Uno scrigno più forte del tempo

La chiesa concattedrale di S. Maria Assunta fu eretta nel XIII secolo, sulle rovine di fortificazioni normanne.
Il sapore della schietta essenzialità, densa di significato, tipica del medioevo, informa l’adeguamento, progettato da Riccardo Lopes, che coniuga lo spirito della riforma liturgica con il rispetto dell’austero edificio in cui si colloca.

La concattedrale di Rapolla ha rilevanti caratteristiche architettoniche locali ma anche una storia decisamente europea. Il prospetto (foto 1) è rivolto verso Ovest. La costruzione è rovinata più volte nel corso dei secoli, a causa dei forti terremoti che periodicamente colpiscono la regione. Come conseguenza di questi crolli le parti originali rimaste sono poche, ma di notevole valore artistico: tra queste il portale del 1253 (foto 2), i pilastri compositi all’interno (foto 3) Il nuovo apparato liturgico si inserisce in modo severo e semplice (foto 4).

Posta quasi al baricentro di un triangolo ideale i cui vertici puntano su Melfi, Rionero e Venosa, Rapolla – un piccolo centro della Basilicata alle falde del Monte Vulture – si caratterizza per essere un’antica cittadina, poco distante dai pittoreschi laghi di Monticchio. Rapolla vanta origini latine: è l’antica Strapellum, nel medioevo diviene roccaforte longobarda e alla fine del X secolo accoglie una fiorente comunità basiliana. Nel 1127 subisce un primo saccheggio da Lotario III, in seguito viene distrutta dai Normanni, mentre in epoche recenti: 1851, 1930 e 1980, periodici terremoti si accaniscono contro i suoi abitanti, li costringono a curare le ferite e rinnovare gli edifici. Eppure il centro storico riesce a mantenere intatte le caratteristiche medievali. Nella parte alta dell’abitato si trova la concattedrale dedicata all’Assunta, completata da Melchiorre di Montalbano nel 1253. L’impianto a tre navate poggia su precedenti costruzioni militari normanne. La centrale è in linea con la dorsale del nucleo urbano mentre una laterale è interrotta dall’anomala posizione del campanile. La facciata principale è rivolta ad Ovest, mentre i terremoti hanno lasciato intatti solo pochi elementi, ma di notevole pregio artistico come il portale, i pilastri compositi ed i bassorilievi trecenteschi, opera dell’artista lucano Sarolo di Muro. Riccardo Lopes, nelle note di progetto, ci rammenta che la concattedrale presenta rilevanti caratteristiche architettoniche locali, in sintonia però con le più ampie vicende europee. Le mura infatti appartengono al tempo in cui Roberto il Guiscardo governava il territorio e da Rapolla Federico II, l’imperatore svevo con le caratteristiche di un leader europeo, passava per recarsi ai castelli di Melfi, Lagopesole e Castel del Monte. La progettazione degli architetti ed il lavoro degli artigiani e degli artisti che da più parti trovano accoglienza nelle corti normanne e sveve, attribuiscono all’opera il fascino di un mosaico di culture e di saperi sia locali che transnazionali. L’ultimo terremoto danneggia quelle strutture ora consolidate dal Provveditorato alle Opere Pubbliche, con l’occhio vigile della Soprintendenza. In questa occasione vengono rimosse le precedenti strutture liturgiche per inserire il nuovo apparato, progettato seguendo le norme previste dal Concilio Vaticano secondo.

La sensazione che si avverte entrando in chiesa è quella di un apparato liturgico essenziale – potremo dire minimale, se tale termine non fosse abusato dalle mode – dove un’apparente semplicità si innesta nella secchezza dell’eloquio fatto per versi icastici più che per frasi complesse eppure l’insieme possiede una forza straordinaria, certamente dovuta da un lavoro a monte, di scavo, di riflessione e di approfondimento, per giungere alla progressiva eliminazione del superfluo, e davvero quel “meno” è il “più” che ha origine in Sant’Agostino e giunge fino a Mies van der Rohe e di cui il progettista, allievo di Francesco Venezia negli anni in cui frequenta la facoltà di architettura a Napoli, ci ha dato brillante prova anche in altre situazioni. Raccolti in questo luogo si comprende immediatamente di essere lontani anni luce dalla chiesa che trionfa nei fasti del barocco. In realtà la semplicità delle nuove strutture che definiscono il presbiterio, il fonte battesimale, il luogo del Santissimo, la penitenzieria, il coro e l’apparato iconografico è solo apparente ed è pensata per stabilire un dialogo profondo con la severa costruzione medioevale, velata dalla patina del tempo, ma ben fissa sulla terra, dal momento in cui sia nelle nuove strutture che in quelle antiche la geometria, impiegata per modellare forme essenziali, nasconde un preciso, matematico ordine di misure e di proporzioni che allude all’armonia celeste. La disposizione dei luoghi liturgici è stata realizzata con sensibilità e occhio attento alle caratteristiche del monumento. Da qui scaturisce l’ipotesi di porre la penitenzieria nella parte anteriore della navata destra, interrotta dalla presenza del campanile, area ideale perché posta a cavallo tra l’ingresso principale e quello secondario dell’aula. Il battistero invece viene collocato nella cappella anteriore sinistra, aperta sul giardino che si conclude con uno strapiombo sulla valle. Per accedere al fonte si scendono alcuni gradini con la forma di un parallelepipedo rastremato.

L’acqua sgorga dal centro incavato del blocco superiore di pietra, passando per fessure aperte nella piccola croce di marmo azzurro d’oltremare e scorrendo vela le pareti e si raccoglie in una canaletta incassata nel pavimento mentre in una nicchia ci appare una preziosa pala con l’immagine di Maria. La custodia eucaristica ferma la corsa dello sguardo lungo la prospettiva della navata laterale sinistra che con questo semplice gesto si trasforma in spazio di devozione al Santissimo. La piccola teca in metallo che ospita le ostie consacrate viene protetta dalla robusta struttura in pietra traforata, illuminata all’interno, mentre la luce si dilata all’esterno attraverso trafori cruciformi pensati per proiettare croci di luce sulle pareti. La luce, la materia e la forma del tabernacolo, che riprende l’archetipo della casa, gli attribuiscono un surplus di senso trasformandolo in una struttura l
iturgica rappresentativa della forte devozione che i fedeli riservano al contenuto. Il coro è posto nella cappella posteriore destra, collegata dal presbiterio, raccolto nella zona absidale, all’aula liturgica. I coristi partecipano all’assemblea fronteggiando lateralmente l’altare senza problemi perché la mensa ha i quattro lati identici. L’area presbiteriale si offre come centro e cerniera tra il Santissimo, il coro e l’aula liturgica ed accoglie mensa, cattedra e ambone. Quest’ultimo è proteso nello spazio dell’aula liturgica. La parete di pietra che lo conclude attribuisce rilievo a chi proclama la Parola di Dio. Dalla parete si solleva un arco in pietra che evidenzia ancor più il sacro libro aperto su di esso. La cattedra si inserisce in posizione più arretrata, in corrispondenza dell’origine della curva absidale e si erge come una sorta di basamento ai piedi di una pregiata scultura lignea del Trecento, dalla particolare e simbolica conformazione vegetale, che evoca la natura e rappresenta il Cristo crocifisso. La mensa, unica e fissa, è centro del centro presbiteriale, mentre la forma quadrata ne esalta il carattere assiale e conferisce uguale dignità ad ognuno dei fronti. Costruita da un blocco di pietra è sorretta da due archi rovesci, intrecciati a croce e là ove i due archi si intersecano, nella chiave comune, è celata e cementata la sacra reliquia. La pietra calcarea impiegata ha una colorazione che tende all’avorio ed una tonalità molto calda e lievemente venata. Prelevata da cave della vicina Puglia, è stata lavorata con passione da artigiani locali, con lavorazioni manuali, ovvero con il tipico uso di punteruoli e bocciarde per intagliare e scolpire i blocchi o rifinire le superfici con i diversi effetti di patinatura, levigatura, graffiatura. Prof. Arch. Mario Pisani

 

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