editoriale

CASE DI MONTAGNA
È inevitabile che una casa in montagna, sia che si tratti di una vecchia casa di famiglia impregnata di ricordi sia che si tratti di un’abitazione nuova, assorba e faccia sue le caratteristiche dell’ambiente circostante. In essa, stili architettonici, cultura e modo di vivere si fondono, permettendoci di sentirci parte di una realtà che magari non ci appartiene, ma che abbiamo scelto perché ci è particolarmente gradita. Ecco perché diventa difficile rinunciare a quegli elementi caratteristici, quasi scontati, che ci aiutano a ricreare l’atmosfera tipica di quel luogo, quella che per tradizione siamo abituati a collegare a quella determinata realtà. Recuperare le caratteristiche architettoniche che i walser hanno assorbito dalle popolazioni al di là delle montagne (v. CASE DI MONTAGNA n°49) o ristrutturare un vecchio rascard (v. CASE DI MONTAGNA n°50) assume grande importanza particolarmente oggi, tempo in cui pare vada perdendosi quella saggia capacità di adeguarsi all’ambiente, tipica dei nostri vecchi. Anche dietro al più semplice oggetto d’artigianato c’è una storia antica, un perchè legato alla difficile vita di un tempo, una cultura che non deve andare persa. Poco importa che oggi questi oggetti, un tempo indispensabili, siano spesso superflui, l’importante è che ci siano, che non spariscano dalla nostra memoria e restino a testimoniare rispetto e amore per il passato, magari inseriti in un moderno intervento di architettura.

OPINIONI
Dr.ssa Michela Zucca
Storica giornalista, è addetta culturale al Centro di Ecologia Alpina, dove si occupa di ecologia umana e di economia identitaria.

Le nostre Alpi, che per secoli sono state tenute ai margini delle vie di comunicazione e di sviluppo sociale e culturale, sono state testimoni dell’affermazione di una società al femminile: anche perché, spesso e volontieri, gli uomini mancavano, emigravano o lavoravano lontano. Ancora oggi, la maggior parte delle iniziative di microeconomia e di economia identitoria sono portate avanti dalle donne: dove rimangono loro, la montagna non muore, ma intraprende la strada di uno sviluppo diverso, in sintonia con la terra, sfruttando le opportunità che questa offre agli esseri umani. Dove le donne se ne vanno, la montagna muore e sempre più spesso, nelle nostre vallate, assistiamo ad un abbandono della componente femminile, che rifiuta di “sposare un contadino”. Parallelamente, però, si sta affermando anche un movimento contrario: parecchie signore hanno deciso di recuperare le tecniche di economia tradizionale (allevamento, artigianato, raccolta e trasformazione delle erbe officinali, ospitalità) utilizzando mezzi nuovi, associandoli tra loro in una prospettiva globale e gestendoli attraverso un’ottica di comunicazione all’avanguardia. Sempre più, insomma, le donne si stanno dimostrando, a livello di base, uno degli elementi più dinamici all’interno della microeconomia alpina. Anche perchè non si sono dimenticate delle proprie origini e comunque sono riuscite a conservare la memoria della tradizione senza rinunciare all’innovazione e alla rivendicazione di diritti sacrosanti. Il futuro delle Alpi sta nelle loro mani: siamo di fronte ad un interlucutore privilegiato per chiunque abbia a cuore la sopravvivenza, lo sviluppo e la vita della montagna. Bisogna dar loro la possibilità di esprimersi, di soddisfare certe esigenze spiccatamente “femminili”, che i loro compagni maschi trascurano o non riescono a vedere e a comprendere; bisogna fare in modo che si organizzino e riescano a tirare fuori il meglio da millenni di esperienza a stretto contatto con la natura.

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