SS. Nazario e Celso a Gorla MinoreLa rinascita della basilica

COMPLESSO PARROCCHIALE DI SANTA MARIA A SETTEVILLE DI GUIDONIA (ROMA)

Tra i grandi dell’architettura contemporanea, Enrico Castiglioni, a differenza di altri maestri suoi contemporanei, quali Gio Ponti o Giovanni Michelucci, non ha (ancora) acquisito la fama che la sua opera meriterebbe.
Questa chiesa di Prospiano, nel Comune di Gorla Minore, rivela la grande sensibilità di un linguaggio nuovo in cui lo spazio architettonico può esprimersi, tra la memoria storica e l’apertura al futuro, quando forma e struttura fanno tutt’uno nel manifestare una completa adesione al tema.

Ha scritto Gio Ponti: «Questa chiesa di Castiglioni insegna come un’architettura religiosa possa essere nobile, nuova e inedita, ed essere tuttavia fra le espressioni giuste (vere). La sua originalità è una “originarietà”, è una fedeltà: essere originario significa di più che essere tradizionale». Il commento è tanto autorevole quanto appropriato e sintetico. Il progetto della chiesa di Prospiano prende forma nei tempi “eroici” a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta: l’epoca in cui venivano maturando i temi che avrebbero informato il dialogo fecondo del Concilio Vaticano II. La riforma liturgica era vissuta, discussa e partecipata con l’intensità che è propria del momento trepidante della novità che implica il ritrovamento delle radici. È infatti dal profondo dibattito liturgico e architettonico di quell’epoca che sorgono quelli che sono ancora gli esempi più significativi e importanti di chiesa “nuova” esistenti in Italia. Tra questi va collocata la chiesa di Prospiano.

In Castiglioni troviamo una particolare accentuazione: egli è, oltre che architetto, anche ingegnere, e tratta la struttura con la stessa familiare confidenza con cui si disegna la forma. Quest’armonico evolversi di forma e struttura assieme conferisce ai suoi progetti una particolare coerenza, una intrinseca forza. Si tratta di architettura organica, non nel senso dell’imitazione della natura, ma della identificazione tra forma e contenuto, tra struttura e “vestito”: lo stesso genere di organicità che ravvisiamo con stupore nella semplice armonia del romanico. Qui ci troviamo di fronte a una evoluzione coerentemente postconciliare del tema della basilica: in pianta e in sezione si legge l’accostarsi e il sovrapporsi di tre corpi basilicali biabsidati. Questi tre involucri basilicali (denotati internamente dalle volte “a botte”) si uniscono per dar luogo ad un unico, più ampio (e in questo senso coerentemente postconciliare) spazio celebrativo. L’ampia aula trova una sistemazione processionale dell’assemblea verso l’altare, mentre allo stesso tempo si allarga e si articola nei diversi e connessi luoghi liturgici. Lo spazio basilicale mediano definisce l’asse di entrata, alla sinistra di questo si trova un più piccolo “involucro” spaziale che ospita, nell’abside accanto all’entrata, il battistero e in quella opposta il tabernacolo. Lo spazio basilicale maggiore, sulla destra dell’entrata, ospita l’altare, l’assemblea e, nell’abside opposta a quella dell’altare, la porta grande per le cerimonie solenni. Lo sfalsamento di questi “involucri” genera una pluralità di percorsi. Le absidi sono sormontate da vetrate ricche di colore vivificante e simboli che risaltano nella semioscurità. Il gioco delle rotondità absidali è variamente ripreso nell’interno: come conchiglia dietro l’altare, come incavi sui soffitti che sottolineano il differenziarsi degli ambiti liturgici. All’esterno lo stesso gioco del sommarsi e unirsi di absidi, coperture “a botte”, tetti a capanna, identifica con chiarezza il carattere della chiesa, ma ne segnala anche (per esempio nell’elemento aperto, a ponte, che sormonta l’entrata) la trasparenza e l’abbraccio protettivo, e (nella concavità istoriata sopra l’entrata) l’accoglienza. Un campanile in cemento a vista si erge altissimo staccato dal corpo della chiesa: due setti verticali accostati che pur nella straordinaria dimensione, ben visibile da lontano nella campagna circostante, non dà alcuna sensazione di fragilità. I materiali, cemento a vista e lastre di graniglia martellinata per le facciate, porfiroide sulla copertura, conferiscono unitarietà all’insieme. Un deciso stacco tra dentro e fuori è dato dalla luce: i volumi esterni accarezzati dal sole, la penombra all’interno, infranta dal colore delle vetrate.
(P. Petrini)

 

Sopra: la grande vetrata al di sopra dell’ingresso, dedicata al “Cantico dei cantici”: “Uno squarcio di poesia irrompe nella narrazione biblica. Un inno alla Vita e all’Amore impaziente e insofferente di indugi” scrive Castiglioni, autore anche delle vetrate. A sinistra: l’abside dietro l’altare è conclusa a conchiglia, per quanto lo spazio dell’aula si estenda sulla sinistra nell’involucro basilicale che ospita il tabernacolo. La vetrata è “L’albero della scienza del bene e del male”.

Il fronte con i due ingressi, uno sotto la grande arcata, l’altro, per le grandi cerimonie, nell’abside; vista dell’ingresso sotto l’arcata, sormontato da una concavità istoriata; vista laterale dei moduli che compongono la fronte; l’altissimo campanile che si eleva staccato dal corpo della chiesa. Si nota come il progetto prenda forma da richiami a elementi classici, (quali l’abside, l’arcata, i passaggi coperti, i corsi orizzontali delle facciate) riproposti in un linguaggio sobriamente moderno.
Le fotosono tutte di Federico Brunetti, tranne quella a sinistra.

L’architettura come ascesi

“La materia si arricchisce di significati nella sua non arbitraria presenza fino a sentirsi partecipe dello spazio, come l’uomo – nella vita – ritrova il senso della sua esistenza non più arbitraria, fino a sentirsi partecipe dell’universo. La struttura, identificando la sua azione fra le due realtà della materia e dello spazio, partecipa di entrambi; così nella struttura rientra anche la decorazione in quanto estende, o limita, o modifica comunque e dà compimento all’estensione spaziale. Infine, lo spazio vive fin nelle parti più nascoste dell’organismo architettonico e rivela l’ordine ideale che lo governa… Ho insistito nel parallelismo fra la realtà dell’uomo e la realtà dell’architettura perché proprio in questa simile strutturazione il procedimento dell’architettura si rivela come procedimento di vita… L’architettura è attività che documenta, nella stessa strutturazione del suo procedimento, la soprannaturalità dell’uomo. Riconoscere l’architettura, e poi ripercorrerla nella storia, significa assaporare tutta la storia nei suoi atti ancora presenti al nostro giudizio; uomini, generazioni trascorse, avvicinati in una contemporaneità stupefatta.”
(Da: “Il significato dell’architettura” di E. Castiglioni, Sinai edizioni, 2001)

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