La croce e la luce

José Rafael Moneo Vallés ha vinto il Premio Internazionale di Architettura Sacra Frate Sole 2016. Moneo ci teneva proprio a vincere questo premio. Con franchezza lo ha dichiarato prendendo la parola dopo la proclamazione che lo aveva decretato vincitore, il 4 ottobre scorso a Pavia, in riferimento alla chiesa parrocchiale di Iesu a San Sebastián. 
Navarro di Tuleda, Rafael Moneo, non solo è tra i più affermati architetti della scena mondiale, già vincitore del Pritzker Architecture Prize, ma è anche uno dei pochi riconosciuti maestri. Un architetto come ormai se ne incontrano pochi, come lo definì Francesco Dal Co introducendolo a Venezia in occasione del convegno Architettura e Liturgia nel Novecento alla Biennale del 2004; “[…] una figura rara, che non sottostà ai movimenti, all’evoluzione immediata dei gusti, soprattutto capace di resistere al fascino dell’apparente novitas che continuamente tormenta chi pratica questa professione. Per usare una parola desueta, ma che a lui calza perfettamente, un architetto serio […].”  
Moneo aveva partecipato all’edizione del 2004 del Premio Internazionale con un complesso ecclesiale di cui si è molto occupata la critica internazionale: la cattedrale di Los Angeles. Un’opera complessa, difficile da comprendere, da giudicare e da collocare nel casellario dell’architettura religiosa contemporanea. La cattedrale di Nostra Signora degli Angeli, chiesa madre della comunità cattolica con una importante componente di popolazione immigrata dal centroamerica, doveva rappresentare e interpretare le tradizioni, le devozioni, la ricerca di stabilità ed innestarsi tra le arterie della enorme metropoli californiana, della città dei flussi. Inserita in un ambiente quindi radicalmente diverso da quello che siamo soliti associare alla presenza di una cattedrale. Comporre in un edificio questa palese dicotomia – un vero rompicapo – è stato il merito dell’architetto che aveva accettato l’importante incarico “con quella sensazione di vertigine che a volte provano gli architetti di fronte ad un lavoro di indubbio interesse, e al quale pertanto non intendono rinunciare, ma al contempo con la consapevolezza che, in caso di assegnazione, si dovranno confrontare con un progetto difficile.”    
Non mi esprimo su questa chiesa ritenendo che chi non ha preso diretto contatto con una specifica architettura, chi non ha visto muoversi la luce del sole e le persone nel suo interno, è prudente che non si esprima. La chiesa di San Sebastián invece l’ho visitata, una domenica d’autunno di due anni fa; ne parlo alla luce di quella diretta esperienza. 
differenza della prima, vero e proprio monumento ecclesiale contemporaneo, la chiesa realizzata da Moneo in terra basca è una chiesa normale e, come ha dichiarato il suo autore, ha comportato un approccio e di conseguenza un progetto opposti al precedente. 
Quella di Iesu è la parrocchiale di un quartiere di recente edificazione, Riberas de Loyola. L’edificio è posto dove il fiume Urumea descrive l’ultima ansa prima di gettarsi nell’Atlantico attraversando la città storica. La chiesa si impone a coloro che giungono al barrio dalla strada principale quale avamposto del quartiere col suo austero, cubico e bianco volume che sorge isolato al margine del Giardino della Memoria. Un edificio denso, ermetico, privo di segni di immediata riconoscibilità, ma sul cui alto fronte spicca una grande finestra con le ante perennemente spalancate ad accogliere il fedele. Un edificio “generoso nei suoi spazi e molto modesto nei suoi materiali”; così lo ha qualificato Rafael Moneo. 
Se prima ho indugiato sulla cattedrale californiana è perché, pur considerando la radicale diversità, la chiesa di Iesu condivide con quella alcuni temi. Vorrei soffermare l’attenzione proprio sui questi elementi: la croce e la luce. Croce e luce che si coniugano generando una trascendente icona ecclesiale che ritengo debba essere interpretata quale elemento centrale di questa architettura. 
Anni fa ho presentato una relazione nell’ambito dei convegni internazionali di Venezia sulle chiese con la pianta a croce, precisamente sulla persistenza della pianta cruciforme nelle chiese del XX secolo. In quel testo, poi replicato in forma più esauriente in lingua spagnola con l’eloquente titolo Morte e resurrezione di un archetipo, verificavo in sostanza che la pianta a croce non era affatto scomparsa nel secolo che ha assistito all’irruzione della modernità. Covava sotto le ceneri del fuoco della novità replicata, forse inaspettatamente, in diversi progetti. Nella maggior parte, chiese di natura storicista, ma la croce ha strutturato anche edifici di maniera moderna. Proprio in quegli anni si affacciavano sulla ribalta il progetto e il cantiere della chiesa di San Sebastián. 
Una chiesa in cui il ricorso alla tradizione è manifesto. Una pianta a croce e, per giunta, orientata ad est. Mentre nella cattedrale di L.A. la croce sottesa dai pseudo-transetti era più evocata che manifesta, in questa chiesa la croce è prepotentemente presente come in pochi altri edifici religiosi contemporanei.         
L’accettazione della pianta a croce come un dato di partenza, presuppone di riconoscere l’onda lunga della storia in cui si colloca l’esperienza religiosa: “Riferirsi alle architetture religiose del passato mi pare qualcosa di inevitabile e fecondo.” 
Moneo ha così prepotentemente risuscitato l’archetipo della croce pur nella drammatica distorsione della sua interpretazione che esprime la sua personale vicinanza all’opera degli scultori baschi Eduardo Chillida e Jorge Oteiza e rende loro omaggio.
Non è infatti una croce composta, simmetrica; è una croce disarticolata, che determina lo spazio dell’aula liturgica all’interno del quadrato di base dell’edificio. Una croce che “intende riflettere le tensioni del mondo d’oggi” dichiara Moneo, e che genera implicazioni importanti nel carattere dello spazio celebrato. 
Riconoscendo il valore simbolico della croce, pur ribadendo la pianta centrale e la centralità dell’altare, genera uno spazio non indifferenziato né unitario bensì caratterizzato dalla complessità di luoghi, percorsi, punti di vista e relazioni. Uno spazio molteplice per l’esperienza di fede personale in cui l’individuo condivide con gli altri l’esperienza religiosa.
Mentre nella cattedrale di L.A. il segno di una croce di luce direziona l’aula, in questo caso l’assemblea è sovrastata dalla croce e al tempo stesso sta dentro la grande croce, con ciò ribadendo il valore iconografico e il significato simbolico della croce. 
Moneo ha lavorato sempre con grande interesse intorno al tema della luce e, in particolare, delle camere di luce che illuminano celando la sorgente, la finestra. 
Lo ha fatto, ad esempio e in maniera sempre diversa, in molti musei che ha realizzato nel mondo. La luce nel museo è materia viva di progetto e tanto più lo è nell’edificio chiesa in cui la luce è epifanica e assume valenza teologica.
La luce della chiesa di San Sebastian è luce bianca. Entra da vetrature incolori, colpisce e danza tra le pareti dalla bianca innovativa malta cementizia. Moneo fa propria la lezione di San Bernardo lavorando con la luce che il buon Dio ci offre senza aggiungere per quanto possibile alcun commento, in una dimensione austera, quasi ascetica. 
Non c’è alcun intervento di colore. Anche la grande vetrata disegnata da Moneo che illumina la cappella del Santissimo, richiama figure – la croce, il sole e la luna in due fasi distinte – realizzate col tratto del piombo e il vetro tra campi in alabastro e non col colore. 
Laluce incontra solo un altro materiale, il legno di quercia, dell’allestimento curato da Moneo stesso. Il pavimento invece è sordo alla luce, lastre di pietra basaltica nera. Il bianco dell’involucro e il nero del pavimento hanno richiamato alla mia mente l’assolutezza della chiesa del Corpus Domini ad Aquisgrana. Arduo è però sondare i riferimenti che guidano il lavoro di Moneo. Si trovano nei suoi lavori continui rimandi al passato vicino e lontano ma mai in forma didascalica, in forma di citazione. 
Così, a me è parso che la croce di Chillida posta all’interno della basilica di Santa Mari´a del Coro nel centro storico di San Sebastia´n, una superba scultoria croce in alabastro, avesse molto ispirato questo lavoro. Ma Moneo cita piuttosto la Croce della Pace posta sopra il portale d’ingresso della vicina cattedrale.  
A me è parso che la finestra verticale che illumina di luce radente la bianca parete absidale potesse costituire un omaggio esplicito alla analoga apertura della cappella della Resurrezione di Erik Bryggman a Turku. Moneo ha infatti più volte citato le chiese – poche moderne che lo hanno segnato; accanto alla bianca mole del Corpus Domini di Aquisgrana e alla bianca cappella di Ronchamp, una di queste è proprio la cappella del cimitero di Turku. 
Ho chiesto a Rafael Moneo se si fosse direttamente ispirato a quella finestra. Mi ha risposto, con il sorriso gentile ed enigmatico che lo contraddistingue, che no, che la cappella di Bryggman sta nel suo cuore ma che non ha direttamente ispirato la finestra absidale della chiesa di Iesu. Non mi sarei dovuto aspettare risposta diversa.     

Dopo la cattedrale di Los Angeles, la Chiesa Parrochiale di Riberas de Loiola edificata nel nuovo quartiere in costruzione lungo il sinuoso corso del fiume Urumea, rappresenta una nuova esperienza per l’architetto Rafael Moneo nel complesso campo dell’architettura religiosa.

E così, se a Los Angeles l’architetto si sentiva intimidito per il contenuto simbolico che la Cattedrale rivendicava, nella parrocchia di Riberas de Loiola si sente un po’ sollevato di tali responsabilità. Ma consapevole tuttavia, che in questa occasione l’architettura rivestirà un ruolo fondamentale quale elemento aggregante per la vita di una comunità cristiana in una società pluralista e diversificata.
LA Chiesa PArrocchiale è stata realizzata con l’intento di fornire un servizio nel punto di accesso ad una zona residenziale collegata con la città attraverso un parco.
Nella Chiesa Parrocchiale non è più il volume a imporsi, quanto piuttosto la forma aguzza del suo campanile che identifica la chiesa come l’asse attorno al quale gira inevitabilmente tutta la vita sociale. il volume compatto della Chiesa PArrocchiale si offre con un gesto di apertura: come un’isola costantemente pronta ad accogliere chiunque, non solo coloro che condividono le stesse idee e vivono la stessa fede.
Un patio, un portico, delle aule, dei laboratori, alloggi per il pastore e i curati… e al piano terra, che dà direttamente al parco, un supermercato, che intendiamo come luogo di incontro: una visione contemporanea dei mercati delle città storiche.
Prima di raggiungere l’ingresso della chiesa, vi è uno spazio di filtro che serve a rendervi consapevoli di ciò che cerchiamo quando ci rechiamo in chiesa.
Lo spazio è astratto, cubico, e la sua verticalità lo rende alquanto diverso da ciò che si intende nella nostra cultura per spazio religioso tradizionale, quello che di solito ammiriamo nelle cattedrali gotiche. E ancora, troviamo la croce sul soffitto e con essa la presenza della luce come una manifestazione metaforica della trascendenza. 
In conclusione, va ricordato quanto il lavoro di tutti quelli che hanno partecipato alla realizzazione della Chiesa Parrocchiale abbia seguito l’esempio di Jorge Otezia ed Eduardo Chillida: il nostro auspicio è che in questa architettura resti una traccia dei loro insegnamenti.
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