Un ‘900 da ritrovare e conservare


RESTAURO CHIESA DI SANT’ ANDREA A MILANO

Costruito nei primi anni del XX secolo, ma completato solo negli anni ’80, l’edificio ha visto congiungersi e sommarsi diverse tecniche costruttive. È un esempio di come una chiesa non sia mai veramente finita, ma cammini nel tempo, con l’evolversi della storia. Si compie oggi un’opera cominciata un secolo fa, opera a cura degli architetti Laura Rossi e Claudio Musolino, recuperando quanto l’inquinamento e la trascuratezza hanno nel frattempo ammalorato.

La prima pietra fu posta nel 1900, sotto la direzione del progettista, Ing. Cesare Nava. Il terreno era in parte quello del vecchio camposanto della Parrocchia di san Rocco: consacrato nel 1786 e chiuso nel 1826, si era trasformato dopo la raccolta delle spoglie in una distesa di campi, fino a quando non fu inserito nel Piano Regolatore di Cesare Beruto,
che diede ordine all’espansione della città di Milano a partire dal 1884. Dopo due anni l’edificio fu portato quasi a compimento, tanto che la consacrazione avvenne nel 1904, per quanto mancasse ancora la pavimentazione, la facciata, il campanile, gli arredi fissi: si poteva celebrare e pian piano quanto mancava poteva essere aggiunto man mano che si sarebbero resi disponibili i fondi.
La facciata è stata compiuta nel 1987 – questa è la data riportata sulla lapide.
Ma i lavori erano continuati a più riprese nel periodo intercorrente: la pavimentazione del presbiterio è stata rifatta nel 1980 ( in Botticino e Nero Occhiolino) e nel 1982 era stata rivista la copertura in coppi del tetto.
L’edificio sorge maestoso all’incrocio tra via Crema e via Giulio Romano, nel quartiere di Porta Romana.
La copertura esterna è prevalentemente in mattoni, a parte alcuni inserimenti marmorei nelle cornici della facciata tripartita, caratterizzata da archi a tutto sesto sormontati da svecchiature rettangolari e timpani a triangolo, e altri inserimenti nelle cornici di gronda delle facciate laterali e infine nell’agile campanile che svetta nella zona absidale della chiesa.
La fabbrica di questa chiesa ha dunque attraversato il periodo critico in cui l’approccio formale al progetto della chiesa è radicalmente cambiato, con l’accettazione dell’approccio moderno e contemporaneo sancito negli anni Sessanta dal Concilio Vaticano II. E resta come esempio di chiesa contemporanea realizzata secondo i canoni preconciliari.
Sotto il profilo tecnologico, particolarmente significativa è la soluzione della copertura studiata dall’Ing. Nava: una soletta piana in calcestruzzo armato precompresso definisce il soffitto dell’aula, e poggia sui muri esterni in mattoni pieni portanti, restando coperto da una struttura in legno tradizionale, a capriate che reggono il manto protettivo esterno in coppi.
L’interno a tre navate è caratterizzato da due file di colonne che scandiscono il cammino di avvicinamento al presbiterio, monumentale nelle dimensioni (55 m di lunghezza).
Sopra il presbiterio spicca il ciborio, realizzato dalla Scuola Beato Angelico integrando in esso anche due colonne di antica provenienza. Il pavimento delle navate è in marmo bianco di Carrara e grigio Bardiglio, mentre le pareti laterali sono coperte fino a un’altezza di 2,60 m da lastre di rosso di Verona.
L’intervento conservativo attuale ha mirato anzitutto a risolvere il problema delle infiltrazioni di umidità dalla copertura ripristinando tutto il tetto; in secondo luogo si è ripulita la facciata laterale esterna che prospetta su via Giulio Romano ed è stato rifatto l’impianto di illuminazione allo scopo di rendere meglio “abitabile” la chiesa e di accentuare l’organizzazione gerarchica dello spazio liturgico.
Resta da risolvere il problema dell’umidità di risalita dal pavimento che poggia sul nudo terreno (per il quale è stato compiuto il progetto sia per la realizzazione di un impianto di riscaldamento a pannelli, sia di rifacimento della pavimentazione a decori).

In senso orario: la chiesa durante i lavori di rifacimento del tetto e di pulizia della facciata laterale; il progetto
per la nuova pavimentazione; i lavori sul tetto.
Pagina a lato: la chiesa si presenta imponente con la nuova facciata dalle alte arcate. La pulizia del fianco su strada ha reso omogenea la cromia delle superfici.

La copertura
La copertura è a doppia falda sulla navata centrale e a falde ribassate su quelle laterali, ar ticolata “a padiglione” sul volume aggiunto della sagrestia. La struttura portante è in legno di larice e abete e sulla listellatura poggia un cartonfeltro bitumato che sostiene il manto di coppi. Alcuni di questi sono parzialmente scivolati, mentre la scarsa manutenzione ha favorito l’accumulo di materiali estranei creando punti di accumulo e ristagno. Anche i pannelli di cartonfeltro bitumato risultavano deformati a tal punto che si creavano zone di accumulo dell’acqua piovana che davano luogo a gocciolamenti attraverso giunti e rotture.
Si è quindi provveduto a consolidare le strutture lignee esistenti, con rinforzi per le capriate della navata centrale e sigillatura delle fessurazioni. È stata altresì eseguita la pulizia manuale delle superfici per liberarle dal guano, e sono state asportate le parti del legno degradate da parassiti silofagi.
E ove necessario si è intervenuto con protesi lignee, le superfici ripulite sono state trattate con disinfestanti antiparassitari.
Anche le parti del sottotetto sono state trattate con pulizia e disinfestazione, alcuni travetti deteriorati sono stati sostituiti. Il cartonfeltro bitumato è stato sostituito con lamiera grecata zincata e preverniciata con listellatura sottocoppo per costituire così una camera di ventilazione. Il manto in coppi è stato rimosso e ricollocato dopo che i coppi
sono stati ripuliti.
A opera ultimata sono stati collocati sistemi per l’allontanamento dei piccioni.

La facciata laterale
È stata ripulita anche la facciata verso via Giulio Romano: l’unica esternamente visibile della chiesa, così da asportare la patina scura depositatasi nel tempo e riportare la cromia del manto murario a una tonalità congrua con quella della recente facciata. La superficie è stata quindi trattata con protettivo idrorepellente e antigraffito.

L’impianto illuminotecnico
L’impianto preesistente consisteva in faretti collocati sopra la cornice dei capitelli dall’effetto abbagliante.
Il nuovo impianto è stato pensato allo scopo di valorizzare la sequenza di archi e colonne che conduce verso l’area presbiterale, evidenziando così il percorso tra l’ingresso e l’altare.
I nuovi gruppi di elementi illuminanti sono stati posti al piano di imposta degli archi, supportati da carter di alloggiamento dalle forme semplici e lineari e le connessioni per l’alimentazione sono state collocate senza intaccare gli intonaci, in forma di “catene” di rinforzo che ben si armonizzano nella serie di archi.

A sinistra, dall’alto: parti di pavimento ammalorate dall’umidità; il decoro pavimentale esistente.
In basso: progetto per il vespaio. Asportato lo strato superficiale di terriccio di sottofondo, si prevede la posa di calcestruzzo di fondazione portante debolmente armato; sopra questi, casseri di tipo Iglu; sopra ancora un massetto di copertura armato, quindi un pannello isolante ed infine uno strato di calcestruzzo con l’impianto
di riscaldamento. A copertura, pavimentazione in piastrelle di marmo. Pagina a lato, in senso orario: vista prospettica dell’aula. Il nuovo impianto diffonde la luce con gruppi di faretti posti sopra i cornicioni dei capitelli. L’intensità luminosa è graduata per dare risalto alla zona presbiterale e alle canne d’organo di sfondo. Il ciborio e la decorazione absidale.
La navata vista dal presbiterio. (Foto Studio Rossi-Musolino, Sesto S. Giovanni, Milano)

Dai gruppi illuminanti, quattro puntamenti sono stati orientati verso la navata per fornire una luce frammentata e diffusa e due sono stati orientati a realizzare un’illuminazione di accento sul complesso arco-capitello-fusto della colonna.
Si generano così pennellate di luce radente. La festosità della luce raggiunge la maggiore intensità nel presbiterio, lambendo le colonne del ciborio in un gioco di luci e ombre sovrapposte che ne esaltano la tridimensionalità.

Il progetto di restauro interno
All’interno il progetto di restauro prevede la pulitura delle superfici murarie dalle pitture acriliche di tonalità verde, per recuperare il colore pesca originario con la stesura di una nuova idropittura.
Si prevede la pulitura delle cornici in gesso bianco, dei serramenti, il recupero del finto granito grigio originale nelle lesene.
Un capitolo particolare nel progetto del restauro interno riguarda il progetto di una nuova pavimentazione, già approvato dalla Commissione Arte Sacra della Curia vescovile.
Attualmente il pavimento è in marmo a casellario semplice con fughe a contatto posto su un letto in conglomerato non armato a sua volta posato su sottofondo in terriccio. L’umidità di risalita ha ammalorato la superficie dei marmi in diversi punti. La nuova pavimentazione dovrà essere posata su un letto cementizio risanato sul quale verrà posto un
vespaio e un sistema di riscaldamento a pannelli. Sopra questi sarà posata la nuova pavimentazione marmorea, secondo il disegno approvato.

Laura Rossi, Claudio Musolino

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Pubblicato in FARE

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