RITORNINO LE FACCIATE!

Già in passato CHIESA OGGI architettura e comunicazione ha organizzato diversi concorsi di idee di architettura (sul campanile, sul sagrato, sugli spazi oratoriali per sport e cultura – questi ultimi due insieme con il Consiglio Nazionale degli Architetti PPC, la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, la Conferenza Episcopale Italiana, l’ultimo anche con la partecipazione del CONI). Qualcuna di quelle idee si è tradotta in realtà: campanili costruiti, sagrati risistemati, oratori ammodernati…
Il Premio ha un po’ la funzione espressa dal termine inglese “think tank” (contenitore di idee), e con questa nuova iniziativa ci proponiamo di raccogliere idee a tutto campo: di architetti ma anche di artisti, liturgisti, teologi, urbanisti: dei tanti protagonisti sensibili del nostro tempo che sanno ascoltare, riconoscere, esprimere la chiesa e il rapporto tra chiesa e città oggi. L’architettura ha sempre saputo e ancora sa riproporre i valori cristiani rappresentandoli in modo immediato, con emozione eticamente fondata nella testimonianza della ecclesìa, ovvero della comunità: di questa comunità odierna che è “del luogo” e insieme di “tutti i luoghi”, locale e globale, aperta a un dialogo universale come mai prima fu possibile, in un abbraccio di fede, speranza e carità. Auspichiamo che nella facciata della chiesa si rifletta questa nuova sensibilità. L’argomento è delicato e importante, merita un’ampia riflessione, sia per le chiese contemporanee, molte delle quali sono, per scelta progettuale, prive di facciata, sia per le chiese storiche, molte delle quali sono rimaste senza facciata perché questa era l’ultima parte a essere costruita, e spesso mancavano i fondi.
Vi sono poi tanti luoghi dove si sente la mancanza della confortante, amichevole presenza della chiesa: auspichiamo che anche per questi casi molti vogliano proporne il volto, a riempire i vuoti rimasti nella sconfinata città che è divenuto il mondo.
Oggi si parla tanto di “immagine mattoni”. E il volto della chiesa è un’immagine, ma  composta di elementi ben concreti: sassi, marmi, mattoni, colonne, paraste, sculture, porte, mosaici, affreschi, ombre, luci, chiaroscuri, vuoti e pieni… Come tante parole che sgranano un discorso, come un pensiero che si dispiega aprendo un volume… quale il messaggio che comunica il volto della chiesa oggi? Quale il linguaggio con cui si rivolge a un popolo “globale” abituato alla rapidità di Internet, ai viaggi intercontinentali?
Proprio in un contesto quale quello odierno, in cui la comunicazione ha raggiunto un vertice prima inimmaginabile, la persona si sente più sola e isolata che mai. Anche per questo il fedele ha bisogno di trovare nei segni della struttura ecclesiale un insieme di indicatori che dicano accoglienza e fraternità: predisposizione a un incontro che si realizza in pienezza nella celebrazione dei santi misteri, ma è preparato già da una struttura accogliente, che invita a entrare, e propone il dialogo.
L’apertura all’Altro, al Soprannaturale, sollecitata dalle linee architettoniche offerte dagli interni di un edificio, è già introdotta sin da quando il fedele intravede il campanile, da quando si avvicina a una facciata che riconosce come simbolo del suo credere, luogo di incontro familiare, linguaggio intenso di una realtà che va oltre. Anche qui, nella e dalla facciata, vive la missione del simbolo che trova poi nell’espressione orante il suo vertice e il suo contenuto più autentico.
La sete di questa simbolica è quel che sta all’origine della nostra provocazione; e questo perché l’edificio chiesa parli da solo, a cominciare dal suo volto esteriore, anche a chi distratto passa davanti, e forse è invitato a entrare proprio a partire dalla ricchezza e insieme dal mistero che comunica. Poiché le forme rispondono alle leggi della percezione visiva, e sulle forme si innestano tradizioni plurisecolari di significati e normative segniche codificate da settori disciplinari, diversi ma coerenti e inevitabilmente influenzati dall’incalzare delle immagini che la comunicazione diffonde per ogni dove, quali sono le forme che oggi sanno mediare il rapporto tra il passato e il futuro? Quali le linee che possono esprimere accoglienza e invito all’incontro con l’Altro e con gli altri? In qualità di editore mi è consueto discutere, riflettere, dibattere immagini e forme che presentano esternamente quel che una pubblicazione racchiude: oggi si chiama la cover. La cover di un libro, una rivista, un CD o DVD è elaborata al tavolo della redazione, più che dall’autore del contenuto. Perché il contenuto musicale di un CD deve trovare nella copertina un’emozione coerente ma espressa con mezzi differenti, rivolti ad altre qualità percettive. La cover re-interpreta quanto da altri è stato creato e lo ripropone come un invito, come il primo gesto di un dialogo. Immagini, forme, volumi, superfici, trasparenze esprimono istintivamente valori che consegnano un messaggio: questo introduce al contenuto, ne rivela la possibilità di rispondere a un bisogno. Non è la facciata della chiesa la “cover” con cui una specifica comunità si identifica, si presenta e si rivolge al mondo odierno, così pervaso di suggestioni, così distratto? L’architettura ha la missione di sintetizzare le forme, nell’insieme e nel particolare, nella statica e nel movimento, nella prospettiva che varia con l’incedere della persona rivelando nuovi aspetti prima nascosti. Così il cammino diventa una continua scoperta. E la facciata, a chi vi si avvicina pian piano svela qualcosa di più del suo segreto. Qui c’è una chiesa! Un messaggio di armonia, il ritrovare se stessi insieme con gli altri, espresso nell’accordo proporzionale tra le parti che formano il tutto, attraverso gli spazi a servizio dell’incontro tra persone.San Pietro in Vaticano, dell’aretino Michelangelo, riceve la sua facciata dello svizzero Carlo Maderno e chi vi giunge è prima accolto dall’abbraccio dell’imponente colonnato del napoletano Bernini. Nell’approssimarvisi, si attraversano epoche e sensibilità diverse, ma tutte concorrenti a un unico fine. Il tema della facciata gode di una sua autonomia. Si pensi per esempio alla chiesa di San Babila, nel centro di Milano: aveva il volto barocco, ma nel Novecento la nuova attenzione verso le tematiche sociali ha portato a mutarne l’aspetto proponendo un eclettismo radicato nel romanico: ed è così che oggi la conosciamo. Una chiesetta settecentesca in un paese oggi a popolazione multietnica, ha ancora valore oppure è meglio ripensarne la capacità espressiva attraverso una nuova facciata? La copertina di un volume di Tucidide o di Platone, pubblicato oggi sarà assai diversa da quella con cui lo stesso testo era proposto due secoli fa… Per questo forse ha senso, nel contesto di un Premio di Idee di Architettura, ragionare, sulla base di concrete proposte, se sia possibile proporre aggiornamenti anche per la “cover” di una chiesa antica. Non per sfidare le giuste leggi che riguardano la conservazione dei monumenti storici, ma per interrogarsi sulla capacità di comunicare oggi e per l’oggi, ripensando proprio alle moltissime chiese dalla facciata non finita, per le quali si può immaginare una presentazione capace di mediare tra le epoche e di parlare veramente ai fedeli e agli abitanti della città contemporanea.
Perché come il libro, anche l’architettura porta un racconto: entro un contenitore che accoglie persone che si incontrano, e hanno in comune un ideale, un credo, un bisogno. Il tempo scorre ma il messaggio della cristianità mantiene i suoi valori: rinnovando, ricomunicando la sua autentica, vivissima attualità, cogliendo il presente nei suoi costumi, nei suoi abiti, nei nuovi strumenti di comunicazione, nelle sue scenografie. Il “volto” delle case forma il paesaggio costruito che ci accoglie e ci influenza, ci rallegra o ci incupisce… L’architetto ha una grande responsabilità: quando genera le facciate non sta costruendo solo per il suo committente, ma deve sapere che sta progettando per tutti coloro che passeranno per quella via e vedranno la sua opera. Questa coscienza esiste? L’architetto deve farsi carico di tale responsabilità. Che cosa fa per dare tensione, amore, energia a questo dovere morale che non vive solo nel presente, ma si protende nel tempo come testimone di un’epoca? Il volto è dove la chiesa si svela e rivolge un invito a tutti, credenti e non, attraverso espressioni di armonia umana… e emana luce indicando la fede, sollecita speranza attraverso la sua bellezza, dice carità con le sue porte aperte.Video, schede web, approfondimenti, dettagli prodotto e altro ancora

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http://pro.dibaio.com/giochi-luce2Tra laicità e sacralità ci muoviamo in un orizzonte simbolico, come simbolica è una qualunque “soglia”. È l’homo symbolicus pertanto che interpella la liturgia, e viceversa, ma interpella costantemente anche il ministero dell’architetto per quanto concerne lo spazio “sacro” e pertanto simbolico!
La Chiesa è un corpo; e dunque ha un volto: quello di Cristo, quello dei santi… quello di ogni battezzato che vive nel tempo, nella cultura, nelle situazioni più  diversificate…
E da quel volto trasfigurato che è il Cristo prende forma il simbolo della chiesaedificio chiamata a essere luogo in cui si attua una realtà in sé unica: il Tempio che è Cristo stesso, perché è solo in Lui, per Lui e con Lui che si ha accesso alla Trinità.
Se la complessità del discorso per ciò che riguarda l’interno di una chiesa è stata approfondita sotto tutti gli aspetti nelle pagine di CHIESA OGGI architettura e comunicazione, meno considerato appare tutto ciò che riguarda la facciata in modo specifico, con tutto ciò che questa comporta, sia come espressione delle persone che vi “abitano”, sia come luogo e momento di soglia.
In sé la facciata ha la missione di manifestare e di introdurre. Manifesta un “volto” in cui si rispecchiano i fedeli; in essa ogni sguardo, sia del credente, sia del laico, si posa come elemento per identificare una scelta di vita, come richiamo a una fede che dia senso al quotidiano. Ma la facciata possiede anche la missione di introdurre in uno spazio in cui si muovono e abitano elementi e realtà di un mistero divino e umano insieme. Ogni elemento posto nella facciata ha un senso in rapporto tra il territorio e ciò che è racchiuso all’interno: forme, linee, simboli, finestre, scritte… e soprattutto il portale e la porta sono elementi che strutturano un “volto” e che aprono sull’ineffabile presente nei simboli reali dei sacramenti che si celebrano.
Come all’interno, anche sul volto esterno il progetto richiede un’armonia e una contiguità di elementi che dia vigore al linguaggio simbolico per pro-vocare, cioè per chiamare ad entrare.
O per lo meno per invitare a riflettere, a interrogarsi sul significato di un linguaggio che orienta ad andare oltre.
Ma il passaggio tra la città e il luogo sacro ha bisogno di un atrio. Un atrium gentium anche per le chiese moderne? Il bisogno di incontro è permanente nel tempo e nelle culture.E se la chiesa è un punto di incontro per un’espressione di fede, perché non può avere uno spazio in cui fede e ragione possono incontrarsi come un aeropago di stringente attualità?
Ma un simile spazio ha bisogno di essere strutturato in modo che il parlare, il riflettere, il discutere… sia facilitato dall’opportunità dell’incontro.
Qui l’architetto è invitato a trovare soluzioni che diano risposta ad attese.
Esempi di atrium gentium non mancano nella storia; il pronao può costituire un segno di richiamo e un invito ad andare oltre per attualizzare l’attesa di incontri, dello spazio per parlare, del luogo che invita a riflettere.

E se la facciata fosse staccata dal corpo dell’edificio sacro?
Nessuna meraviglia né preclusione; anzi può costituire una soluzione per includere anche l’atrium gentium in quella realtà che più opportunamente può essere identificata con il vultus Ecclesiae. Sì perché tale vultus non è solo quello che appare nel culto, ma anche quello che traspare nell’attesa di un culto “in Spirito e verità” come bisogno di rapporto con l’Assoluto. Due elementi, ancora, vanno considerati come essenziali in questa realtà: il campanile e il portale. Al di là di illusorie desacralizzazioni, ma attenti pure al rispetto acustico dell’ambiente, il campanile è parte integrante di una facciata.
Sì, perché i lineamenti del volto-facciata rinviano a qualcosa d’oltre; e anche il suono delle campane s’innesta nell’armonia delle linee tanto da produrre una sinfonia tra linguaggi figurati, strutturati e acustici.

Di tutta questa realtà il cuore pulsante è la porta.
L’esempio che proviene dalla storia è di un’eloquenza unica. Ma oggi la porta quanto invita ad entrare? È il segno di un’accoglienza o semplicemente un segmento per delimitare un ingresso?
Se la porta non invita ad entrare chi varca la soglia?
“Oltre ogni soglia” infatti è il programma che sta dinanzi all’uomo pellegrino nel tempo e nello spazio. Il suo andare nel tempo diventa prefigurazione di quanto l’Apocalisse lascia intravedere quando parla dei salvati che seguono l’Agnello dovunque vada. L’esperienza dell’ingresso nel santuario diventa a sua volta metafora e insieme prefigurazione di quell’ingresso nel definitivo Santuario, Cristo Signore, cui è invitato ad entrare ogni uomo.
“Oltre ogni soglia” è il progetto che accompagna il fedele nei gesti fondamentali di un itinerario cristiano: da quando varca la prima soglia per accedere al battesimo, a quando la varca – sempre portato e sorretto dai fratelli nella fede – per l’ultimo viaggio. La memoria di questi due momenti che racchiudono l’arco dell’esistenza terrena è rinsaldata dai simboli e dalle strutture architettoniche che caratterizzano lo spazio sacro: la loro evidenziazione e personalizzazione è garanzia di recupero di un messaggio essenzialmente storico-salvifico, pur espresso con il linguaggio dell’arte e della cultura.
“Oltre ogni soglia” è il senso che va dato all’esperienza del limite che caratterizza chiunque si trovi in cammino. Il richiamo alla realtà della riconciliazione, della penitenza, della misericordia… fa parte essenziale del messaggio perenne del vangelo. Ecco perché accanto ai segni ordinari che richiamano questa esperienza dell’amore del Padre, di tanto in tanto se ne collocano altri – come il varcare la porta nel tempo di un giubileo – per risvegliare un’attenzione che talvolta rischia di assopirsi in un piatto quotidiano.
“Oltre ogni soglia” infine è la sfida che rilancia il cuore umano di fronte a qualunque avvenimento. La gioia dell’attesa, della nascita, della crescita, dello sviluppo, del cammino, del dolore, della partenza, dell’ultimo addio… trova nell’Alleluia il canto che invita a gaudere et laetari anche nella prova più difficile, perché «la Chiesa – come si legge nel n. 10 della Gaudium et spes – crede di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e la fine dell’uomo nonché di tutta la storia umana».

Atrium gentium o vultus ecclesiae? L’interrogativo iniziale non pone alternative: la facciata con lo spazio che le compete è ambedue le realtà. Luogo di incontro, più figurato che reale, è vero; ma è di questa “figura” che c’è bisogno in un tempo come il nostro desideroso di trovare un senso a un diffuso “non senso”. Ed è per questo che essa ha bisogno di provocare manifestando il proprio volto carico di linguaggi che – nella loro complessità di contenuto ma anche nella loro immediata semplicità di comunicazione – possano dire accoglienza, apertura, disponibilità, rispetto…
Se tutto è posto in questi termini allora il valore della “soglia” riacquista la sua importanza e pretende lo spazio necessario per dare alla città una dimensione che nessun’altra struttura può offrire. Il cantiere è dunque aperto!*/ Usa il link pro: aggiungi la stringa chiave e leggi altri contributi:
es: http://pro.dibaio.com/manlio-sodi

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