360 gradi

Servizio a cura di: Walter Pagliero

Siamo a metà del primo decennio del XXI secolo e il modo di vivere la casa in campagna è ancora quello di 50 anni fa. Si recupera qualcosa di un’altra epoca e di un altro ambiente sociale (civiltà contadina o, al suo opposto, borghesia
medio-alta dell’800) e lo si riarreda mantenendosi nello stesso stile o cambiando completamente registro. La grande
proliferazione si è avuta col restauro dei vecchi cascinali, dove si è creato uno stile abbastanza equivoco, lo stile
rustico, che pretende di restare fedele allo spirito della costruzione e nello stesso tempo essere confortevole ai livelli più attuali. Più rari e interessanti sono i recuperi di vecchie ville e di strutture non nate per usi contadini: qui, non essendoci la convenzione di adeguarsi a uno stile di vita rurale, la fantasia è più libera di impossessarsi dello spazio e di farlo proprio senza cadere nelle catene di un nuovo conformismo.

In questa pagina e in quella successiva le foto documentano l’aspetto sia esterno che interno di una villa patrizia di fine ’800 nel Monferrato. L’immagine architettonica è quella del pastiche eclettico, che unisce auliche memorie cinquecentesche al gusto rustico del periodo umbertino, e ricorda ai nostri occhi le favole di Walt Disney. Dentro, invece, tutto è cambiato grazie alla padrona di casa, una gallerista specializzata in arte e design contemporanei. Ogni intervento è stato pensato fino alla sofisticazione, ci sono più idee che oggetti concreti, e il piacere principale è quello della scoperta. Innanzi tutto la riscoperta del colore, di quando in villa si faceva una stanza rosa, una verde e così via, e si poteva dire “troviamoci nella stanza gialla alle cinque” senza perdersi. Oggi questo non esiste più se non nelle case museo; ma qui si tratta di tutt’altro, è un interno d’avanguardia completamente reinventato. Inizia con un corridoio a fasce di vari toni di verde che sfumano nei cristalli di recupero di tre lampade coniche. Continua con la sala da pranzo che, tra la fascia continua di un lambris laccato bianco e il candido soffitto, sfodera sulle pareti un verde incredibile che solletica i sensi. Poi c’è il salotto salmone e quello lilla con esili mobili anni ‘50 che ospita il pianoforte. E la camera da letto? Ha le pareti dipinte a patchwork tra il beige e il grigio, con un letto dalla testiera sagomata lasciata in bianco nella sua ruvida stoffa color caffelatte. In tale contesto quasi monacale il copriletto a disegni cachemire rosso scuro su fondo giallo oro è una colata lavica di emozioni. Tutto è opera della padrona di casa ed è di lei che occorre parlare.

Reinventare una villa dell’800

Una sua amica che la conosce bene, Gabriella Anedi, così la descrive: “Questa casa di campagna è un vero e proprio laboratorio d’idee per Barbara Vergnano, che nella continua osmosi di arte e vita riesce a far convivere con fluidità gli spazi della sua galleria milanese con l’appartamento privato e, all’inverso, il rifugio in una campagna sonnolenta con un luogo di incessante azione creativa. La rottura di questi steccati è prassi abituale del suo lavoro: approdata al mondo dell’antiquariato con una solida cultura classica, ha saputo e voluto avvicinarsi con decisione all’arte contemporanea. Il risultato? Oggetti d’uso in cui rifluisce con leggerezza la memoria del moderno, creati sempre in stretta collaborazione con artisti e artigiani con cui ha costruito nel tempo un solido affiatamento. Le soluzioni proposte sono sempre uniche: una linea alternativa al design industriale dove, grazie a una sempre possibile personalizzazione, ognuno può trovare consonanze con la parte del suo io più irriducibile al gruppo e (soprattutto) alla massa.

In Edicola

La materia prima o il pezzo originario, quasi sempre di semplice fattura, si arricchiscono sorprendentemente ogni volta solo grazie all’idea e all’abilità manuale. Cosa può scaturire da questi processi lo si vede in queste due pagine: all’interno di soluzioni spaziali strutturali e mai semplicemente scenografiche o posticce, la casa rivive di atmosfere inedite e la collocazione sapiente degli oggetti dispone i colori, gli spazi e le luci in un continuo dialogo con chi si muove al suo interno. Eppure, nonostante la quantità di sollecitazioni, la sensazione che danno queste stanze è di grande pace. Rarefatte e mai accumulate, qui le cose lasciano spazio al vuoto che, per Barbara Vergnano è l’ingrediente più importante per definire il lusso oggi.” Ed è riuscita a far rivivere i vecchi mobili di famiglia dentro a spazi completamente reinventati, molto innovativi, quasi provocatorî.

vivere nel bosco in un vagone pieno di comfort

Anche se in questo vagone ferroviario smarrito in un bosco si preferisce accendere solo candele, la luce elettrica non manca e nemmeno l’acqua corrente. Non si è, come potrebbe sembrare, in qualche disagevole zona equatoriale, ma in Sardegna non lontani dai luoghi tipici dei Vip. Un sito lievemente collinare dove il clima, piuttosto rigido durante l’inverno, concede nelle altre stagioni lunghi periodi assolati con piogge rare. All’inizio della primave
ra quando la
natura si risveglia, la “ferroviera” torna all’amato rifugio e riapre gli sportelli del “suo” vagone segreto nascosto dalla
vegetazione lussureggiante. E’ una scena surreale fatta di silenzi e orchestrata dai richiami degli uccelli incuranti del
nuovo oggetto spuntato come un fungo tra nido e nido. Il vagone, prodotto dismesso di un mondo paleoindustriale, è
dipinto in modo da adeguarsi al bosco (verde salvia e terracotta) come un capanno per il bird-watching. Da un lato,
dove c’è la doccia e la zona per il relax, è contornato da alte canne che la mattina ondeggiano mosse dalla brezza di
mare.

All’interno, nella zona conversazione, vi sono delle panche da falegname sormontate da cuscini che diventano
divani. Come i suoi vicini di casa (gli uccelli) la proprietaria ha voluto sistemare tutto con le sue mani, foderando le pareti con doghe di recupero e disegnando anfore e abatjours che ricordano il Mediterraneo arcaico. I mobili, recuperati nei mercatini delle pulci, sono stati da lei ripuliti, decapati e accostati ai legni rustici del nuovo arredo.

onirico ‘800

Un artista – Enrico Colombotto Rosso – vissuto a Parigi con Max Ernst nella cerchia dei surrealisti, poi migrato nel mondo delle grandi capitali compresa Roma della “Dolce vita”, alla fine rifugiato nella chiusa Torino accolto nella torre di un antico palazzo. Adesso si è ulteriormente isolato in questa vecchia casa di un piccolo paese del Monferrato per concentrarsi in un’opera colossale. La cantina, dove in un tempo non remoto si faceva il vino, ora è diventata un luogo conviviale per gli amici che lo vengono a trovare da tutto il mondo.

In Edicola

Sarà per le lunghe e rigide panche da chiesa raccolte attorno a un tavolo fratino, sarà per il tremolio delle fiammelle sparse ovunque cui si aggiunge la fioca luce che penetra tra il fogliame, fatto sta che la prima impressione è quella di un luogo in qualche modo sacro e misterioso dove sta per svolgersi un importante rito. “Mi piace mescolare gente che non si conosce e che…non beva troppo, ma sappia apprezzare la buona cucina del posto” ha detto prima di far entrare un fuoco pirotecnico di portate costato due giorni di lavoro all’artista che è anche un cuoco-demiurgo.

Assistono al pranzo le gigantesche botti non più usate, i ganci e le catene che scendono inerti dal soffitto: l’insieme è talmente autentico da sembrare una scenografia. Qui si vuole andare contro corrente e ripristinare la pantagruelica convivialità d’altri tempi in una cornice venuta anch’essa dal passato. “La sua pittura è apocalittica – ha detto di lui un noto critico – ma sa anche visitare i territori della fiaba e del sogno.”

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