Diretto da: Carlo Chenis Laboratorio – Architetto Ivano Lodovico Dall’archetipo alle sue manifestazioni Cosa dire di un progettista che sa coinvolgerci così intimamente con la sua fantasia, da consentirci di godere appieno del dipanarsi della narrazione, attraverso una serie infinita di schizzi, che ne dimostrano il talento grafico e progettuale a prescindere dagli esiti? Che una volta ogni tanto ci capita di assistere alla manifestazione grandiosa dell’archetipo nelle sue molteplici visioni, senza mai giungere al punto estremo nel quale, definito al cento per cento il progetto, l’edificio può dirsi già compiuto, di quella compiutezza che rasenta l’oblio. Nel tratto tremolante ma chiaro dell’architetto Lodovico, troviamo la "certezza dell’indecisione" che ci consente di modificare all’infinito un progetto, senza decretare mai la morte dell’idea, che si aggrappa invece a quel tremolio come se in esso si celasse la matrice stessa del progetto che implora di non essere declinata del tutto. Pur rimanendo nella medesima area della periferia romana analizzata precedentemente, possiamo ben dire di essere ancora in area tedesca. A differenza del progetto dell’architetto Varone, qui il precedente storico è trattato con il sereno distacco di chi la storia l’ha già somatizzata. Impianto a base quadrata con disposizione anulare
Un ambone che finalmente si fa luogo; la sede defilata fra i fedeli che allude ad una Presidenza illuminata di chi si qualifica come "pastore" mischiato al suo gregge. La realizzazione di diversi ambiti spaziali, a ciascuno dei quali corrisponde un diverso volume ed una diversa giacitura planimetrica, sono gli altri elementi che ci consentono di apprezzare il progetto di Lodovico. Diversa la questione morfologica dove si sconta l’eccessiva enfasi posta sul disegno con una visione incompleta dell’edificio chiesa che sembra un assemblaggio di parti diverse, prese in prestito da un ipotetico catalogo, piuttosto che il frutto ponderato di un’idea.
Così al posto del bel bugnato rustico (presumibilmente in blocchetti di tufo) ci scontriamo col grigiore di un paramento a faccia vista cementizio che poco si confà all’iconografia classica della campagna romana. Interessante, ma poco approfondito, il tema della copertura leggermente voltata, quasi una lente, che con doppia curvatura porta la luce all’interno dell’aula. Poco chiaro l’inserimento nel lotto assegnato, quasi come se l’interesse fosse concentrato soprattutto nella visione tumultuosa delle dinamiche tipologiche, piuttosto che nella staticità dell’essere edificio vero in un quartiere periferico. Arch. Stefano Mavilio
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