Sulle orme dei padri

CHIESA EPISCOPALIANA DI SAINT JOHN’S A JACKSON,WYOMING (USA)
La nobiltà di un edificio come quello della chiesa traluce, quando sia realizzato con sensibilità, con misura, con arte, in qualsiasi contesto. Qui lo scopo della nuova costruzione era conservare la memoria di quella preesistente, mantenere la continuità storica ma offrire dimensioni e servizi adatti a una comunità significativamente cresciuta.


Il Wyoming è, dopo l’Alaska, lo stato meno popolato degli Stati Uniti. Su un territorio grande quasi quanto quello italiano vive circa mezzo milione di persone. Il paesaggio di vasti altipiani è caratteristico di questa regione il cui territorio ha un’altitudine media di circa 2000 metri. Si respira tutt’oggi l’aria dei pionieri che si inoltravano sulle sconfinate praterie dove ancora il bestiame scorrazza libero in branchi (l’allevamento dopo l’attività estrattiva costituisce la più importante fonte di ricchezza di questo Stato). La percezione dello spazio è commisurata alla vastità degli scenari che qui dominano. Un nuovo edificio potrebbe ferire questa splendente natura, ma non sopraffarla. Oppure può adagiarvisi in mezzo, come per completarla con un gesto di umano ingegno; come memoriale dell’operare e del pregare che completa l’opera umana. Questa chiesa di sommessa semplicità sorge dalla precisa scelta di seguire la direzione tracciata: la comunità ha lungamente discusso con gli architetti, Nancy e John Carney, come realizzare l’edificio. La prima richiesta dei committenti è stato di conservare l’ambientazione da parco naturale dell’area di due acri su cui sorge il centro religioso. Un parco aperto verso il bosco vicino, verso il panorama alpestre. C’erano prima cinque edifici: una sala parrocchiale costruita negli anni ‘60, un edificio di servizi, la vecchia chiesa eretta nel 1911 insieme con un annesso edificio per la congregazione e infine un rettorato costruito negli anni ‘70. La sala parrocchiale è stata demolita, l’edificio di servizio è stato spostato. I due edifici storici, dell’inizio del ‘900, sono stati restaurati e mantenuti, mentre il corpo edificato negli anni ‘70 è stato ristrutturato per renderlo adatto a ospitare le attività educative. Il nuovo edificio è stato costruito esattamente con le metodologie pionieristiche: tronchi d’albero e scandole sull’esterno, tronchi e assi di legno in funzione strutturale e di arredo all’interno. Il nuovo edificio si sviluppa come un’aula oblunga collocata secondo l’asse est-ovest (con abside a est) e due ali laterali. Gli edifici esistenti sono stati lasciati di fronte alla facciata principale, verso ovest, della chiesa nuova: in tal modo essi divengono una specie di scenario teatrale, quinte che definiscono un ambiente aperto ma focalizzato verso l’ingresso principale dell’aula. Un “chiostro” non chiuso: la vastità stessa degli spazi circostanti funge da elemento di separazione; la chiusura è soltanto accennata dalla disposizione dei diversi corpi: separati ma uniti allo stesso tempo dall’unica funzionalità, quella rivolta alla comunità e ai diversi momenti in cui questa si ritrova ed espleta le sue diverse funzioni. Il “La” al progetto è stato dato dalla chiesa storica: tetto a falde e tronchi d’albero. Niente più del legno stagionato, oscurato dai decenni e dalle piogge, organizzato in forme semplici, impilato a incastri per formare muri e spigoli, parla della diuturna laboriosità umana, della primigenia forza dell’intelligenza che sa apprendere dalla natura ma anche domarla e farsene scudo e rifugio. L’impianto è basilicale, accentuato dal sopralzo del corridoio centrale del tetto, ai cui lati, sui fronti nord e sud, si aprono due serie di finestre che ritmano il cammino che dalla porta conduce verso lo spazio absidale. Nell’abside si apre un’alta finestra con bracci a croce e, sopra il colmo del tetto, una piccola croce: segno visibile e discreto. È l’assieme stesso degli edifici che spiega la sua natura di luogo di culto, con la sua raccolta intimità che allo stesso tempo si fa apertura; con la sua convinta adesione a una tradizione costruttiva secolare, che oggi potrebbe essere abbandonata, ma che ancora rappresenta un segno visibile, un’immagine non effimera. Erano così le case dei pionieri e le loro chiese simili, ma più grandi e forti.

La planimetria del complesso. Si nota come dietro la parte absidale della chiesa la comunità abbia voluto lasciare lo spazio totalmente libero. Gli edifici preesistenti, visibili nella parte alta del disegno, formano uno spazio raccolto. La chiesa del 1911 è quella all’angolo destro del disegno.
Vista interna dell’aula. Si noti come la differenza cromatica ponga in risalto l’ossatura strutturale e movimenti la forma. Il soffitto sopraelevato definisce un corridoio di luce.
Vista della facciata principale della chiesa nuova; risalta il porticato, la cui copertura è sollevata agli spigoli, e la grande apertura a lunetta.

L’edificio, oltre alla chiesa, include una cappella, una sala parrocchiale con cucina, una sala per il coro, un vestibolo e due aule. I materiali visibili all’interno sono il legno di cedro e di pino, il cemento della pavimentazione. Le colonne e le capriate in tronchi tagliati danno l’impressione di una raffinata carpenteria. L’abilità dell’artigiano di un tempo, che lavorava il legno con l’ascia e con la sega, qui viene sostituita dalla precisione di tagli che rendono identici nella forma e nelle dimensioni tutti gli elementi di legno. Staffe in acciaio nero accompagnano il movimento delle assi di legno e ne rendono inamovibili gli incastri. Tiranti in acciaio assicurano in ogni caso la solidità della struttura. Le superfici in assi di legno chiaro contrastano col legno più scuro delle colonne. Il pavimento di cemento colorato contribuisce a conferire all’ambiente una gradazione di chiarore crescente verso l’alto, illuminato dalle finestre laterali. Una serie di balaustre separa l’area presbiteriale, che ha pianta ottagonale, dall’assemblea dei fedeli. L’impianto risulta nel complesso austero nella disposizione, ma vitale e caldo grazie alla ricchezza di luce e alla intrinseca qualità del legno, che è capace di rendere vicina e amichevole qualsiasi configurazione ambientale. Dei nastri a carabottino nella parte bassa della copertura del corridoio centrale assicurano la circolazione d’aria e denunciano la modernità dell’edificio, pur nell’uso di materiali e forme consolidate nella storia. Il rispetto per la storia non implica la rinuncia alle comodità della moderna tecnologia, che qui risultano bene integrate nell’ambiente. Al di là dell’organizzazione elaborata dello spazio liturgico, l’elemento che più fortemente caratterizza l’ambiente è costituito dall’intreccio di travi lignee che insistono sopra l’area presbiteriale. Quel convergere di robusti tronchi in un unico punto sembra segnare, con l’inevitabilità di una necessità inamovibile, il centro focale reale. È qui che l’arte della costruzione si fonde con il significato stesso dell’ambiente. I legni diventano simboli di forze e di tensioni che l’edificio racchiude in sé. Alla drammaticità di questo incrocio si somma la potenza della luce che evidenzia la rotondità dei tronchi e la scabrosità delle superfici, oltre che accentuare la complessità dell’intreccio. La forza dell’architettura risiede anche in questo: che nel risolvere uno spazio tramite la costruzione di un edificio, trova nel rispondere a uno stato di necessità una soluzione congrua con la destinazione dello stesso edificio. Ma quanto contribuisce l’uso dei materiali alla corretta soluzione del problema? Nel caso di questa chiesa del Wyoming si nota che l’uso del legno diventa un aspetto sostanziale dell’architettura. Il legno diventa disegno, linguaggio, forma, espressione. Si fa carico di definire i limiti entro i quali può muoversi la fantasia del progettista; non c’è arbitrarietà nel progetto, bensì una creativa risposta a domande concrete. Ecco che travi e colonne diventano elementi che ritmano uno spazio mantenendo proporzioni consone, cromatismi naturalmente armonici, forme già note da sempre ma sempre nuove nella scoperta del loro incontro con la luce. Il silenzio di una chiesa non può essere sordo, ma ricco di vibrazioni, di echi, di ricordi. Qui è la forma stessa che il materiale imprime all’edificio, che si fa carico di rielaborare tutto questo, in un ambiente che ognuno può riconoscere come familiare, per quanto lontana sia la sua cultura da quella che informa questo territorio degli Stati Uniti occidentali che gli Indiani americani chiamavano “grandi pianure”, cioè Wyoming, ancor oggi terra di frontiera.

La sala parrocchiale, anch’essa con soffitto sopraelevato nel corridoio centrale.
Vista dell’aula celebrativa dal presbiterio.
L’atrio di entrata, che separa lo spazio della chiesa dall’esterno, dominato dalla grande apertura a lunetta.

 

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