Un’abside di gloria

CHIESA DI CRISTO RISORTO A UMBERTIDE (PERUGIA)
Densa di significati e simboli che si rifanno all’antica tradizione, ma allo stesso tempo concepita in relazione alle specifiche esigenze della comunità per la quale è costruita, questa chiesa parrocchiale progettata da Eugenio Abruzzini è stata pensata e realizzata in modo tale che in essa si armonizzano spazi funzionali, luoghi liturgici e interventi artistici.

La chiesa sembra raccogliersi attorno al campanile, concepito quasi come un faro.

L’architettura è parola: parola di un linguaggio immediato, subito partecipato, che non si consuma nel tempo, non sente l’usura del tempo come la parola parlata… Nella storia dell’uomo la voce della persona ha delle domande semplici che ripete da sempre: perché? da dove? cosa siamo? Queste domande sono dentro tutta la storia. Queste domande sono il bisogno del sacro nella storia (che ritorna in ciascun individuo.)… A me basta essere arrivato su questa riva, aver riconosciuto che al di là comincia quella navigazione per la quale l’uomo si inserisce nel colloquio con l’infinito… A me piace vedere nei templi i vascelli di queste imprese, di questo veleggiare verso l’infinito che tenta ogni uomo. Ciascun tempio riporta a noi un profumo, un sapore, una luce; dentro le vene resta ancora una vibrazione di una realtà ignota, lontana, inconoscibile» (1). Quasi ad esergo delle brevi riflessioni che seguono sull’ultimo progetto di chiesa dell’architetto Eugenio Abruzzini, ricordo la meditazione di un altro architetto del Novecento, il lombardo Enrico Castiglioni, che ha amato, come lui, il tema dell’edificio a destinazione liturgica, cogliendovi la possibilità di esprimere – entro una cultura consapevolmente e convintamente cristiana – il vertice del senso sacro della vita, costitutivo dell’autocoscienza di ogni uomo.

L’attenzione costante e affettuosa all’uomo concreto raccolto con altri in comunità, in appartenenze dalla lunga storia; la appassionata condivisione delle più profonde e fondamentali domande esistenziali e del bisogno di «veleggiare verso l’infinito», anche se in vascelli fragili eppur essenziali, accomuna, mi pare, i due architetti. Ad un medesimo atteggiamento di fondo fanno però da controcanto modi espressivi diversi e distinti destini di cultura e di momento storico. Castiglioni infatti ha potuto dare il meglio di se stesso negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale; Abruzzini è ancora vivacemente attivo in opere che segnalano fedeltà, ma senza monotone ripetizioni, alle proprie fondamentali convinzioni. È lui stesso a darmi la chiave principale di lettura dei suoi progetti di centri parrocchiali e di chiese, quando, mostrandomi i disegni della sua ultima fatica, mi dice: «Faccio architettura per comunità radicate in un luogo, con la loro storia. le loro speranze, la loro fede che è sì la fede universale, incarnata però in specifiche realtà. Forse è per questo che le mie chiese sono tutte diverse, anche se intendono sempre proclamare, in linguaggio architettonico, la parusia o presenza di Dio». Si rintraccia del resto con estrema chiarezza, in tutti i suoi progetti di chiese, una mai esaurita ricerca del senso dell’architettura, una ricerca compositiva tesa a comunicare la vitalità cristiana incontrata, profondamente radicata nella storia dei luoghi, per esprimere, senza reticenze, la gloria di Dio in terra. La varietà di soluzioni da lui trovate risulta pertanto concretamente stimolata, non solo dal dialogo serrato con i committenti, ma anche dalla sua capacità di immergere il progetto nella storia e nella vita del luogo, nella storia e nella vita della comunità, interpellata nella sua globalità e nel parroco, che la rappresenta, come committenza portatrice di esigenze e di sensibilità mai ritenute già note, aprioristicamente. È ben noto a tutti i progettisti quanto questo metodo di lavoro possa presentarsi irto di difficoltà, quanto, d’altro canto, esso sia fecondo di maturazione umana per committenti e architetti, oltre che di maturazione professionale per questi ultimi. Assumerlo come condizione permanente del proprio lavoro, del progetto di centri parrocchiali e di chiese, è indice di una fiducia nell’architettura come servizio agli uomini, come condizione per favorire, consolidare e conservare la coralità vissuta in comunità di vita, nel segno, inoltre, di una salvezza cristiana da irradiare al mondo.

A sinistra: la trabeazione lignea. Sopra: vista dell’aula, in primo piano la custodia eucaristica.

L’impresa e la Chiesa: NUOVA ARCH LEGNO S.p.A.
Caratteristica principale di questa copertura sono le tre diverse tipologie strutturali utilizzate. La parte “alta” prevede elementi lignei in semplice appoggio in flessione deviata ancorati alle travi in c.a. mediante accessori metallici, posizionate a raggiera concepite a sbalzo verso il centro della chiesa. Le zone “basse”, inserite all’interno della struttura in c.a., sono composte da travi diagonali e colmi a contrasto e/o in semplice appoggio collegati mediante carpenteria pesante a scomparsa, sulle quali è assicurata l’orditura secondaria a “cassettonato”, caratterizzata da arcarecci incrociati con incastro legno-legno realizzato mediante “code di rondine”. La copertura si sviluppa poi con la zona “absidale” composta da 4 travi a ginocchio a intradosso curvo, posizionate a croce in corrispondenza delle catene in c.a., ancorate tra loro sempre con carpenteria a scomparsa e controvetrate al piede da travi di banchina in flessione retta per evitarne lo sbandamento laterale. Completa la struttura l’orditura secondaria di arcarecci in flessione deviata fissati mediante accessori metallici. Il tetto viene perfezionato dal pacchetto di copertura che espleta la ventilazione mediante una doppia orditura di listoni. Su tutti i fissaggi della struttura primaria e secondaria al c.a. sono state utilizzate esclusivamente barre filettate con l’ausilio di resina epossidica. Le strutture pirncipali e secondarie nonché il perlinato sono stati trattati con impregnante specifico di colore “azzurro” realizzato appositamente.

La Nuova Arch Legno SpA ha il proprio stabilimento principale in Ascoli Piceno, Zona Industriale Campolungo, su una estensione di oltre 4 ettari di cui coperti 21.000 mq. Dispone di moderni impianti di produzione di legno lamellare e di finitura delle strutture. Lo stabilimento è localizzato in una posizione centrale del Paese, vicino ad un importante nodo autostradale, ferroviario e portuale che consente un agevole ricevimento delle materie prime e permette, con altrettanta facilità, la spedizione dei prodotti sia in Italia, sia nei paesi Europei, sia in quelli extra-Europei. L’equipe di tecnici e di ingegneri strutturisti dell’Ufficio Tecnico è in grado di seguire con competenza e professionalità qualsiasi lavoro, risolvendo ogni problema di progettazione, calcolo strutturale e statico delle strutture lamellari nelle costruzioni. A questo esclusivo patrimonio umano la Nuova Arch Legno ha affiancato l’adozione, su ampia scala, delle più avanzate tecnologie informatiche. Gli uffici commerciali, con personale di elevate capacità professionali e dislocati in unità periferiche (Brescia, Mondolfo PU – Roma) sono in grado di assistere il cliente nelle più diverse necessità: offerte, suggerimenti tecnici, assistenza pre post-vendita. Il processo produttivo avviene in stabilimento consentendo così un rigoroso controllo sia della qualità delle materie prime sia dell’intero procedimento realizzativo; il tutto in conformità alle norme DIN tedesche. L’ “Otto-Graf-Institut” di Stoccarda ha rilasciato alla Nuova Arch Legno il Certificato di incollaggio “A”, riconoscimento che attesta il continuo e rigoroso controllo di tutte le fasi della produzione. Esso abilita a realizzare strutture portanti in legno incollato di qualsiasi tipo e dimensione, certificando l’elevato livello tecnologico degli impianti utilizzati e l’alta specializzazione del personale addetto.

A partire da questa piena fiducia nello spazio, nel progetto d’architettura che trasfigura una porzione di spazio in immagine e luogo di vita, muove i suoi passi Eugenio Abruzzini. Lo testimonia anche il suo ultimo complesso per la parrocchia di Cristo Risorto a Umbertide, nella Diocesi di Gubbio. L’organismo si presenta come un volume compatto polifunzionale, del quale ben individuabile è, all’esterno, l’articolazione delle funzioni, tra il centro parrocchiale e la chiesa che può ospitare 460 persone. Attorno a quest’ultima, su un piano rialzato, si articolano, in continuità con essa, i volumi della cappella feriale, destinata anche ad ospitare la custodia eucaristica, della sagrestia e degli uffici parrocchiali. Sull’ampio sagrato-piazza antistante all’ingresso, si alza, isolato punto di riferimento per l’insediamento circostante, il campanile: un armonico volume sul limitare della strada trafficata, che lambisce l’armonico e plastico volume della chiesa. Di questa si intuisce, all’esterno e da questo privilegiato punto di vista, la planimetria centrica, dalla compattezza esaltata nella copertura a spicchi di volute che si intuiscono convergenti verso l’altare. All’interno la spazialità è avvolgente, vibrante di luce spiovente dall’alto, articolata in aree destinate a qualificare i diversi momenti di vita liturgica, sacramentale e devozionale.

Sotto: la pianta della chiesa, vista del battistero, particolare dei ferri battuti alle finestre, l’incontro delle travi al colmo della copertura.

Quanto l’esterno lasciava intuire risplende, in evidenza di spazio dal grande respiro,all’interno, subito dopo aver oltrepassato il breve atrio di ingresso. La circolarità dell’invaso è felicemente ritmata dal contrappunto coloristico tra struttura portante e superfici di tamponamento. Alzando lo sguardo verso le sorgenti luminose, si coglie immediatamente l’intreccio morfologico sul quale l’architetto ha meditato: l’abside, divenuta qui volume che definisce l’intera spaziosità interna, accosta il proprio profilo a quello di un tiburio, dal quale si stacca nell’alzato, per lasciare entrare luce abbondante da una lunga e semicircolare finestra. L’organismo risulta pertanto composto da due principali camere di luce tra loro contigue, delle quali la più possente è l’abside che sottolinea la preminenza di significato dello spazio del presbiterio. La risultante compositiva è quella di un saldo, unico volume che suggerisce, non più la netta, tradizionale separazione tra aula e presbiterio, ma la loro articolazione nell’unità del luogo-chiesa. Di conseguenza la tribuna dell’ambone è definita come luogo elevato con funzione di snodo connesso con il presbiterio, ma decisamente apparente anche all’aula. I poli della celebrazione liturgica – altare, ambone, sede – vengono in questo modo investiti dalla stessa dinamica unificante che presiede alla concezione complessiva dello spazio interno, in una reciproca correlazione che non trascura tuttavia il primato dell’altare. Retrostante all’ambone e ben visibile anche dall’ingresso, è il battistero, concepito come fonte di luce e di acqua viva, per facilitare la memoria costante del sacramento del Battesimo.

L’architetto ha elaborato la conformazione dello spazio interno della chiesa a partire dalla figura del Chrismon, la cui forza simbolica strutturante è percepibile sia nell’incrocio di due assi traversi, passanti per il centro del tiburio con funzione ordinatrice dei volumi della copertura, sia nella forte sottolineatura dell’asse principale, di visibilità e percorrenza, che dall’ingresso porta all’altare, concludendo la propria traiettoria nella grande, totalizzante abside. Il Chrismon è qui figura che comunica il senso del luogo conservando al tempo stesso il valore di segno segreto, da riconoscere per immersione si potrebbe dire, un segno che struttura l’unità della chiesa senza mai pretendere di porsi in primo piano. Il procedimento compositivo struttura l’immagine complessiva a diversi livelli, senza esigere per ognuno l’identica evidenza di lettura: si deve riconoscere qui un importante assunto della ricerca compositiva di Abruzzini, che intende conservare all’architettura un’autonoma forza figurativa e una capacità segnica complessa, per non degradare l’immagine architettonica a veicolo passivo di un messaggio.

Il segno del Chrismon è guida costante al comporre del progettista, che non si sott
rae, per corrispondervi, a tutte le esigenze proprie dell’architettura come fenomeno strutturale, funzionale e formale, ma cerca al tempo stesso di piegarla all’esigenza cristiana di essere luogo di presenza e comunione, figura che partecipa alla realtà dell’Incarnazione. L’architettura della chiesa esprime in forme inedite un carattere tradizionale dello spazio ecclesiale occidentale: quello di essere luogo e insieme segno, spazio di vita e figura di un messaggio. Si potrebbe affermare che essa offre certamente immediata accoglienza a chiunque lo desideri; non è invece garantita la sua immediata comprensione, come meccanica manifestazione del significato che l’ha posta in essere. Abruzzini in questo modo suggerisce la necessità, anzi l’inevitabilità, di un percorso di immedesimazione nella realtà viva della Chiesa per comprendere la sua proposta. L’opzione compositiva dell’architetto non indulge però in esasperazioni figurative o simboliche. Lo spazio per la celebrazione eucaristica ha ordinamento chiaro, pienamente rispondente alle esigenze liturgiche. L’invito all’attiva partecipazione è favorito anche da tanti segni di piccola scala, con funzione ornamentale. L’architetto ha predisposto inoltre un preciso programma iconografico per l’area absidale in collaborazione con Maria Giovanna Muzj. Ad esso egli ha riservato sia uno spazio centrale rettangolare, nel registro inferiore dell’alzato e dietro l’altare, sia cinque lunette, nella grande abside, ben visibili in ogni parte dello spazio interno. Il programma iconografico è stato definito in questi termini nel bando di concorso ad inviti: «Lo spazio architettonico è carico di valenze simboliche attualizzate fin dalla “Porta” e l’abside è il naturale compimento dell’asse Porta-Altare: la simbologia è pasquale». Il concorso è stato vinto da Ruberval de Monteiro, monaco benedettino del monastero di Punta Grossa in Brasile. Dell’artista Oreste Baldini sono invece: la coppia di bassorilievi in marmo nell’arco di ingresso; la monumentale Via Crucis in bronzo; l’inferriata in ferro battuto per il fonte battesimale; il tabernacolo in ferro e bronzo; gli amboni in ferro battuto e perspex.
Prof. Arch. Maria Antonietta Crippa

1) Cfr. E. Castiglioni, Il significato dell’architettura e altri scritti, Sinai, Milano 2000, p. 154.

Chiesa di Cristo Risorto a Umbertide (PG)
Progetto e d.l.: Prof. Arch. Augenio Abruzzini,
Progetto giardino: Dr. Arch. Francesca Abruzzini
Impresa: S.E.A.S. Spa, Umbertide (PG)
Artisti: O. Baldini (poli lit.), R. Monteiro (pitture)
Lamellare: Nuova Arch Legno, Ascoli Piceno
Tetti: Tegola Canadese, Vittorio Veneto (TV)
Progetto campane: OES, Signa (FI)
Campane: Fonderia De poli, Revine Lago (TV)
Mattoni: San Marco Laterizi Srl, Noale (VE) Industrie Pica Spa, Pesaro
Amplificazione: Melloncelli Eng. Sermide (MN)

 

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