La parrocchia di San Lorenzo a Sant’Elia (L’Aquila)


TESTIMONIANZE SPECIALE TERREMOTO LA PARROCCHIA DI SAN LORENZO A SANT’ELIA (L’AQUILA)

Il terremoto, la fuga dalle case, la chiesa abbandonata, la diaspora, la precarietà. E ora, quando lo sciame sismico ancora fa tremare la terra, si comincia a parlare di ricostruzione, a testimonianza della volontà di andare oltre e si delineano i progetti per il futuro. Per garantire qualità e sicurezza si privilegiano le costruzioni in legno. Parla don Mauro Orrù.

Oggi è il parroco di una parrocchia in esilio forzato: molti fedeli sono ospitati nelle strutture alberghiere della costa, altri si trovano nella tendopoli eretta subito dopo l’erompere del sisma, altri si sono rifugiati altrove. Ma, anche se lo
sciame sismico non ha ancora cessato la sua attività, don Marco Orrù ha riorganizzato la vita della comunità che gli è stata affidata. Sant’Elia è un paese che sta subito fuori L’Aquila, a metà strada in direzione di Onna, il sito dell’epicentro del sisma:
i danni sono stati ingenti. Tuttavia, man mano che ci si allontana dal momento del trauma iniziale, si fa maggiore chiarezza su quelli che saranno i contorni della strada per la ricostruzione, dopo che per le prime settimane tutto è ruotato attorno a un camper.

Come ha svolto la sua missione dopo il sisma?
A partire dal quarto giorno dopo il terremoto ho operato dal camper che mi è stato portato dall’architetto Franco Turolla. Fino a quel momento avevo dormito in automobile perché la canonica, annessa alla chiesa pericolante, era divenuta inagibile.
Questo camper è ora il luogo in cui si assolvono tutte le necessità: casa, ufficio parrocchiale, sacrestia per le Messe che si celebrano sotto la tettoia di emergenza eretta in legno nel vicino spiazzo grazie agli aiuti giuntici dalla Protezione
Civile di Bolzano… Ma lo spazio di un camper è veramente molto limitato per espletare tutte queste funzioni.
Per questo è di fondamentale importanza la nuova casa parrocchiale progettata ad hoc: anch’essa provvisoria, ma senz’altro adatta a superare questa prima fase.

A lato, la chiesa di Sant’Elia ridotta
a un rudere pericolante.
Pagina a fianco, dall’alto: don
Mauro Orrù davanti al camper
che è ora il luogo adibito
ad abitazione, ufficio
e sagrestia; la pianta del progetto
dell’edificio che fungerà da
canonica e segreteria in
emergenza. Cessato questo
utilizzo, l’edificio,
che è autosufficiente, sarà
disponibile per altri usi.

Quali saranno i prossimi passi?
A differenza di quanto è avvenuto nei precedenti terremoti del Belice o dell’Irpinia, non vi saranno edifici provvisori. Come ha illustrato molto bene il Direttore del Dipartimento della Protezione Civile, Dr. Guido Bertolaso, nei prossimi mesi saranno approntati villaggi di case prefabbricate: non baracche provvisorie, ma vere e proprie costruzioni destinate a restare, erette su piattaforme di cemento e poggianti su supporti antisismici che da tempo sono prodotti in Italia. Quando le persone che vi troveranno posto potranno tornare alle loro case, che nel frattempo saranno state ristrutturate o ricostruite, i vari villaggi verranno destinati ad altri usi, per esempio come residenze per gli studenti.

Per le funzioni liturgiche che accadrà?

Non potremo più servirci della chiesa esistente, ormai inagibile. È una struttura in cemento armato completata nel 1970, danneggiata al punto che ripararla costerebbe molto più che costruirne una nuova. Non si tratta di un edificio di pregio architettonico; non solo, per quanto eretta in epoca postconciliare, la disposizione liturgica risulta inadeguata:
per esempio mancano la sede e l’ambone, manca persino il battistero. Insomma, se si considera l’edificio in quanto tale, non vi sono rimpianti. Certo, resta il fatto che è divenuta comunque un luogo denso di ricordi: vi si sono svolti
matrimoni, battesimi, funerali, prime comunioni…
Col progettista stiamo cercando di studiare una soluzione che consenta di mantenere vivo il ricordo anche in quella che sarà la nuova struttura.

La quale sarà in legno…
Sì: ma non sarà una chiesa "di legno". Sarà un edificio solido, ovviamente ben studiato sotto il profilo antisismico, significativo sotto il profilo formale, accogliente, ben organizzato sul piano liturgico.
La struttura sarà di legno, le pareti saranno probabilmente intonacate e sarà una chiesa destinata a restare nel tempo. Accanto alla nuova chiesa si collocherà una nuova canonica raccordata a una più articolata struttura di opere parrocchiali destinate alla catechesi e altre attività di servizio: sono spazi che nella vecchia chiesa destinata alla demolizione erano totalmente carenti. La nuova chiesa e i nuovi edifici parrocchiali avranno caratteristiche bioclimatiche
avanzate. Non solo, vi sarà anche un nuovo campanile vero – quello attuale in cemento, oltre a essere pericolante, di
fatto non poteva essere usato neppure prima del terremoto. Per quanto reggesse due campane d’epoca (una reca la data 1684, l’altra 1707), queste non potevano essere suonate perché la struttura, troppo esile, oscillava pericolosamente. Sul nuovo campanile, oltre a queste campane storiche, ne collocheremo una nuova donataci dai
volontari della Croce Rossa di Bolzano.

Avete ricevuto altri doni?

In continuazione e da ogni parte d’Italia.
Un esempio: le donne di un paese sardo hanno cotto e venduto del pane, in una manifestazione di sostegno il cui ricavato ci è stato donato. Il fatto che questa parrocchia si trovi lungo la strada ha facilitato l’arrivo dei giornalisti e quindi la diffusione delle notizie e delle immagini. Spesso sono chiamatoda persone che offrono il loro sostegno: e vorrei ringraziarli tutti. Prima che di pareti edificate, la Chiesa
è fatta di uomini, di anime e di cuori.

Leonardo Servadio

 

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