Federica Visconti




In un recente libro che porta come titolo La città, Massimo Cacciari traccia una sintetica storia della città occidentale da quel singolare e privilegiato punto di osservazione che può avere chi del tema si è occupato tanto nell’astrazione della riflessione filosofica quanto nella pratica della esperienza politica. In due momenti diversi del testo Cacciari parla del concetto classico di kalón come bello oggettivo – in opposizione alla contemporanea ricerca di un bello inteso come ciò
che piace – e della città come luogo dell’abitare dell’uomo, laddove la metropoli contemporanea, perduta la capacità di donare luoghi, sembra incapace di assolvere ancora al suo ruolo.1
È a questa seconda realtà che mi riferisco se penso ad una città aggettivabile come continua: una città dove non è più possibile individuare ‘parti’ definite e ‘figure’ intellegibili: un territorio spesso periferico dove – per dirla con le parole sempre efficaci di Vittorio Gregotti – mentre nei centri l’architettura viene ridotta a ‘design’ ingrandito, i monumenti ad immagini di marca, in periferia si assiste al rifiuto di fare del tessuto urbano un materiale essenziale al disegno della città, accettando la privatizzazione dello spazio pubblico, e predicando l’ideologia della deregolazione come estetica della constatazione.2

Impostazione territoriale del progetto tra il mare e i
monti Picentini
Impostazione urbana del progetto

Lo strumento di intervento sul continuum urbanizzato non può allora che essere quello che preveda l’introduzione di discontinuità nell’indistinto, di ‘figure’ riconoscibili, anche se probabilmente differenti da quelle che si confrontano con la città della storia perché differenti in queste aree sono spesso i caratteri, i rapporti di scala, le relazioni con gli elementi geografici e naturali. Assenza di ogni rapporto tipo-lotto, bassa densità come ideologia – peraltro in spregio ai problemi connessi al consumo del suolo -, mancanza di gerarchie e di elementi riconoscibili – di elementi primari per dirla alla Rossi -, privatizzazione dello spazio pubblico, parcellizzazione del vuoto in spazi liberi elevati in numero ma residuali e quindi non convertibili sono invece i caratteri – tutti negativi – delle espansioni urbane continue di molte delle nostre
città che sembrano, nel loro essersi dilatate senza regole, avere dimenticato la necessità della forma: la città contemporanea ha rinunciato ad essere continua in senso temporale e a rappresentare il punto di accumulazione della sua storia in una forma ancora definibile tale – città e non agglomerazione – perché ci è ancora possibile riconoscerci
in essa; la città contemporanea ha smarrito la forma, o meglio ne è talvolta volutamente dimentica.
Di fronte a ciò, quello della ‘architettura urbana’ mi pare un punto di vista valido per impostare un ragionamento ‘serio’ sulle aree urbane con i caratteri descritti e gli strumenti del progetto urbano mi sembrano poter essere quelli attraverso i quali tentare di risolvere i problemi delle singole specificità urbane.

Vista da est

E parlando di progetto, credo che la descrizione di un’esperienza progettuale, esemplificativa di tale linea, possa servire a rendere maggiormente concreti i ragionamenti proposti: l’esperienza è quella del progetto di Concorso ‘Salerno Porta est’,3 avente ad oggetto il riassetto dell’ambito urbano costiero della parte orientale della città di Salerno attraverso la realizzazione di spazi ed attrezzature pubbliche.
Salerno, con i suoi quasi 150.000 abitanti, è la seconda città della Campania e, come Napoli, è una città che si caratterizza per un singolare rapporto con la sua geografia, stretta tra l’arco dei Monti Picentini ed il mare. Trainata anche dallo sviluppo commerciale del suo porto, e a causa della complessa condizione morfologica, la città negli
ultimi anni si è espansa soprattutto lungo l’arco costiero fin quasi a saldarsi, senza soluzione di continuità, ai comuni limitrofi: Vietri sul Mare da un lato, e Pontecagnano Faiano dall’altro.
Il progetto prova a definire un nuovo ordine e una nuova regola insediativa per tutto l’ambito di intervento che costituisce l’ingresso est della città attraverso un’attenta operazione di ricucitura urbana, attraverso la progettazione di elementi primari e attraverso un lavoro sui tessuti, utilizzando, infine, lo spazio pubblico per conferire valore civico
a quanto oggi appare privo di ogni disegno e gerarchia e, quindi, di ogni qualità urbana.

Le residenze
Il mercato

Il sistema d’ordine generale, alla scala ampia, è costituito dall’asse marittimo qui declinato come un boulevard che si prolunga all’esterno della città verso est, con una nuova sezione caratterizzata da un ampio viale-spartitraffico
centrale e da filari di alberature che incorniciano i nuovi fronti stradali, definiti dalle architetture di progetto precisate nelle loro qualità formali, compositive e tipologiche dall’idea progettuale proposta. Il terminale est di questo nuovo asse è segnato da una grande piazza-giardino, con torri belvedere, omaggio al progetto della torre di piazza del Duomo di Ignazio Gardella, che segna la porta di accesso alla città da oriente e che si pone come spazio di demarcazione
tra la città turistico/produttiva e la zona industriale, diaframma costruito e permeabile per il grande parco a verde attrezzato che ad essa fa da sfondo.

Gli spazi urbani
Le architetture

Con serietà il progetto ha provato a disegnare case che sembrassero case, edifici pubblici che sembrassero edifici pubblici e a fare un pezzo di città che fosse capace anche di dare qualità a ciò che preesisteva e che potesse essere riconoscibile per i suoi abitanti e a loro donare luoghi per abitare: compito questo del progetto urbano del
quale elementi primari, tessuto e ricucitura urbana sono strumenti.

FV
Università ‘Federico II’ di Napoli

1. Il testo è M.Cacciari, La città, Rimini 2006. I passi cui si fa riferimento sono i seguenti
 sul concetto classico di kalón come bello oggettivo nel capitolo Per finire in … bellezza, pagine 83-84:
«Qualcuno si chiederà se in tutta questa problematica urbanistica sia ancora presente l’esigenza di bellezza che sembra da sempre aver caratterizzato l’idea e la pratica dell’abitare. Rispondo che bisogna intendersi sul termine ‘bellezza’, sui suoi significati.
Le bellezze sono tante, come tante sono le forme della città. Oggi siamo alla ricerca di un bello che si colloca sulla dimensione puramente estetica (bello è ciò che piace, che è gradevole), ma la bellezza non ha solo questo significato fenomenico-estetico.
Nella classicità non era così: kalón aveva tutt’altro significato per il greco antico.
Kalón significava ‘guarda come è costruito forte’, ‘guarda come sta eretto’, ‘guarda come è ben radicato’: questo esprimeva il termine. Qualcosa che è formato, articolato, costruito in modo perfetto e perciò può durare. E non era un giudizio soggettivo, doveva emergere obiettivamente. Allora cosa vogliamo dalla nostra città, in modo che sia bella in questo significato? Perché possa emergere un bello in questa accezione, bisognerebbe che i nostri edifici esprimessero pienamente la nostra vita, le sue ragioni, altrimenti il bello è una cosa incatturabile e indefinibile.»
 sulla città contemporanea nel capitolo La città-territorio (o la post-metropoli), pagine 39-40:
«Tutte le forme terranee tendono a disciogliersi nella rete delle relazioni temporali. Ma per questo è necessario che lo spazio assuma appunto l’aspetto di una forma a priori, equivalente e omogeneo in ogni suo punto, e cioè che scompaia la dimensione del luogo, la possibilità di definire luoghi all’interno dello spazio, o di caratterizzare questo secondo una gerarchia di luoghi simbolicamente significativi. Ora, è possibile vivere senza luogo? È possibile abitare dove non si danno luoghi? L’abitare non avviene dove si dorme e qualche volta si mangia, dove si guarda la televisione e si gioca col computer domestico; il luogo dell’abitare non è l’alloggio. Soltanto una città può essere abitata; ma non è possibile abitare la città, se essa non si dispone per l’abitare e cioè non ‘dona’ luoghi. Il luogo è dove sostiamo: è pausa – è analogo al silenzio in una partitura. Non si dà musica senza silenzio. Il territorio post-metropolitano ignora il silenzio …»
2. Così Vittorio Gregotti in un articolo apparso sul quotidiano La Repubblica il 15 settembre 2008, dopo l’inaugurazione della 11a Biennale di Architettura di Venezia, con il titolo Ma l’architettura non è un’arte ornamentale.
3. Si tratta di un Concorso Internazionale di Idee bandito nel 2007 dall’Amministrazione Comunale di Salerno.
Gruppo di progettazione autore del progetto: Uberto Siola (Capogruppo), PROTEC s.r.l.
(Luigi Milano, Federica Visconti, Emmanuel Cecchi, Anna Iacotucci, Giustina Nappa),
C.S.S.T S.p.A., Renato Capozzi, Fabio Figlia, Paolo Leo, Giorgio Mormone.
Collaboratore: Antonio Aprea.

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