Risalente alla seconda metà del Trecento, la chiesa fa parte di un monastero degli Agostiniani. Ricca di testimonianze artistiche, tra le quali spiccano affreschi coevi alla sua costruzione, alcuni interventi architettonici rinascimentali e le soppressioni napoleoniche, hanno causato una dispersione del suo patrimonio, che il restauro e la destinazione a museo recuperano e rendono visitabile. Terminato il laborioso restauro, iniziato dalla Soprintendenza di Ravenna nel 1983, la Chiesa di San Nicolò a Ravenna, è entrata definitivamente nel circuito dei monumenti cittadini visitabili. Peraltro già più volte era stata utilizzata come sede per importanti manifestazioni artistiche. Si tratta di un grande edificio, parte del complesso degli Agostiniani, la cui costruzione iniziò circa nella seconda metà del Trecento; dopo una lunga e gloriosa storia, a seguito della traumatica soppressione degli enti religiosi del 1798, fu sconvolto sia nell’aspetto esterno che in quello interno e venne adibito a palestra, maneggio e deposito militare. È ovvio come il recupero di un grande ed, in passato, famoso e ricco edificio religioso porti comunque con sé la riacquisizione di una parte della storia cittadina; curioso invece è stato ritrovare, distribuiti qua e là sulle sue vaste pareti, una tale varietà di lacerti affrescati da formare quasi un piccolo museo della pittura ravennate.
La storia inizia, ovviamente, con il reperto più antico, purtroppo ormai ridotto ad un’impronta larvale:
Il Rinascimento portò con sé un notevole stravolgimento dello spazio interno della chiesa; infatti le fonti storiche ci informano che importanti lavori di adattamento vennero effettuati nell’anno 1589. Questa fase di decorazione ci ha lasciato una fascia a grottesche che attraversa tutta la navata in senso trasversale, testimonianza di un interesse verso i motivi antichi, nonché qualche lacerto di parasta sempre arricchito da vivaci colori e richiami alla decorazione classica. Alla fine del Cinquecento risale l’intervento nella chiesa di un pittore della scuola locale, Francesco Longhi, (1544-1618), figlio del più famoso artista Luca Longhi. Si tratta di una Crocifissione fortunatamente conservata per essere rimasta chiusa in un arco tamponato e della quale è quindi ancora possibile ammirare la freschezza del colore. La scuola dei Barbiani, altra dinastia di artisti ravennati, è testimoniata da qualche lacerto decorativo che circondava le pale una volta poste ad ornamento delle pareti. Infine, tutto lo spazio decorativo è stato ridipinto, con profusione di motivi, dall’ultimo rappresentante della scuola seicentesca locale, il padre Cesare Pronti, nato nel 1626 a Cattolica e morto a Ravenna nel 1708, dove fu sepolto proprio in San Nicolò, in quanto era monaco del convento degli agostiniani. Egli lasciò in questo edificio le testimonianze più vivaci ed autentiche della sua fantasia decorativa, ricreando un mondo di finti bassorilievi, statue, medaglioni, putti in prospettiva, tali da vivificare la monotonia dell’iconografia religiosa controriformistica. Le vicende che hanno colpito la Chiesa di San Nicolò non ci permettono più di ammirare altro che la nuda testimonianza architettonica di questo edificio. Dispersi gli arredi e le pale, le fastose decorazioni pittoriche che esaltavano lo spazio interno si sono frantumate in tanti lacerti: ora la chiesa resta come museo della propria storia. L’INTERVENTO L’intervento illuminotecnico, voluto dalla Fondazione “RavennAntica” in occasione dell’allestimento della mostra “Domus del Triclinio”, è stato realizzato nel 2003. È consistito nella progettazione e realizzazione dell’impianto di illuminazione della Chiesa di San Nicolò, dei chiostri adiacenti alla Chiesa, delle aree adibite a biglietteria e punto vendita, della sala conferenze e, per ultimo, del cortile adibito a piccolo teatro all’aperto. La Valerio Maioli Spa ha curato anche la diffusione sonora, la videoproiezione sia nei locali della mostra sia nella sala conferenze e la distribuzione elettrica per usi
Entrati al buio nella Chiesa di San Nicolò, vera e propria sede museale, piano piano le luci scoprono le varie bacheche contenenti gli oggetti da ammirare eppoi, viene illuminata la grande riproduzione dei reperti ritrovati durante gli scavi nella sede della Banca Popolare di Ravenna con gli splendidi mosaici pavimentali della Domus Romana. Man mano che la gente avanza, invitata dalla luce che scopre dolcemente nuovi oggetti da ammirare, i visitatori prendono coscienza dello spazio che li circonda ed a questo punto si ritrovano davanti alla riproduzione della sala del triclinio su cui viene proiettata la ricostruzione digitale tridimensionale di una villa romana. Illuminati gli ultimi reperti, pian piano, emerge dalla semioscurità tutto l’interno della chiesa che, al termine della routine, offre alcuni affreschi di notevole interesse storico artistico. Particolare cura è stata posta nella ricerca di corpi illuminanti di piccolissime dimensioni che, posizionati sulle travi a notevole altezza, scompaiono quasi totalmente alla vista e contribuiscono a creare una piacevole sensazione senza abbagliare i visitatori. L’impianto realizzato è flessibilissimo per cui può essere facilmente adattato e riprogrammato in base alle mostre che verranno allestite in futuro.
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