Quello che l’Editto di Costantino e Licinio del 313 d.C. suggerisce rispetto alla concezione dello spazio liturgico dei nostri giorni. S.E. Mons. Mansueto Bianchi esamina alla luce della storia, il nesso tra forme architettoniche e loro significato simbolico quale espressione dell’identità cristiana e della sua presenza viva nel territorio.
Nel 2013 si celebra il 1700° anniversario dell’Editto di Costantino, con il quale il Cristianesimo diviene religio licita; l’architettura sacra ha come spartiacque questo evento.
In un’ottica di un serio approfondimento sul tema dello spazio sacro quale significato assume questo anniversario per i credenti?
Si può oggi parlare con maggiore pacatezza ed equilibrio di giudizio su questo evento dell’Editto di Costantino, rispetto ad altre stagioni anche recenti, in cui l’espressione “epoca costantiniana” della Chiesa comportava una forte carica di polemica e di rifiuto. Al di là di più motivati giudizi storici, si può dire che Costantino intuisce il futuro e legge il Cristianesimo come il fermento nuovo che sta permeando la società e l’impero del suo tempo. Avvicinandosi poi la fine dell’impero, anche la riflessione patristica lo dichiarerà esplicitamente:“ I Cristiani sono la giovinezza del mondo”! Il Cristianesimo si pone così pubblicamente dentro una società e una cultura, come presenza che si dichiara e proposta che si motiva. Sintomo di questo nuovo modo di presenza è la scelta della basilica come spazio sacro. Siamo dinanzi all’assunzione di uno schema architettonico non più in sola chiave civile e antropologica ma con una rilettura teologica.
Lo spazio architettonico della basilica diventa rivelativo di una “memoria”, di una Presenza che è motivo di esistenza della Comunità stessa: a questa Presenza l’assemblea si volge, questa Presenza l’assemblea accoglie come punto apicale che “informa” tutto il suo vivere.
Di questa vicenda resta valida quella che chiamerei una linea metodologica: concepire lo spazio sacro in continuità con l’identità culturale della comunità, ma insieme farlo avanzare e reinterpretarlo, in vista della propria specifica identità e proposta.
Si tratta di fare in modo che il linguaggio architettonico racconti quella Presenza e quella memoria che ci motiva e che raccoglie l’ assemblea cristiana. Con questa originale identità, che è insieme riconducibile e irriducibile, la comunità cristiana si dice e si propone pubblicamente, per così dire si racconta nel linguaggio dell’architettura, della configurazione dello spazio.
“…dopo l’Editto di Costantino, il Cristianesimo si pone pubblicamente come parte
di una società e come espressione di una cultura, come presenza che si dichiara
e come proposta che si motiva…”
La Nota pastorale della CEI sull’adeguamento delle chiese afferma che l’edificio sacro “non si può considerare una generica opera architettonica ma essa è debitrice della sua conformazione alla relazione che la lega all’assemblea del popolo di Dio che vi si raduna”; quali possibili itinerari saranno percorribili affinché questo legame nel tempo possa essere costantemente aggiornato?
Circa il legame del quale si parla vedo due rischi che sono anche, talora, due constatazioni: la riproposizione immota di modelli e forme architettoniche; cerebralismi e astruserie che nascono da uno sganciamento tra l’identità culturale dell’architetto e il “mondo” cristiano per il quale lavora. L’esperienza cristiana non è una generica esperienza religiosa da intendersi come vuoto spazio in cui l’architetto si può liberamente muovere ed esprimere. L’architettura sacra per i cristiani è dentro una “tradizione” che veicola dottrina, esperienza liturgica e celebrativa, interpretazione della vita secondo il codice evangelico della Santità. Questa tradizione, proprio per rimanere tale, chiede di essere reinterpretata ed espressa anche in nuova forma ma non si può prescindere da essa o usarla solo a pretesto per forme e simboli del tutto soggettivi o generici. Al di là di questi rischi occorre evidenziare la necessità di un nesso vitale tra il linguaggio architettonico e patrimonio cristiano. Tale nesso si esprime come prossimità fatta di conoscenza ed interiore sintonia tra architetto ed evento cristiano, così come esso è sentito e vissuto dalla comunità, al servizio della quale ci si volge. Particolarmente opportuni e utili sono, in merito, proposte specifiche di formazione che vengono promosse a diversi livelli sia accademici che associativi.
Quale rapporto dovrebbe esistere tra liturgia, rito e spazio architettonico della chiesa?
È essenzialmente un rapporto di coerenza. Nel senso che la liturgia è la grande “azione” di vita e di lode che il popolo di Dio, gerarchicamente strutturato, unito a Cristo nel vincolo dello Spirito offre al Padre. Il rito, è per così dire, la grammatica o il linguaggio della liturgia stessa. Esso deve rimanere in forte contatto motivazionale ed espressivo con l’esperienza liturgica. Diversamente si irretisce nel ritualismo, nella forma di ragione a se stessa, in una estetica cerimoniale tanto più accanita quanto più vuota. È questo nesso profondo tra liturgia e rito che mantiene quest’ultimo nella dimensione della sobrietà e della significatività, lo rende comprensibile e partecipabile. In tal modo il rito diventa porta d’accesso per l’assemblea all’ evento liturgico, anziché impedimento e cortina. Lo spazio architettonico è anch’esso al servizio della liturgia come linguaggio celebrativo dell’assemblea che si esprime attraverso il rito. Occorre perciò uno spazio non generico ma pensato in funzione dei contenuti e dei gesti che deve accogliere e proporre. Uno spazio non banale perché diventa luogo del “segno”, della “memoria” ed esso stesso segno e memoria di ciò che si compie. In tal modo lo stesso spazio architettonico entra in una armonia profonda, simbolica oltre che funzionale, rispetto all’evento che in esso si attua e di tale evento è reso non solo muto testimone o freddo contenitore ma espressione e trasparenza. Vorrei richiamare l’attenzione su alcuni momenti o luoghi di questo spazio architettonico che, per il valore che hanno e il simbolo che raccolgono, meritano una particolare attenzione e riflessione: l’altare, la cattedra, l’ambone. Ad essi aggiungerei il luogo della custodia eucaristica o, come si diceva con allusione biblica, il “tabernacolo”: ho la sensazione che in molte chiese sia vissuto come luogo di disagio o di ingombro che non si riesce bene a capire dove collocare. Si incontrano, di fatto, le collocazioni più sorprendenti e disparate. Credo che sarebbe interessante e amaro insieme, cercare di capirne il perché. Un ultimo elemento, inerente
allo spazio architettonico e alla sua relazione con l’evento cristiano di cui custodisce la “memoria”, vorrei indicarlo nella porta. È un luogo e un elemento di distinzione ma non di separazione: è per così dire il varco della comunione dalla vita all’eucaristia e dall’eucarestia alla vita; è un elemento importante del volto con cui la comunità cristiana si presenta al mondo, è la mano tesa dei credenti verso tutte le persone, compagne di strada. Credo che questo elemento meriti un’attenzione e una cura forse maggiori di quelli che riceve.
“…il linguaggio architettonico racconti la Presenza e la memoria che motiva e raccoglie l’assemblea cristiana. Con questa originale identità, insieme riconducibile e irriducibile, la comunità si propone pubblicamente…”
Di Baio Editore ha dedicato attenzione alla realtà della sua Diocesi attraverso il primo numero del Grande Regesto delle Chiese Italiane, progetto editoriale condiviso dalla Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa allora presieduta da S.Em. Card. Francesco Marchisano. La ricognizione svolta ha consegnato una ricca testimonianza sulla storia della fede che ha visto la chiesa di Pistoia costantemente tradurre tale percorso in forme architettoniche aggiornate. Quale insegnamento per il futuro possiamo ricavare da questo fare memoria?
Il Regesto fu pubblicato nel 1996, come numero uno del Grande Regesto delle Chiese Italiane. La ricerca sistematica sugli edifici di culto presente nel comune di Pistoia, nasceva dall’ esigenza di definire un territorio ristretto e in una città “media” nella panoramica nazionale, sulla quale approntare un metodo di ricerca e una sistematizzazione delle problematiche riguardanti gli edifici religiosi, da proiettare poi sul più ampio territorio nazionale dove è urgente, ancora oggi, un’indagine conoscitiva aggiornata. Pistoia ha la caratteristica di un territorio ricco di opere, distribuite sull’arco del tempo senza soluzione di continuità: un vero e proprio “percorso” storico-artistico, attraverso i secoli. Il Regesto è quindi la testimonianza del cammino della fede dentro la nostra storia colto nell’espressione dell’architettura ecclesiastica. Solo due elementi vorrei rilevare da questa importante opera, che possono indicarci una strada di percorrenza verso il futuro. Anzitutto, Pistoia presenta una testimonianza di edifici sacri distribuibile su tutto l’arco delle stagioni della storia dell’arte: dall’alto Medioevo sino all’epoca contemporanea. Non si tratta solo di una compiutezza formale, si tratta di molto di più, della testimonianza di come, in ogni epoca e stagione culturale, la fede abbia avvertito l’esigenza di dirsi con il linguaggio e la forma tipica del tempo. È una straordinaria evidenza della contemporaneità della fede a tutte le stagioni del cammino dell’ uomo in modo che essa è sempre avvertita ed espressa come “moderna”, cioè sintonica e sincronica al sentire delle persone e della comunità. Un secondo elemento consiste nel fatto che queste testimonianze architettoniche si esprimono sia attraverso le forme più nobili e complesse, sia attraverso quelle più semplici e popolari. Anche questo mi pare uno straordinario segno di convergenza, attraverso percorsi anche socialmente ed economicamente diversi, verso una stessa esperienza, quella cristiana, che è riconosciuta come motivo di vita e codice interpretativo della realtà. Questo aspetto di “cattolicità in verticale” raccoglie ed esprime in un unico linguaggio il sentire dei grandi e dei piccoli, dei potenti e dei miseri. Credo che la memoria di questo percorso nella storia, senza soluzione di continuità, ci sfidi ancora oggi e per il futuro a dare seguito a questa straordinaria profondità e ampiezza di respiro del nostro passato e della nostra fede.
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