche le relazioni con l’ambiente fisico, nella sua costituzione complessa, comprendente i dati naturali (del clima, del paesaggio, dei materiali del luogo) e quelli storici, intesi come l’insieme degli elementi configurati dall’uomo, nella loro consistenza reale. In tali ambiti si capirà (se sarà così esposta) che la progettazione richiede una confluenza degli elementi di base, oggettivi e soggettivi, in un sistema nel quale siano connessi secondo un rapporto che diventa costitutivo: edifici e luoghi incarnano e preservano senso e valore, che poi sono i valori di un’architettura come fatto artistico.
Comunque «con ogni probabilità si è ormai concluso il tempo del supporto cartaceo come unico veicolo di trasmissione del sapere. Sono destinate a rimanere sul mercato dell’informazione solo quelle riviste che sapranno proporsi ai lettori mediante un approccio critico colto e sofisticato, distanziandosi, per qualità, dai canali di basso e medio contenuto culturale come i settimanali e i quotidiani»[11].
Viceversa il libro che pur avendo subito un evidente calo di vendita ha conservato la sua potenza di divulgazione della conoscenza, importantissimo per l’apprendimento simbolico-ricostruttivo.
In questo campo dell’editoria la tecnologia informatica, già verso la fine della seconda metà del XX secolo, ha reso possibile la diffusione di libri in formato elettronico, poi chiamati eBook o e-book (da electronic book).
Nel 1971 nasce il Progetto Gutenberg, lanciato da Michael S. Hart, la prima biblioteca di versioni elettroniche liberamente riproducibili di libri stampati, liberi da copyright o espressamente concessi per la libera distribuzione attraverso la rete Internet. L’uso degli eBook al posto dei libri stampati si è tuttavia diffuso solo all’inizio del XXI secolo, con la diffusione di appositi lettori e di altri dispositivi informatici mobili (smartphone, tablet e PC)
Una tecnologia di comunicazione che potrebbe sostituire totalmente anche il supporto cartaceo delle riviste, però ponendo l’accento su un aspetto fondamentale che l’architettura è un’arte:
“L’architettura è, e resta, un meraviglioso processo di sintesi in cui sono coinvolte migliaia di componenti umane: essa rimane pur sempre «architettura». La sua missione è ancora di armonizzare il mondo materiale con la vita. Rendere l’architettura più umana significa fare architettura migliore, e significa anche allargare il concetto di funzionalismo oltre il limite della tecnica. Questa meta può essere raggiunta solo con mezzi architettonici, creando e combinando le tecniche, così che si possa offrire all’uomo l’esistenza più armoniosa possibile”.
Alvaar Aalto (1940)
Note bibliografiche
1 M. Bradaschia, Comunicare l’Architettura, XXI Secolo, Treccani enciclopedia online, www.treccani.it.
2 Ibid. M. Bradaschia.
3 R. De Fusco, Architettura come mass medium. Note per una semiologia architettonica, nuova edizione,
Editore Dedalo, 2005 Bari – Italia.
4 R. Venturi, D. Scott Brown, A Significance for A & P Parking Lots or Learning from Las Vegas, in The
Architectural Forum, n. 128, 1968.
5 Ibid. R. Venturi.
6 B. Zevi, “Italia senza chiese” in Cronache di architettura, vol. 19, sec. edizione, Editori Laterza,
1978 Bari–Italia, p.1124.
7 Ibid., R. De Fusco
8 La motivazione con cui la Giuria ha premiato Alejandro Aravena con il Pritzker Prize 2016,
il “Premio Nobel’ per l’Architettura.
9 Ibid. M. Bradaschia
10 R.Certini, Architettura e comunicazione: parla Vittorio Gregotti (Intervista), rivista
online Focus del Consiglio Nazionale degli Architetti italiani, 2007.
11 Ibid. M. Bradaschia.
Abeti Maurizio
Graduate in Architecture
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