Un’oasi di luce e di pace

In una zona ex-industriale di Milano

Una vecchia fabbrica di caldaie è stata lottizzata, tagliata in tronconi e venduta a vari acquirenti per ricavarne studi o loft abitativi.
An old boiler factory has been made into lots that have been sold for use as studios or residential lofts.

Progetto dell’ arch. Monika Unger
Servizio di: Maria Luce Ranucci
Foto di: Athos Lecce
Testo di: Walter Pagliero

Era una fabbrica composta da una serie di capannoni (i classici shed orientati verso Nord per far entrare la luce ma non il sole) che una volta cessata l’attività industriale è stata divisa in diversi lotti da ristrutturare. Trovandosi in una zona di Milano venuta fortemente alla ribalta perché riutilizzata dal mondo della moda e del design, alcuni di questi lotti sono stati scelti da persone interessate a farvi dei loft da abitare personalmente. Una giovane professionista, l’architetto
Monika Unger, ha intravisto in queste strutture paleoindustriali dismesse la possibilità di creare in modo più libero la propria abitazione; perché si tratta di spazi senza colonne, senza muri e senza zone funzionali predeterminate,
dove ciascuno può rimodellare tutto a suo piacimento. Unica parte da conservare: lo straordinario soffitto a shed, di grande luminosità e con una forma a più falde che lo slancia verso il cielo.

Il grande spazio centrale a tutta altezza si trova in mezzo a due parti soppalcate che
lo racchiudono e lo rendono più intimo: una è dedicata all’ingresso e l’altra al relax.

Originally a factory consisting of a series of sheds (the classic north-facing sheds that let light come in but not the sun), it was divided into various lots for renovation when industrial production came to an end. Being located in an area of Milan that has come into the limelight because it has been used by the world of fashion and design, some of these
lots have been occupied by people interested in turning them into lofts for residential use. One young professional, architect Moniker Unger, saw the potential for turning these disused early industrial buildings into her own home. These spaces have no columns or walls, nor do they have predetermined functional areas, meaning that everything can be redesigned to suit. The only part that needs to be preserved is the remarkable shed ceiling, which provides a great deal of light and has numerous pitches that project it toward the sky.

Come organizzarsi in un loft

Su questo punto l’architetto Unger precisa: “Per sentirmi più libera e utilizzare al massimo la luce che piove dalle vetrate, ho scelto di avere al piano terra un grande spazio di soggiorno situato tra due blocchi soppalcati che lo isolano e lo rendono più intimo e privato.

I due soppalchi, collegati tra loro da un lungo ballatoio panoramico, contengono il primo un piccolo spazio di lavoro e l’altro la zona notte; ma siccome di giorno preferisco vivere su un piano solo, ho organizzato tutto quel che mi serve in successione: l’ingresso, la cucina, il soggiorno-pranzo, la lavanderia, il bagno e quant’altro.

Da uno dei due soppalchi parte poi una scala in ferro che sale a un ulteriore livello, a un miniappartamento indipendente molto comodo per ospitare amici.” E’ evidente la funzionalità di questa disposizione, ma se si pensa di scegliere un loft soltanto per ragioni funzionali, non si è colta la vera motivazione. Il loft è fantasia, gusto della libertà, amplificazione scenografica. Questo spesso si paga con la difficoltà di riscaldarlo bene d’inverno e di rinfrescarlo al punto giusto d’estate. E c’è sempre un certo spreco dello spazio che lo rende splendido a vedersi, ma in pratica meno utilizzabile di un appartamento tradizionale.

Nelle foto: Soppalchi e passerella con struttura metallica e chiusura superiore in listoni di legno sbiancato.
Galleries and walkway with metallic structure, closed at the top with whitened wooden planks

Le scale e i ballatoi che uniscono le varie zone e i tre diversi livelli creano un gioco di percorsi dinamici molto affascinante: spesso si hanno dei colpi d’occhio strepitosi su un’architettura che è volutamente costruita come un palcoscenico tra le quinte. Da ogni punto si può sempre vedere tutto senza essere visti, e ogni cosa viene illuminata dalla luce dei grandi lucernari che si susseguono sul soffitto, una luce sempre diffusa e mai diretta perché gli
shed sono orientati verso Nord. Una volta questa struttura serviva a controllare le macchine e il lavoro degli operai, oggi è al servizio della vita privata di una professionista di architettura.

La scelta del bianco

Di questo interno una caratteristica salta subito all’occhio: il bianco assoluto del pavimento, delle pareti e dei soffitti, ed anche molti mobili e accessorisono bianchi. E’ una scelta che viene da lontano, dall’inizio del XX secolo, dai primi esempi di
architettura modernista agli albori del Movimento Moderno. Perché tanto bianco? Perché moltiplica la luce e la luminostà è stata la prima innovazione che ha reso differente il moderno dall’antico, in un gioco simbolico tra ragione e oscurantismo, tra funzionale e inutilmente decorativo. Come predicava Le Corbusier ai tempi dell’Esprit Nouveau: la parete bianca è bella in sé e non va nascosta dai quadri; l’arte è importante (anche lui dipingeva) ma in una stanza solo un dipinto o un disegno alla volta si fa veramente apprezzare. Anche in questo loft il gioco delle pareti bianche viene interrotto da un solo quadro, che per di più è un’opera cibernetica ottenuta impostando sul computer una sequenza casuale di lettere colorate. Non vi sono altre presenze cromatiche se non certi rossi delle sedute che come piccole fiamme animano un interno tutto candido, un po’ come avviene nei paesaggi di tipo artico con le aurore boreali.

In questa architettura ex-industriale, la luce che piove dall’alto smaterializza i volumi dipinti di bianco
creando quasi un effetto nuvola dove i vari pezzi di design sembrano fluttuare in modo immateriale.

Nelle foto: Chaise longue rossa e lampada di Cappellini. Nelle foto precedenti, tavolo da pranzo “Fronzoni” e sedie “Carugo” di James Irvine prodotti da Cappellini. Divano “Soft” di Piero Lissoni e poltrona “Lima Soft” di Jasper Morrison
prodotti da Cappellini. Sgabelli di ceramica Habitat. Lampade di Fontana Arte. Faretti incassati di Kreon.

Red chaise-longue and lamp by Cappellini. Previous images, ‘Fronzoni’ dining table and ‘Carugo’ chairs by James Irvine, made by Cappellini. ‘Soft’ sofa by Piero Lissoni and ‘Lima Soft’ armchair by Jasper Morrison, made by Cappellini. Habitat
ceramic stools. Lamps by Fontana Arte. Built-in spotlights by Kreon.

The staircases and landings that bring together the various zones and the three levels create dynamism and interest.
Often one has sensational views of an architecture that is deliberately designed to resemble a stage between scenes.
From every angle one can always see everything without being seen, and everything is illuminated by means of the
light coming in through the large skylights. This light is always diffused and never direct because the sheds are north facing. This building used to be used for checking machines and the work of factory workers; today it serves
the private life of an architect.

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