La soglia dell’ospitalità

Si. Pensare il sagrato è pensare una linea di soglia. Ma, ora la soglia sembra non voler esser più soltanto linea, geometria, dividente tra sacro e profano. Oggi, nel tempo, come in molti di questi progetti per i “sagrati d’Italia”, questa linea assume spessore, si dilata, diventa superficie, poi volume. Si fa spazio: non astrazione, ma luogo dello stare, del percorrere. Occorre, ora, quindi, imparare ad abitare questo spazio, non più frontiera, confine attraversato in una direzione per crociate in partibus infidelium, o nell’altra per l’abbandono del secolo.
Spazio della compresenza, dell’alleanza, è soprattutto luogo della nuova ospitalità. Spazio che accoglie, che però è anche quello spazio da cui sono stati cacciati i mercanti – quelli di allora ma anche quelli che si celano in ciascuno di noi. Allora, io penso, è questo vuoto, aperto dal Messia, in questo silenzio che segue alle grida dei mercanti, che può dare forma ai nostri nuovi ed antichi sagrati. Spazio etico della festa e del dolore della vita: dove si esce sposi, dove si attende per il battesimo o dove si dà e si riceve l’ultimo saluto; luogo dell’attesa e del compimento. Nel sagrato convergono le città, le vie, le piazze: non è solo selciato, piano orizzontale ma è anche e soprattutto disegnato dalla fronte degli edifici che si attestano o si affiancano alla “facciata” della Chiesa. Si instaurano qui, fra architetture, quei rapporti che ieri chiamavamo relazioni tra testo (l’edificio per il culto) ed i contesti (i brani di città). Cioè tra “oggetti da riordinare” e da “armonizzare” ed abbellire con arredi urbani, panchine, alberelli, pavimentazioni. Oggi dovremo invece forse leggere e pensare questi spazi come modulazione e continuità tra eventi della vita, dell’architettura, del paesaggio, tutti dotati di senso. Senso che può nascere soprattutto dal silenzio assorto di un porto tranquillo
piuttosto che da rumorosi segni oggi sovente riesumati in architetture recenti, che ci riportano ad una violenza
sacrificale antica che andrebbe invece negata. Sagrato, dunque, come luogo dell’attesa, della speranza e del
dubbio. Segno dell’ospitalità: per tutti noi, credenti e no.

Prof. Arch. Aimaro Oreglia d’Isola
Politecnico di Torino

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