Oggi, quando si parla di comunicazione, ci si riferisce quasi esclusivamente ai media e all’elettronica. La comunicazione sembra una realtà irrinunciabile ed è diventata discriminante per chi non riesce a inserirsi nel mondo accelerato della trasmissione tecnologica.
Chi non possiede almeno un PC è tagliato fuori e appare un soggetto alieno o rinunciatario rispetto alla chiamata universale a comunicare, a essere “in rete”. Ma anche il PC è superato: palmari, ebook elettronici, ipad e altri dispositivi di avanguardia sono la nuova frontiera. Ritengo che, mentre non si può negare che comunicare sia non solo una necessità, ma anche una virtù cui non ci si può e non ci si dovrebbe mai sottrarre, va sfatato il mito dell’assorbimento o monopolio mediatico o tecnologico della comunicazione. L’uomo ha sempre saputo comunicare, anzitutto con la parola ma anche con il gesto, e tra i tanti modi di comunicare vi sono anche le scelte di indossare un certo abito, di acquistare una certa automobile, di abitare in campagna piuttosto che in città, di aderire a una corrente politica… anche queste sono manifestazioni di carattere sociale e culturale, forme espressive del pensiero. In modo speciale, espressivi ed eminentemente comunicativi sono i linguaggi dell’arte, tanto che a essi è usuale riferirsi per caratterizzare o descrivere un’epoca storica, una cultura locale o un movimento di pensiero. Il che vale per ogni forma di arte: pittura, scultura, fotografia, moda e, forse in particolare, architettura.
Quando pensiamo al Romanico o al Gotico ci viene subito in mente un certo periodo, con le sue peculiarità sociali, politiche e religiose: il mondo che ha espresso quei particolari stili. Questo, naturalmente, accade non solo per il passato, ma anche per il nostro tempo, e accadrà anche in futuro.
Quindi è evidente che anche l’architettura e l’arte contemporanee abbiano le loro istanze e le loro ragioni connesse col tempo corrente. Si dice che non vi siano più, come in passato, specifici canoni cui architetti e artisti possano o vogliano ispirarsi. Forse è così, ma questo non potrà mai essere inteso come una verità assoluta.A guardar bene, anche oggi è possibile rintracciare canoni nascosti che costituiscono coordinate di riferimento. Ora, se queste considerazioni si possono riferire all’arte e all’architettura in generale, in modo del tutto singolare riguardano il sacro. Una chiesa contemporanea è, infatti, portatrice di istanze contemporanee. Ma qui, ovviamente, il discorso si fa complesso, perché all’edificio chiesa si chiede di esprimere, e in modo mirabile ed efficace, l’istanza teologica che ne specifica identità e funzione. Esso deve rappresentare e rievocare il fatto dell’Incarnazione, deve annunciare che Dio è in mezzo a noi e viene a portare speranza e salvezza. Di qui le grandi aspettative estetiche rivolte alle chiese, anche quelle nuove che, si dice da più parti, appaiono “brutte”. E non c’è dubbio che negli ultimi decenni si siano costruiti edifici di culto dal disegno modesto; seppure non manchino anche esempi di buona architettura.
Rimane sempre il problema di collegare qualità e liturgia, istanza estetica e teologica. In questo complesso mondo, tra la terra e il cielo, quasi un luogo antropo-teologico, si inserisce lo sforzo di riflessione cui la Conferenza Episcopale Italiana sta invitando a partecipare architetti, artisti e liturgisti.I concorsi di progettazione di nuove chiese, i cosiddetti Progetti Pilota, più che essere concepiti come strumenti che infallibilmente producono opere di qualità, sono indicazione di un metodo: per progettare una chiesa ci si deve accostare al tema dell’identità teologica di un tale edificio, della sua capacità di far incontrare Dio e l’uomo, l’istanza della bellezza con l’istanza culturale e sociale dell’uomo di oggi. Il percorso dei Progetti Pilota prevede anzitutto l’individuazione di architetti di qualità che accettino di entrare indialogo fecondo con l’artista, con il teologo, col committente. Un dialogo che è condizione indispensabile per generare l’idea progettuale migliore e massimamente espressiva. È richiesto, perciò, un atteggiamento di ascolto, una capacità di scavare dentro la ricca miniera dei significati e delle funzioni simboliche di una chiesa. Sembra evidente che i Progetti Pilota debbano continuare in quest’ottica di proposizione di un metodo e di comunicazione di istanze e valori, nuovi e antichi.
Il soggetto indiscutibilmente decisivo in ordine alla riuscita di quest’opera di formazione e orientamento è il committente ecclesiastico. E al proposito bisogna comprendere tre questioni. La prima è che, negli ultimi decenni il committente, con qualche fortunata eccezione, si era letteralmente assopito. I responsabili delle Curie avevano gradualmente smesso di concepire la fase di elaborazione di un nuovo progetto come un processo complesso e lungo di elaborazione culturale, di gestazione laboriosa di
un’idea che fosse destinata a lasciare un segno forte e coinvolgente nell’opera costruita.
La seconda segnala come oggi comincino ad apparire segnali di rinascita, presa di oscienza, assunzione di responsabilità e anche voglia e capacità di gestire con competenza e passione il momento progettuale di una nuova chiesa, valorizzandolo adeguatamente. Tuttavia, si dovrà ancora attendere e non poco per assistere a una nuova stagione di sano protagonismo delle nostre committenze. Occorrono le persone giuste al posto giusto, persone che non deleghino tutto al progettista, trasmettendogli solo poche e confuse indicazioni di massima, ma che, invece, abbiano una forte sensibilità culturale e che sappiano assumere in proprio la responsabilità di tutta l’operazione. Insomma, un committente forte, che sia anche in grado di individuare le tante competenze richieste e di metterle in dialogo, sempre conservando il ruolo di animazione e di guida.Questa è la strada che stiamo cercando di suggerire, indicare e percorrere. Siamo convinti che eventuali scorciatoie siano inutili, ingannevoli e pericolose. Fondamentali sono la formazione dei responsabili diocesani, il dialogo e l’aggiornamento continuo: non solo di tali responsabili, ma anche di tutti coloro che della committenza fanno o faranno parte (vescovi e fedeli, parroci e coadiutori), e pur anche di coloro che guardano alla chiesa come momento importante e rappresentativo della città e del quartiere. Per rispondere a tali necessità, il Servizio Nazionale per l’Edilizia di Culto ha attivato incontri in sede diocesana, auspica una presenza sempre maggiore delle istanze formative all’arte e all’architettura nei Seminari, e ha ridisegnato il proprio sito Web (<www.edculto.it>) così da favorire un dialogo continuo e aperto. Nel sito compaiono molte immagini di chiese contemporanee, in gran parte tratte da CHIESA OGGI architettura e comunicazione, rivista che ha il merito di aver costituito nel tempo uno dei maggiori archivi disponibili di architettura ecclesiastica attuale nel mondo, da cui pertanto si possono trarre occasioni di confronto e di riflessione riguardo all’architettura delle chiese al giorno d’oggi. Riflessione e confronto che sono indispensabili per dare risposte al bisogno di formazione. La terza questione riguarda la struttura dei concorsi, la prossima edizione confermerà la formula dell’anonimato delle proposte progettuali dei diversi architetti invitati. È molto probabile che sia introdotta, in via sperimentale, una significativa novità nella fase di valutazione dei progetti, che si sdoppierà in due momenti distinti. Una prima giuria, che corrisponde all’organismo individuato sin dall’inizio dal Regolamento, avrà il compito di selezionare le tre proposte migliori, indicandone le ragioni; una seconda commissione di valutazione verrà insediata in sede diocesana per l’individuazione del vincitore. Si sta ancora lavorando a questa nuova formula che mira a realizzare una maggiore prossimità tra committente diocesano e progettisti. Lo scopo è quello di coinvolgere in
modo più rilevante nella fase decisionale coloro i quali saranno i diretti responsabili del nuovo edificio: la diocesi e la parrocchia.