Intervista a Claudio salocchi, Architetto e Designer

Intervista a Claudio Salocchi, architetto e designer.

Abbiamo intervistato un noto architetto, docente alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano
e commissario in numerose Sezioni di Laurea in architettura e design e più volte segnalato al premio
Compasso d’Oro, per riconoscere la scala nella sua valenza di progetto architettonico.

Qual è il significato che lei attribuisce alla progettazione dell’elemento scala, dal punto di vista materico, estetico, funzionale, legato magari anche alla sua stessa architettura?
Possiamo innanzitutto definire la scala come un elemento fondamentale in una casa che possieda almeno due piani. La scala è l’inizio della casa, è l’elemento di invito, di comunicazione, di collegamento, è il biglietto da visita dell’abitazione stessa. Evidentemente ogni scala ha una sua ragione e una sua origine progettuale che dipende dalla planimetria, dal
progetto, dal contesto, da quale area deve servire, dalla collocazione geografica, perché a volte sono richiami che si traducono in scelte di materiali di dimensioni e così via. Diciamo non esiste uno standard di scala se non la necessità di dare alla scala oltre alla visibilità anche il massimo d funzionalità e di confort nell’uso che della scala si fa.
L’unico standard è un rapporto alzata pedata che sia conveniente, ragionevole e che abbia anche un valore di scelta
ideologica in qualche modo. Cioè se uno pensa di aver trovato l’ottimo di un rapporto a/p cerca poi di portare quei rapporti in qualunque situazione quindi conformando la scale ai diversi fattori di natura più o meno tecnica, adattandole quindi ai vari dislivelli tenendo conto ad esempio delle lunghezze delle rampe, delle zone di sosta, delle pause, di come
si innestano ai vari piani e via dicendo.

Un piccolo inciso. Qual è il grado di flessibilità interpretativa che l’architetto deve dare alla normativa in modo da poter creare delle scale che non siano un mero stampo legislativo?
Purtroppo ci sono molte situazioni dettate da normativa che sono molto rigide e spesso illogiche. tante volte si costringe a realizzare delle scale che poi non esistono nella quasi totalità realtà di tutto ciò che è pubblico. Si impongono delle norme che la stessa amministrazione fa fatica a seguire nelle realizzazioni o nel recupero del costruito. Evidentemente si tratta di fare un ragionamento a volte diverso nell’intervenire sull’esistente e sul nuovo. Ritornando invece al discorso della concezione euristica dell’elemento scala è poi opportuno aprire una dovuta parentesi sull’ambiente definito dalla zona geografica. È ovvio che ad esempio nel progettare una casa in montagna potrei pensare come materiale principe al legno, mentre per una casa al mare lo stesso materiale sarebbe più difficilmente immaginabile. Dovendo progettare una scala in luoghi dove si producono marmi e pietre cercherei di utilizzare i materiali locali in quanto diventa un discorso di vocazione del luogo.

Il genius loci insomma
Esattamente del genius loci si parla. L’Italia conserva ancora molte aree di estrazione e di lavorazione di pietre e marmi con capacità di manodopera ancora eccezionale Quando parliamo delle cosiddette scale in rosso Verona, se considero che ci sono pietre favolose, una capacità di manodopera ancora validissima, allora diventa quasi naturale, oltre che stimolante, utilizzare queste opportunità. E la bravura del progettista sta proprio nel comprendere istintivamente che esiste la possibilità di farlo e che questa possibilità da un valore aggiunto all’idea progettuale. Utilizzare queste specificità significa donare anche un sapore ben diverso all’intervento, è il progetto che si fa interprete del materiale e della maestranza del luogo, delle possibilità che li ci sono in quella particolare situazione geografica e che altrove sono assenti.

Quindi a suo avviso la scala è un elemento estremamente progettuale?
Assolutamente. È progettuale in qualsiasi situazione, sia che si progetti ex novo, sia che si intervenga in un ambiente
con un suo valore storico. Supponiamo, ad esempio, di dover operare su una casa colonica del ‘700/’800, che forse non è cosi importante dal punto di vista architettonico, ma che indubbiamente possiede delle potenzialità. Ecco che la scala diventa un elemento importantissimo. La scalaè sempre l’elemento di avvio di tutto. Quando si prende in mano un progetto di ristrutturazione, infatti, si parte proprio dai collegamenti, dall’interrelazione tra gli spazi, da un percorso di vita nella casa. In queste strutture dotate di tipologie che si ripetono (anche se interpretate diversamente da regione a regione) ci sono sempre degli spunti stimolanti quando si deve iniziare un discorso di ridestinazione funzionale. Se si voglionoricodificare situazioni preesistenti, è chiaro che preservare le caratteristiche strutturali rende il risultato eccezionale rispetto al progetto ex novo. Anche nel caso della scala, quindi, occorre prendere spunto dalla situazione originaria. Nella tipologia delle cascine si poteva trovare la cosiddetta “porta morta”, ossia il luogo dove entravano e si riparavano i carri. Da questa posizione strategica può nascere una nuova dimensione abitativa con spazi e volumi, come le stalle e i fienili, riqualificati per destinazioni spettacolari. Evidentemente chi sceglie un edificio storico più o meno importante lo fa perché è stato affascinato dall’anima dell’edificio e quindi il progettista deve cercare di riproporlo in
chiave contemporanea in ogni suo elemento. E’ sbagliato stravolgere ogni stratificazione temporale e, anzi, la bravura di un progettista in questi casi si evidenzia nel dettaglio, nella delicatezza dell’intervento lasciando comunque trasparire una propria personalità e uno stile.

Mi parlava di scempi operati a questo livello in molte opere pubbliche. Quale il concetto sbagliato con cui si opera questo tipo di interventi?
Rivolgendo lo sguardo a strutture pubbliche come i teatri si vedono cose quasi drammatiche. Il concetto sbagliato risiede nel fatto che sembra quasi che si progetti la scala sulla scorta del dettato dei pompieri. Relegata in un angolo assume quasi parossisticamente l’unica funzione di salvare la vita e di non farsi denunciare in caso di incidente ma non viene
posta nessuna attenzione al progetto di quest’elemento. Pensiamo, ad esempio, al Teatro Regio di Parma, al cui fianco
sono direttamente visibili superfetazioni aberranti e materiali inadeguati. Un controsenso che assume quasi i toni
dell’assurdo, se ci si riferisce poi all’attuale attenzione quasi spasmodica di certe amministrazioni nel cercare gli
architetti più famosi per ridisegnare l’immagine delle città e delle opere pubbliche.

C’è una mancanza di cultura insomma su tutti questi aspetti. Non viene compreso che la scala diventa un elemento portante non tanto in termini strutturali quanto in termini di progettualità.

La scala deve legarsi all’edificio sul quale insiste, ma deve essere anche un intervento con uno senso specifico. E’ ormai un concetto assimilato da quasi tutti che, ad esempio, accanto ad un edificio neoclassico non si debba per forza costruire in stile. L’intelligenza progettuale sta nell’esaltare i caratteri dell’edificio traducendoli nei caratteri e nello spirito della contemporaneità.

Claudio Salocchi

Curriculum Cronologico
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La scala può essere anche elemento e oggetto di design?
Utilizzare la scala come oggetto di design nasce dall’interazione con il vissuto quotidiano. Da questa ricerca si scopre la necessità di dare ad un elemento come la scala valori simbolici, estetici e la possibilità di incorporare funzionalità aggiuntive come l’illuminazione o, come nel caso di un progetto da me sviluppato, una funzione specifica come la libreria.
Questo diventa poi stimolo per il progettista per la ricerca di nuove soluzioni tecnologiche e spaziali.

Intervista a cura di Fabio Bergallo

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