Il FASCINO DEL TEATRO ANTICO

ARGOMENTI DI ARCHITETTURA  ISSN 1591-3171  N. 2/2020
DOI:
10.13140/RG.2.2.34836.04486

ABETI Maurizio, IANNACE Gino, CIABURRO Giuseppe, TREMATERRA Amelia

Sommario
In questo lavoro è riportata una breve sintesi dell’evoluzione del teatro dal periodo greco a quello romano. Il teatro era realizzato con gradinate lineari e solo successivamente furono realizzati teatri con gradinate concentriche. L’edificio teatrale raggiunse il massimo splendore durante il periodo della Roma imperiale. Per rendere i teatro fruibile in estate con la calura furono inventati i velari che proteggevano gli spettatori dalla radiazione solare. La scena del teatro greco era semplice, mentre quella del teatro romano era elegante arricchita con colonne stucchi e marmi.

Introduzione
La scienza del suono ha da sempre affascinato il genere umano fin dalla antichità. Gli studiosi di antropologia hanno evidenziato che sono sempre esistite società in cui i riti sacri erano accompagnati da musiche, danze e canti. Voce e musica sono stati sempre interconnessi, tanto che Erick Fromm nel libro “L’arte di amare” descrive che nel coso della storia la danza è stata sempre accompagnata dal ritmo del suono dei tamburi e la musica ha sempre evocato coinvolgimento emotivo. Gli uomini primitivi non conoscevano la fenomenologia della propagazione del suono e pertanto associavano i fenomeni sonori alla presenza di divinità o di spiriti o alle voci dei defunti. Recenti scoperte hanno mostrato che in alcune grotte (Lascaux nella Francia sud-occidentale) del Paleolitico superiore (17.500 anni fa) sono state raffigurate immagini di animali e scene di caccia nelle zone delle caverne in cui si amplifica maggiormente il suono. In alcune aree rurali dell’Inghilterra sono state rinvenuti monumenti megalitici di età preistorica (3.500 A.C.) in cui la forma e le dimensioni sono tali da amplificare il suono, questo fenomeno acustico contribuiva a creare una atmosfera di mistero e fascino all’interno dell’ambiente. Nell’antica Grecia erano famosi gli oracoli in cui i sacerdoti interpretavano i suoni emessi dalla natura, quali il fruscio delle foglie o il rombo di un tuono, come le voci degli dei e predicevano in questo modo il futuro dei viaggiatori. A Cuma è situato l’antro della Sibilla, una galleria scavata nel tufo, che affascina per l’atmosfera di mistero che la circonda e fu uno dei santuari più venerati dell’antichità. Virgilio lo descrive, nel libro IV dell’Eneide, individuandolo come sede della sacerdotessa di Apollo. L’antro è costituito da una galleria rettilinea, lunga oltre 100 metri, nella cui parte terminale si apre una camera dove la Sibilla pronunciava i vaticini. Studi recenti hanno mostrato che le società precolombiane dell’America centrale associavano al suono fenomeni soprannaturali, gli echi erano creduti come le voci degli spiriti, in particolare la piramide del Castillo nella penisola dello Yucatan (Messico) l’eco generato dal battito delle mani ai piedi della scalinata si trasforma in suono simile al cinguettio di un uccello della foresta, il battito delle mani nell’immaginario collettivo si trasformava nel cinguettio degli uccelli sacri che portavano le preghiere degli uomini agli dei che dimoravano nella foresta. A Siracusa la cavità (latomia) chiamata “Orecchio Dionisio” è famosa per la forma e l’acustica particolare, secondo la leggenda il tiranno Dionisio (V secolo A.C.) poteva ascoltare (nascosto in un punto situato nella parte sommitale della latomia) le voci dei prigionieri per carpirne i segreti. Secondo una leggenda medievale nei dintorni della città di Benevento si riunivano le streghe. Questa leggenda nasce durante il periodo in cui la città divenne capitale del longobardi. Questo popolo guerriero, che proveniva dal nord Europa, dopo una lunga migrazione si era stabilito in Italia. I longobardi adoravano le divinità dei boschi e avevano l’abitudine di danzare intorno agli alberi con i falò accesi, per cui si è ipotizzato che questi riti avvenissero accompagnati dal suono dei tamburi che con il ritmo accompagnavano la danza, il luogo in cui si svolgevano queste riti doveva avere caratteristiche tali da amplificare il suono emesso dai tamburi per rendere i riti emotivamente più coinvolgenti. Da questa tradizione del popolo longobardo nacque la leggenda delle streghe ed il luogo dove i longobardi usavano riunirsi era una vallata stretta e rocciosa chiamata stretto di Barba; la presenza di pareti rigide e lisce dello stretto consente al suono di essere amplificato dagli effetti delle riflessioni multiple sulle pareti medesime.

I teatri nel mondo antico
Gli edifici teatrali sono stati costruiti fin dalla antichità per contenere il pubblico e per una migliore visione ed ascolto delle rappresentazioni. I primi teatri costruiti in Grecia erano poggiati sul declivio di una collina ed avevano una struttura con gradinate lineari. Successivamente si passò ad una struttura a gradoni concentrica, questa configurazione oltre a migliorare la visione, consentiva una più ottimale distribuzione del suono tanto che nacque la leggenda della buona acustica dei teatri greci. La Figura 1 riporta le componenti architettoniche fondamentali di un teatro antico (scena, orchestra e cavea).

Fig. 1. Sezione di un teatro, con le indicazioni delle componenti architettoniche più significative (scena, orchestra, cavea).

La Figura 2 mostra il teatro di Dioniso ad Atene, mentre la Figura 3 mostra il teatro geco di Siracusa. Entrambi questi teatri sono stati costruiti sul declivio di una collina, in modo che la variazione di quota della collina potesse essere utilizzata per realizzare le gradiente della cavea. Il teatro geco di Siracusa è nato come spazio di risulta di una cava di pietra dismessa dalla quale veniva estratto il materiale per costruire gli edifici della città. Dalla Figura 2 e dalla Figura 3 è possibile notare la forma dell’orchestra ad U allungata tipica dei teatri greci. Questi teatri nonostante siano stati costruiti nel V o IV secolo avanti Cristo potevano contenere anche ventimila spettatori. Molti teatri greci furono rimaneggiati dopo la conquista romana con la realizzazione di una scena più ampia e connessa alla struttura della cavea. Alcuni teatri sul finire dell’impero romano furono trasformati in anfiteatri per lo svolgimento di spettacoli gladiatori come ad esempio accadde al teatro greco-romano di Taormina.

Fig.2 Teatro di Dioniso ad Atene.
Fig. 3 Teatro greco di Siracusa.

La Figura 4 mostra le differenze in pianta tra il teatro greco e quello romano, quattro triangoli o tre quadrati inscritti in una circonferenza davano origine a dodici vertici da cui si traevano le scale della cavea (cunei), i margini dell’orchestra, il palcoscenico e gli accessi pertinenti, l’edificio scenico. Agli inizi nel teatro greco l’orchestra è circolare, in quello romano è semicircolare.

Fig. 4 Differenze in pianta tra il teatro greco e quello romano.

I vertici superiori definiscono le scale della cavea che racchiudono i cunei in cui sono suddivisi i gradoni. Quando si arriva al “diazoma”, camminamento orizzontale che divide la cavea in due parti, l’inferiore detta “ima cavea”, la superiore detta “summa cavea”. Le scale si raddoppiano ed anche i cunei da esse formate, a causa dell’ampliarsi della cavea. Nel teatro greco la cavea poggiava sul declivio di una collina (spesso era una cava in disuso) la scena era piccola e non molto alta, le pareti della scena erano di modeste dimensioni ed erano separate dalla cavea. Nell’orchestra si posizionavano i cori e le danzatrici in modo che lo spettacolo potesse coinvolgere gli spettatori. Il teatro romano invece assume uno schema più complesso anche dal punto di vista architettonico, il teatro era realizzato con archi multipli e così poteva essere costruito anche all’interno delle città, non necessitava del declivio di una collina per poggiare la cavea, ma questa era poggiata su archi costruiti in modo concentrico con corridoi interconnessi (deambulacri); dal punto di vista geometrico era una figura regolare. La scena  era larga la metà del raggio dell’orchestra, la parete di scena erano collegate con la cavea in modo che si chiudeva tutt’uno la cavea con la scena. La scena era coperta con un tetto in legno che fungeva da protezione per gli attori, la parete delle scena presentava tre o cinque porte (ciascuna con un proprio significato in funzione della grandezza del teatro). La parete della scena era ornata con colonne e fregi, le colonne potevano essere disposte anche su più livelli e su più file in modo da renderla suntuosa ed elegante mentre le pareti erano colorate; la ricchezza delle decorazioni della scena doveva colpire emotivamente gli spettatori che entravano nel teatro dando loro l’orgoglio di appartenenza a Roma ed il suo impero. La Figura 5 riporta una ricostruzione di una scena di un teatro di epoca imperiale, con la presenza di colonne sovrapposte a più ordini e rivestita con marmi e stucchi in modo da impressionare il cittadino romano che assisteva alle rappresentazioni teatrali.

Fig.5 Ricostruzione di una scena di un teatro di epoca imperiale.

L’edificio scenico aveva tre o cinque porte a seconda della grandezza del teatro, ed aveva la funzione di amplificare la voce dell’attore. La voce si riflette sulla parte posteriore della parete di scena e ritornava sul pubblico seduto nella cavea. La Figura 6 mostra il cammino dei raggi sonori emessi da una sorgente puntiforme posta nel teatro. Figura 6 A, senza palcoscenico e senza parete di scena posteriore, il suono emesso giunge gli spettatori nella cavea senza contributi delle riflessioni sonore. La Figura 6 B mostra la presenza di una parete di scena posteriormente alla sorgente; il suono emesso è successivamente riflesso dalla parete di scena posteriore e quindi amplificato giunge agli spettatori posti nella cavea.

Fig. 6 Cammino dei raggi sonori emessi da una sorgente puntiforme posta sul palcoscenico.

La Figura 6 C mostra la presenza di una palcoscenico e di una parete di scena posteriormente alla sorgente sonora e del palcoscenico su cui è collocato la sorgente; il suono emesso è successivamente riflesso dal palcoscenico e dalla parete di scena posteriore e quindi amplificato giunge in modo uniforme agli spettatori posti nella cavea. Inoltre l’edificio scenico aveva la funzione di contenere tutte le macchine che rendevano spettacolare una rappresentazione teatrale: funi, carrucole, botole, specchi, campane. La Figura 7 mostra lo spaccato dell’edificio di scena e delle macchine teatrali in esso contenute.

Fig. 7 Spaccato dell’edificio di scena e delle macchine teatrali in esso contenute.

Il teatro romano aveva anche una funzione sociale, le persone che vi entravano per assistere ad un rappresentazione non sedevano a caso, ma occupavano i posti a sedere secondo una rigida gerarchia sociale. L’orchestra aveva una pianta a semicerchio ed in essa erano seduti i senatori e i personaggi pubblici che avevano finanziato lo spettacolo; nella cavea i cittadini occupavano i posti in funzione del loro grado sociale, nelle prime file erano seduti gli equestri, poi a mano a mano, a salire, gli ordini più bassi delle classi sociali, nelle ultime file gli schiavi, le donne e i bambini. Sulle gradinate a lato della scena (tribunalia) sedevano le sacerdotesse (vestali) e gli più importanti della città. Per entrare in un teatro in epoca imperiale nella cavea era realizzati delle accessi (vomitoria) che portavano gli spettatori, dopo una serie di rampe di scale, direttamente nel posto loro assegnato, l’ingresso a teatro era gratuito, ma occorreva munirsi di “biglietto”, realizzato con un osso su cui era inciso il posto su cui sedersi. La Figura 8 mostra una ricostruzione virtuale del teatro romano di Benevento.

Fig. 8 Ricostruzione virtuale del teatro romano di Benevento.

I romani in epoca imperiale avevano introdotto nel teatro alcuni accorgimenti per rendere più sopportabile la calura estiva; pioggerelle artificiali “sparsiones” con acqua di rose o zafferano che servivano a profumare l’aria, per rendere più sopportabile la calura del giorno e mitigare gli odori acri della folla. Per riparare il pubblico dal sole e dalla calura fu introdotto l’uso di un teli “velarium” che venivano stesi sulla cavea, questa sembra sia stata una invenzione dei campani, infatti l’anfiteatro di Pompei era munito di un sistema di teli posti sulle cavea. Lucrezio nel “de rerum natura”, così descrive i velari: generalmente fanno questo i velari gialli e rossi e color di ruggine, quando, tesi su grandi teatri, oscillano e fluttuano, spiegati ovunque tra pali e travi, ivi infatti colorano sotto di sé il pubblico delle gradinate e tutto lo sfoggio della scena e la splendida folla dei senatori, e li costringono a fluttuare nei loro colori. E quanto più sono chiuse, tutt’intorno, le pareti del teatro, tanto più ciò che è dentro, soffuso di grazia, ride tutto nella raccolta luce del giorno. La notizia di questa protezione (vela erunt, cioè: ci saranno le tende), diffusa dagli avvisi pubblici per le rappresentazioni, era in genere una buona pubblicità: si trattava di un servizio di lusso molto apprezzato dagli spettatori.  La stesura e la tensione degli enormi teli di cotone o di lino richiedevano infatti complicati maneggi e la presenza di specialisti: vi erano addetti addirittura i soldati della marina (classarii) abituati alle difficili manovre delle vele delle grandi navi. I velari potevano essere mezzi per aumentare la riverberazione in teatri romani antichi. Figura 9 mostra un dipinto dell’anfiteatro di Pompei cui si possono notare la presenza dei velari, che raffigura lo scontro tra i tifosi di Pompei e quelli di Nocera durante uno spettacolo gladiatorio; a seguito di questi disordini l’imperatore Nerone chiuse al pubblico l’anfiteatro di Pompei per dieci anni.
La Figura 10 mostra la ricostruzione virtuale della distribuzione dei velari sulla cavea.

Fig. 9 Dipinto dell’anfiteatro di Pompei che raffigura lo scontro tra i tifosi di Pompei e quelli di Nocera in cui si possono notare la presenza dei velari.
Fig. 10 Ricostruzione virtuale della distribuzione dei velari sulla cavea.

L’acustica degli edifici teatrali  
Gli antichi greci conoscevano i rudimenti della scienza del suono, infatti ancora oggi si apprezza la leggendaria buona acustica dei teatri greci e romani. Vitruvio, architetto romano (I secolo a.C.), nel trattato “De Architectura”, descrive le regole per migliorare l’acustica all’interno dei teatri. in questo trattato nel V libro vengono introdotti i principi fondamentali per la costruzione di un edificio teatrale, una buona visione e un buono ascolto all’interno di un teatro. Nella Roma antica esisteva il divieto di costruire teatri di pietra, ma questo divieto nelle lontane provincie era spesso aggirato, i primi teatri costruiti a Roma furono il teatro di Marcello ed il teatro di Pompeo, oggi in parte visibili perché integrati nel tessuto urbano della città. Diversi autori hanno presentato memorie sull’acustica delle chiese e sugli effetti dei vasi risonanti inseriti all’interno delle mura. Nel trattato “De Architectura” di Vitruvio, sono descritti alcuni principi fondamentali per migliorare l’acustica dei teatri come ad esempio di inserire, in maniera opportuna, sotto le gradinate della cavea, dei vasi risonanti che si accordassero con la voce dell’attore per migliorare la comprensione del parlato. Vitruvio nel De Architettura fornisce analogie tra i fenomeni naturali e quelli fisici; paragona la propagazione del fronte d’onda generato dalla caduta di un sasso in uno specchio di acqua, in cui si generano cerchi concentrici che mano a mano si allargano fino a scomparire, alla voce emessa da un attore sul palcoscenico di un teatro, ma in questo caso la propagazione della voce è assimilabile ad una sfera che si espande fino a giungere alle orecchie degli ascoltatori posti nella cavea. Nel trattato De Architettura, Vitruvio elenca alcuni accorgimenti per migliorare l’acustica del teatro, tra questi un teatro doveva essere realizzato in modo che tutti gli spigoli dei gradoni della cavea potessero essere collegati da un filo teso, oppure che avesse un profilo sferico come le onde sonore così, “se non esistono ostruzioni che interrompono la prima onda, non si rompono la seconda onda e le successive, ma tutte raggiungono gli orecchi degli spettatori, sia quelli più in basso sia quelli  più in alto, senza eco”. Inoltre descriveva le problematiche acustiche che in teatro potevano riscontrarsi. “ Si deve avere cura particolare affinché il sito non sia “sordo” ma sia un luogo in cui la voce può viaggiare con la massima chiarezza. Ciò può essere conseguito se si sceglie un sito dove non esistono elementi che generano eco.”. Distingueva i luoghi per la loro acustica in luoghi dissonanti (catecuntes), circumsonanti (periecuntes), risonanti (antecuntes) e consonanti (sunecuntes). “…Sono dissonanti quei luoghi in cui il primo suono emesso, che è portato in alto, impatta contro corpi solidi in alto e, essendo rinviato indietro, si arresta in quanto blocca sul fondo la salita del suono successivo. I circumsonanti sono quelli nei quali la voce si espande in tutto l’intorno e poi è forzata verso il centro dove si dissolve. La sua fine non si ode ma si estingue lì in suoni di significato indistinto. I risonanti sono quelli in cui viene in contatto con qualche sostanza solida e si riavvolge, producendo così un’eco e rendendo il suono finale doppio. I consonanti sono quelli in cui esso è supportato da sotto, aumenta nel procedere verso l’alto e raggiunge le orecchie in parole distinte e di tono chiaro. Pertanto, se il sito è scelto con cura, con questa precauzione, l’effetto della voce sarà perfettamente idoneo per gli scopi di un teatro”. 
Le definizioni e le raccomandazioni di Vitruvio non sono facili da decifrare. W. C. Sabine (padre dell’acustica moderna) nella suo articolo “L’acustica dei teatri” riteneva che queste espressioni di Vitruvio costituiscono “…un’analisi ammirevole del problema dell’acustica dei teatri. Per renderle comprensibili nei termini della nomenclatura moderna bisogna sostituire: interferenza a dissonanza; riverberazione a circumsonanza eco a risonanza. La parola consonanza, nel senso usato da Vitruvio, corrisponde al concetto attuale che la sovrapposizione del suono diretto con lo stesso suono un poco ritardato (riflessione) non produce confusione ma è percepito come un evento unico di intensità maggiore di quella del solo suono diretto”. La Figura 11 mostra la disposizione dei gradini, un teatro doveva essere realizzato in modo che tutti gli spigoli dei gradoni della cavea potessero essere collegati da un filo teso.


Fig. 11 Schema della disposizione dei gradini, un teatro doveva essere realizzato in modo che tutti gli spigoli dei gradoni della cavea potessero essere collegati da un filo teso.

Gli antichi greci erano consapevoli del fatto che le anfore vuote potevano apportare cambiamenti nelle caratteristiche acustiche all’interno di spazi chiusi. Uno dei primi riferimenti alla teoria dei risonatori fu fatto da Aristotele (III secolo a.C.). Nel suo libro ” Problemi ”, ha cercato di rispondere alla domanda: ” Perché se uno seppellisce un grande vaso o vasi vuoti con un coperchio, l’edificio echeggia di più e anche se c’è un pozzo o una cisterna nella casa? Secondo Vitruvio, i greci dell’antichità riconoscevano l’insufficienza della potenza acustica della voce degli attori nei teatri di dimensioni maggiori e nell’eventualità di problemi acustici all’interno dei teatri, in modo che la voce risuonasse meglio all’interno della cavea. I greci ed i romani inserivano celle acustiche al di sotto dei gradoni della cavea in modo da collocare dei vasi bronzei (echea) ossia dei risuonatori che riducevano il riverbero nella cavea. Studiando le teorie del suono di Aristotele e Aristosseno, Vitruvio riprese il diagramma di quest’ultimo per la collocazione delle celle acustiche (echea). Esso si basa sulla scala musicale pitagorica e prevede la collocazione di 13 celle, ognuna in grado di amplificare una determinata nota. La Figura 12 mostra lo schema della disposizione degli “echea” sotto le gradinate dei teatri.

Fig. 12 Schema della disposizione degli “echeia” sotto le gradinate dei teatri.

Knudsen riporta che la parola “armonici“ corrisponde all’accezione della parola moderna risonanze. Citando anche Aristosseno di Taranto (364-304 A.C.), allievo di Aristotele ed autore del più antico “Trattato dell’armonia” pervenuto ai posteri in buono stato, riporta che queste risonanze erano ottenute distribuendo con regolarità un grande numero di vasi di bronzo con la funzione di risonatori acustici in tutto il teatro. Nei teatri più grandi erano collocati in tre ranghi orizzontali, di 12 risonatori ciascuno, equi spaziati lungo la direzione verticale. Essi erano accordati con cura per rispondere a particolari note secondo i sistemi musicali. L’energia sonora re-irradiata in poche decine di millisecondi dopo l’istante di eccitazione per via aerea poteva enfatizzare componenti spettrali particolari della voce e degli strumenti musicali. Un gruppo era accordato per l’enarmonico, un altro per il cromatico ed il terzo per il sistema diatonico, le tre classi principali di modi usati nella Grecia antica.
Durante alcuni scavi vasi terracotta sono stati trovati sotto la scena, del teatro di Ercolano distrutto dell’eruzione del Vesuvio fu scoperto del XVIII secolo, e sotto la scena nel teatro di Nora i Sardegna, la Figura 13 mostra il teatro di Nora durante le riprese di un video del concerto di Ligabue.  Ad oggi però permangono molti dubbi sull’esistenza di questi vasi risonanti e sulla loro efficacia per migliorare l’intelligibilità della parola.

Fig. 13 Teatro di Nora immagine ripresa durante un concerto.

Gli attori e le maschere
Mentre del teatro greco sappiamo le opere che in esso erano rappresentate, nulla o poco sappiamo delle opere erano rappresentate nel teatro romano, infatti i teatri nell’impero furono costruiti nel I secolo dopo Cristo, quando la tragedia era un genere oramai esaurito. Gli attori dei teatri antichi dovevano essere molto versatili, la bravura nella recitazione necessaria di fronte a migliaia di spettatori imponeva che pochi attori interpretassero personaggi diversi. In questo si giovavano di costumi e gesti vistosi per la visione a distanza ed, in particolare, di maschere con atteggiamenti adatti al ruolo. Si ritiene che almeno alcune di queste maschere, inizialmente in tessuto irrigidito e poi in sughero, in legno o in cuoio, avessero una funzione di megafono. La zona intorno alla bocca era conformata in modo da amplificare la voce. Alla luce delle conoscenze attuali si potrebbe riconoscere un filtro acustico che meglio adatta l’organo della fonazione all’impedenza dell’aria, principalmente a causa della strombatura della parte esterna rispetto alla conformazione naturale della bocca. Circa la conoscenza della funzione acustica delle maschere molto potrebbe venire dallo studio delle maschere fittili del conservate nel museo di Lipari. Dall’analisi di questi reperti si potrebbero costruire maschere in scala reale e con idonee misure acustiche verificare la capacità delle stesse ad amplificare i suoni. La Figura 14 mostra alcune maschere conservate nel museo di Lipari, le cui dimensione massime non superano i 5 centimetri, questi oggetti sono stati ritrovati nelle tombe della necropoli, e si può ipotizzare che fossero degli amuleti.

Fig. 14 Maschere fittili conservate nel museo di Lipari.


Bibliografia
 
1)   Ciancio Rossetto, Sartorio,1994, P. Ciancio Rossetto, G. P. Sartorio, Teatri Greci e Romani: alle origini del linguaggio rappresentato censimento analitico, Vol. 3, Torino, 1994.
2)   Vitruvio M.P., De Archtectura.
3)   In Scaena. Catalogo della Mostra – Electa
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7)   Lokki T., Southern A., Siltanen S., Savioja L. Acoustics of Epidaurus – studies with room acoustics modelling methods, Acta Acustica, 99, 2013, 40-47.
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9)   Shankland, R.S. Acoustics of Greek theatres, physics today 26, 1973, 30-35.
10) Izenour, G.C.. Theatre design, New York, 1977.

Indirizzo corrente:
  
 Maurizio Abeti, phd
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 Universitas Mercatorum 
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 Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale
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 Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” 
 Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale
 Borgo San Lorenzo
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 Amelia Trematerra, phd
 Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” 
 Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale
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