Il Museo Diocesano Adriano BernareggiIl presente del passato

Dedicato al vescovo che per primo ne volle la costituzione, Mons.Adriano Bernareggi, il nuovo museo bergamasco si presenta come punto di riferimento per l’attività artistica e culturale della diocesi. Concepito secondo il principio del “museo diffuso”, esso diventa il momento di partenza di un cammino di esplorazione della storia della liturgia e dell’arte a carattere religioso. Ce ne parla il Direttore, Don Giuseppe Sala.

L ‘origine del Museo è assai antica, se infatti la decisione di realizzarlo è stata presa dal vescovo in carica, S.E.R. Mons. Roberto Amadei, chi per primo cominciò a prefigurarne la costituzione fu Mons. Adriano Bernareggi, che ha guidato la Diocesi bergamasca dal 1932 al 1953. Può rievocarne la figura?
Mons. Bernareggi fu un vero luminare in campo culturale e sociale e precursore dei tempi in campo pastorale e liturgico. Con Mons. Polvara costituì la Scuola Beato Angelico, quale centro di studio e di aggiornamento dell’arte cultuale. Compì un lavoro pionieristico e rigoroso. Si pensi che già nel 1935 realizzò, nella cappella del Seminario, una sistemazione dello spazio liturgico di tipo postconciliare: con l’altare rivolto verso il popolo, con due amboni per il Nuovo e l’Antico Testamento e con altre soluzioni assai moderne. Fu lui a raccogliere una prima collezione di opere per il museo diocesano. Quando andava in visita pastorale amava soffermarsi da solo dentro le chiese: le osservava, ne ridisegnava la pianta e, da studioso, cercava di individuare gli autori, se questi erano ancora ignoti. Spesso, quando notava che opere importanti non erano adeguatamente valorizzate, ne proponeva l’acquisto alla parrocchia, oppure il prestito su cauzione.
Ora il museo c’è: qual è la filosofia che lo informa?
Quella del museo diffuso: si parte dal principio che il vero museo è la diocesi stessa e che le opere d’arte non devono essere avulse dal luogo per il quale sono state concepite. Sul territorio disponiamo di una ricchezza enorme e molto meno conosciuta di quel che meriterebbe. Vi sono parrocchiette di montagna che ospitano pitture di Palma il Vecchio, di Moroni, di Cavagna. Il museo è organizzato come centro propulsore che insegni a gustare questa ricchezza, presente non solo nelle chiese, ma anche in altri musei, quali quelli di Gandino o di Alzano. Per questo i supporti informatici e audiovisivi sono di grande aiuto. Per esempio al visitatore viene presentato un filmato aereo della bergamasca: quando si sorvolano zone di particolare interesse si atterra e ci si addentra nelle emergenze architettoniche e artistiche importanti, quali il museo di Gandino o la rotonda di San Tomè. Una parete del museo è occupata da una pianta del ‘500 che offre un’immagine concettuale e storica allo stesso tempo della diocesi. Si stanno catalogando tutte le opere d’arte presenti sul territorio; tramite i terminali di computer presenti nel museo queste possono essere osservate e studiate, secondo vari gradi di approfondimento: per il visitatore interessato o per lo studioso. Nel giro di due anni avremo completato l’opera di catalogazione. Ma l’arte presente nel museo, non lo dimentichiamo, ha una funzione cultuale e un contenuto religioso. Quindi l’organizzazione del museo è studiata in modo tale da fornire una base didattico-liturgica. Attraverso le opere d’arte e gli oggetti di culto viene spiegato come nasce la diocesi e come nei secoli si evolve il culto, dal XII al XVII secolo. Il percorso didattico parte con l’altare per poi seguire col battistero e poi col polittico in cui erano rappresentate le immagini dei santi, che un tempo erano immediatamente collegate all’altare. In tal modo si capisce bene come era concepito il culto, come si sviluppava la devozione popolare, e che volto avevano i luoghi e gli oggetti liturgici fino a trent’anni fa: prima del Concilio. Insomma, la sede del museo in quanto tale funge da luogo a carattere pedagogico e quale porta aperta verso le opere d’arte presenti sul territorio, ma in sé non racchiude che poche opere di primaria importanza, quali per esempio una pala del Lotto o un calice, che è considerato il più bello della bergamasca. Tale calice è depositato nel museo ma a disposizione della parrocchia quando questa intende usarlo per le celebrazioni solenni. Il resto sono opere di buon livello, frutto della selezione operata tra i 3000 oggetti di proprietà del Museo.
Vi sono altre attività che hanno luogo nel museo?
Certamente, vi sono gli “spazi vuoti”, che hanno un’importanza fondamentale. Una saletta da 130 posti per le con-ferenze, dotata di telecamere e di apparecchi di proiezione. C’è una sala d’onore che è usata per le esposizioni temporanee. Per esempio, è stata restaurata un’importante pala d’altare e prima di renderla alla chiesa di origine la terremo in esposizione qui, corredandola di apparati scientifici e dei bozzetti preparatori. Nel museo lavoreranno a turno alcuni restauratori: essi hanno anche l’impegno di interrompere la loro opera quando vi sono scolaresche in visita, per spiegare a queste ultime il modo in cui viene compiuto il restauro. Abbiamo inoltre intenzione di promuovere mostre, incontri e dibattiti sull’ar te contemporanea: allo scopo esistono altri spazi disponibili. Recentemente la Diocesi ha organizzato una mostra dal titolo “La Luce del Vero” in cui sono esposte opere di Caravaggio, Zurbaran, Rembrandt e La Tour. (L. Servadio)

SCHEDA DESCRIZIONE EDIFICIO

Sede: Palazzo Bassi Rathgeb, Via Pignolo 76
Progetto museale e direzione scientifica: Cesare Mozzarelli e Rossanna Pavoni
Coordinamento tecnico: Gabriele Allevi
Restauro: Santino Langè e Raffaella Gallizzi
Allestimento: Cesare Aresi
Illuminazione: P. Castiglioni con N. Rossi
Progetto multimediale: TWAIN comunicazioni

 

 

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