Argomenti di architettura

Tutti i comfort di una casa in un siluro galleggiante.

Progettato dallo studio londinese Softroom, di Oliver Salway, Christopher Bagot e Daniel Evans, questo
“edificio mobile” acquista un significato importante. Associabile al filone immaginifico del gruppo
Archigram prefigura l’uso della tecnologia al fine di render comoda la vita, senza con questo incidere
eccessivamente sull’ambiente.

Servizio di Leonardo Servadio

Così l’atollo diventa grand hotel. A volte l’architettura contemporanea – ma non solo quella – imita la natura, nei suoi aspetti più svariati. Abbiamo visto colonne arboree a sostegno di grandi coperture, e pareti ondulate che sembrano disegnate dal vento. Lo studio londinese Softroom, di Oliver Salway, Christopher Bagot e Daniel Evans, seguendo una
linea di ricerca inedita, sembra proporre una specie di incrocio tra un grande crostaceo e un balenottero. Ma più che la forma, conta il contenuto dell’idea, forse associabile allo stesso grande filone immaginifico di quanto ha proposto
il gruppo Archigram a partire dagli anni Sessanta. Questo progetto si è imposto all’attenzione del pubblico internazionale alla fine degli anni Novanta: come se fosse una roulotte del mare, un motoscafo traina un grosso siluro galleggiante. Giunto nel luogo gradito, il siluro si apre, la copertura ruota e si appoggia divenendo una balconata;
all’interno elementi gonfiabili costruiscono un ambiente di contorno: una specie di spiaggetta raccolta attorno a una piscina.

Intanto l’interno del contenitore – proprio come una roulotte – diventa un’accogliente abitazione, con letto, tavolini, armadio, sedute, accessori vari… E’ la magia della trasformazione spaziale, la passione per l’edificio mobile che non invade la natura, ma si appoggia dolcemente su di essa per un breve periodo, per poi trasferirsi altrove. E’ la sublimazione del concetto di vita in campeggio. Il gesto architettonico rifiuta l’idea di occupare e modificare l’ambiente, trasformandolo in modo irreversibile. Esso intende piuttosto trovare un equilibrio nuovo, dove il comfort portato dalla tecnologia facilita la vita senza lasciare orma del proprio passaggio. Un atollo, un isolotto, una caletta, una spiaggia appartata sono l’occasione per una o alcune notti da sogno: e poi via, ancora a solcare le onde. Parlare di disegno architettonico qui è difficile: è anzitutto economia dello spazio unito all’efficienza negli spostamenti. La forma affusolata dell’oggetto chiuso, in assetto da navigazione, ricorda quello di alcune roulotte che negli anni ’50, rilucenti e affusolate come carlinghe di aerei, venivano trascinate lungo le interminabili autostrade nordamericane.

Il disegno interno deve avere la stessa precisione e la stessa capacità di integrare elementi diversi, che si trova nell’abitacolo di una navicella spaziale. L’aspetto estetico nasce dal contemperarsi di limitazione spaziale e densità di opportunità abitative. E’ lo schiudersi di questo contenitore, il suo diventare momentaneamente tutt’uno con l’ambiente, quel che lo rende particolare. Nel momento dell’allarme crescente per l’erosione dell’habitat naturale; nell’epoca in cui si fa più acuto il desiderio di trovare ambienti ancora autenticamente “incontaminati”, questa proposta di Softroom acquista un significato importante. Prefigura l’uso della tecnologia al fine di render comoda la vita, senza con questo incidere sull’ambiente. E’ solo un progetto, ma nell’epoca in cui si comincia a riparlare di stazioni permanenti sulla luna, forse non è neppure tanto utopico.

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