VI Congresso Nazionale degli Architetti a Bari

VI Congresso nazionale degli Architetti a Bari Intervento di Carlo Chenis

Nei padiglioni della Fiera del Levante di Bari dal 30 ottobre al 1° novembre si è svolto il I Congresso nazionale di architetti, pianificatori, paesaggisti, conservatori che egregiamente si è innestato nel VI Congresso nazionale degli architetti. Tema dell’informazione, del confronto e della discussione è stato quello della qualità dell’architettura in contesto sociale, come si evince dal titolo della manifestazione Dai 100 degli anni ’90 ai 1000 concorsi di oggi. Mille nuove architetture. Cambia l’Italia. Per la prima volta si è svolto un confronto interdisciplinare e internazionale, ai fini di una architettura di qualità impostata sulle esigenze funzionali, sul genius loci, sull’immaginario collettivo, sul tessuto urbano, sul sistema ambientale. Questioni molteplici che richiedono un approccio articolato su piani tecnici, economici, politici, al fine di prospettare progetti congrui e sostenibili. Relazioni programmatiche, talk show, tavole rotonde, seminari monografici, mostre mass mediali, hanno costituito l’ordito per un confronto serrato e pluralista che è proseguito fruttuosamente nei contatti interpersonali. Tra le idee cardine, in ordine ad un recupero di qualità dell’architettura finalizzata all’urbanizzazione a misura d’uomo, emergono, sia l’esigenza della differenziazione, sia la necessità dell’integrazione. La prima è dovuta alle diverse utenze materiali e immateriali, la seconda al congruo riferimento urbano e paesaggistico.

L’emergenza sociale dell’architettura religiosa

Nel novero di una qualità architettonica differenziata si iscrive la significatività dell’edificazione cultuale che abitualmente ha nobilitato e focalizzato l’urbanizzazione di tutte le civiltà. Già Demostene affermava lapidario: «Guai a quella città che non ha il suo tempio!». I termini linguistici stessi di «culto» e di «cultura» segnano, nella loro radice sanscrita, l’evoluzione di un unico concetto che indica la trasformazione dell’ambiente in ragione della sua abitabilità. Dapprima l’uomo organizza la propria sopravvivenza biologica; progressivamente elabora usi e costumi socialmente rilevanti; da ultimo soddisfa le esigenze spirituali attraverso atti di religione. Questi si ritualizzano dando origine a forme architettoniche atte a determinare lo spazio dedicato al sacro. Mutuando ancora Demostene si può affermare che una collettività si qualifica esprimendo culturalmente e architettonicamente i propri valori religiosi. Di conseguenza, è fattore involutivo l’esclusione dello spazio cultuale dalla polis. I problemi che ne derivano sono però complessi. Se la collettività è riunita da un unico credo religioso è in grado di inserire facilmente lo spazio dedicato al culto. Se vi sono più fedi religiose il problema si complica ideologicamente e urbanisticamente. L’Impero Romano, ad esempio, scelse pragmaticamente di ospitare tutte le divinità dei popoli conquistati, costellando di templi dedicati a divinità straniere la stessa città di Roma. Le religioni monoteiste del giudaismo e, soprattutto, del cristianesimo non accettarono di far parte del panteon politeista, argomentando l’inesistenza degli dei pagani, per cui non potevano esserci altri templi se non quello dedicato al Dio creatore del mondo e signore della storia. Inoltre, il cristianesimo rifiutò la concezione teologica pagana, secondo cui il tempio era esclusivamente la casa di Dio. Per questo scelse come luogo cultuale, anzitutto, la domus e, successivamente, la basilica. Si tratta di spazi domestici e pubblici di uso comunitario. Dal momento che il cristianesimo di-ventò progressivamente la cultura dominante, la Chiesa assunse un ruolo centrale, tanto a livello urbano quanto a livello rurale, così che l’architettura cultuale disegnò, soprattutto in Italia, l’intero paesaggio. Attualmente la civiltà occidentale sta entrando in un pluralismo religioso ed etnico, per cui l’urbanizzazione religiosa deve tenere conto delle diverse fedi, in base ad una concezione tollerante e democratica. Se la tolleranza prevede che si dia spazio anche alle minoranze, la democrazia esige il rispetto della maggioranza e la cultura comporta il senso della memoria. Pertanto, nel territorio italiano, si deve tenere conto dei due millenni di memoria cristiana e, nelle singole città, si deve prendere in considerazione la maggioranza cristiana nelle sue varie confessioni.

La qualità articolata dell’architettura cattolica

L’architettura cattolica ha diritto di cittadinanza nell’ambito territoriale, in quanto esistono ancora consistenti comunità di fedeli. Nel periodo postconciliare, ed ora in quello postgiubilare, la Chiesa si è impegnata sul fronte della riforma liturgica e della nuova evangelizzazione, impostando lo spazio cultuale sull’inculturazione della fede e sulla partecipazione dei fedeli. Date le dispute sugli esiti talvolta discutibili delle nuove e nuovissime chiese, occorre enucleare i parametri di un’architettura di qualità, al fine di discernere nell’ambito dell’architettura cultuale il bello dal brutto, l’elegante dal sontuoso, il sacrale dal blasfemo, l’adeguato dall’incongruo. I parametri di qualità dell’architettura cultuale si articolano sul fronte sociale, tipologico, formativo, progettuale.

Qualità urbanistica. In una cultura tendenzialmente massificata bisogna ricreare una tipologia urbana che diversifichi i bisogni materiali e spirituali. Dal momento che nell’educazione della persona incide l’ambiente, diventa socialmente rilevante urbanizzare nel rispetto del paesaggio naturale, della memoria storica, dell’abitabilità domestica, della formazione culturale e dell’iniziazione religiosa. Di conseguenza, la qualità sociale dipende anche dalla percezione del sacro nel sistema urbano, così che le vestigia dei due millenni di cristianesimo, i loro progressivi adeguamenti e le nuove strutture cultuali catalizzino la ricerca spirituale e dispongano alla tolleranza religiosa. Non differenziare urbanisticamente i poli religiosi, in base ad un astratto principio di laicità, conduce alla compressione dei valori spirituali e, nel contempo, dispone a fondamentalismi aggressivi. La qualità architettonica del sistem
a urbano deve dunque prevedere spazi cultuali per le diverse fedi religiose in misura del numero degli appartenenti. Ne deriva un’architettura policentrica, differenziata e funzionale che coniughi gli spazi domestici con quelli comuni, dando specifica rilevanza agli edifici cultuali.

Qualità tipologica. È necessario offrire modelli di chiese atti a significare il divino e il sacro nello specifico delle singole religioni. In ambito cristiano la chiesa edificio è luogo della comunità riunita per celebrare i divini misteri, per cui deve ispirarsi ai dettami liturgici e accogliere i mutamenti culturali. Ha un’identità complessa, organica, diveniente. Si presenta esternamente con una propria specificità e si ordina internamente alla fruizione celebrativa. Si tratta, dunque, di un luogo tipologicamente differenziato, iconograficamente coerente, esteticamente fruibile, che assolve ai bisogni rituali e assume valenze simboliche.

Qualità formativa. Bisogna investire sulla formazione in termini specifici e interdisciplinari, poiché è impossibile progettare il luogo del culto in una prospettiva puramente estetico-architettonica o liturgico-funzionale. Ne deriva che urbanisti, architetti, artisti, tecnici, designers, scenografi, storici dell’arte, teologi, liturgisti, pastoralisti, sociologi, psicologi debbano collaborare al fine di una congrua elaborazione progettuale. Questo concorso richiede la formazione dei singoli e delle équipes alle specifiche tipologie cultuali. Équipe progettuale, committenza ecclesiastica, comunità dei fedeli devono perciò disporsi ad un regime sinergico e coeducativo.

Tre momenti del Convegno Nazionale degli Architetti tenutosi a Bari a fine ottobre 2003. Pagina a sinistra: il dialogo tra il Presidente del Consiglio Nazionale Architetti, Raffaele Sirica, e gli esponenti delle forze politiche e di governo. (Da sinistra: Sirica, Michele Vietti, Pietro Lunardi, il giornalista Mauro Mazza che ha coordinato l’incontro, Giovanna Melandri, Rocco Buttiglione). Qui a lato: nell’Urban Center del Convegno, esposizione di alcuni tra i progetti vincitori di concorsi di architettura svoltisi in Italia negli ultimi anni.

Qualità progettuale. La formazione degli addetti ai lavori permette la qualità progettuale che si attua allorquando il complesso cultuale è funzionale, organico, bello, così da assumere valore iconografico unitario. La bellezza non è un plusvalore, bensì il mezzo essenziale per evidenziare il contenuto, disporre gli animi, indicare il divino. Nella sua emergenza di significato la chiesa edificio trova nello splendore formale il modo per esprimere l’incontro cultuale dei fedeli con Dio e per anticipare la soluzione definitiva della storia.Trattandosi di un luogo abitato cultualmente, la qualità progettuale esige la continua riabitazione dei complessi precedenti, l’abitabilità degli attuali, la possibilità di trasformazioni per l’abitabilità nel futuro.

Il valore aggiunto del sistema urbano

Corrispondendo a tali indicazioni di qualità, l’architettura religiosa diventa il valore aggiunto del sistema urbano, corrispondendo alle esigenze di una democrazia tollerante aperta ai valori spirituali. Si impone pertanto la necessità di sensibilizzare la collettività, rendendo evidenti i parametri di vivibilità insiti in un’architettura differenziata aperta alle urgenze umanistiche e, nella fattispecie, a quelle religiose. Riviste specializzate e riviste di divulgazione possono farsi tramite presso il pubblico di quanto si sta riflettendo a livello ideologico e configurando sul piano progettuale. MASTER è una fi-nestra sul mondo dei giovani che sentono la necessità di uscire dall’entropia urbanistica e dal protagonismo progettuale, onde offrire alla collettività spazi di «abitazione spirituale» con il marchio «Italia».

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