Umberto Cao



Una mentalità diffusa immagina che uno dei modi per salvare il pianeta preveda una esistenza in cui, abbandonate al mattino le sontuose lenzuola di canapa sul materasso in lattice ed indossato un paio di Levi’s in cotone organico da 245 dollari e una maglia biodegradabile firmata Armani, ci si diriga dalla camera da letto della propria casa ecologica ad alimentazione solare fotovoltaica alla cucina ristrutturata con legno di recupero. Entrati nel garage da tre posti macchina, illuminato da lampade a basso consumo, ci si infila al volante della Lexus ibrida da 104.000 dollari per andare all’aeroporto ed imbarcarsi su un volo da 12.875 chilometri – non prima di avere acquistato delle compensazioni per le emissioni di anidride carbonica – per trascorrere una settimana in un ecovillaggio delle Maldive a tirare palle da golf fatte con cibo per pesci compattato …

Alex Williams su ‘The New York Times’, 2007
inserto ‘La Repubblica’

È l’equivoco consumista che si è impadronito del pensiero ambientalista oppure è la inevitabile conclusione di una cultura ambientalista superficiale, opportunista e bigotta?

Eppure la sostenibilità è una cosa seria
È vero che il pianeta Terra è in sofferenza. Anche se gli equilibri ambientali si sono sempre modificati nel tempo, il disequilibrio che stiamo vivendo è più grave perché appare irreversibile. Se ne parla ormai da anni. Ma cosa è la ‘sostenibilità’ oggi in ambito popolare?
La prima definizione in ordine temporale è stata quella contenuta nel rapporto Brundtland del 1987 e poi ripresa dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo dell’ONU (1987): ‘lo Sviluppo sostenibile è uno sviluppo che garantisce i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri’.

Il conformismo della sostenibilità
La città sostenibile di Le Corbusier

Ne sono seguite altre di vari organismi internazionali. Eccole:
– World Conservation Union (1991): lo sviluppo sostenibile è un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende.
– International Council for Local Environmental Initiatives (1994): sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l’equilibrio dei sistemi naturali, edificato e sociale da cui dipende la fornitura di tali servizi’.
– Protocollo di Kyoto (1997-2007): è un trattato internazionale in materia riguardante il riscaldamento globale sottoscritto nella città giapponese di Kyoto l’11 dicembre 1997 da più di 160 paesi in occasione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Perché il trattato potesse entrare in vigore, si richiedeva che fosse ratificato da non meno di 55 nazioni firmatarie e che le nazioni che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti; quest’ultima condizione è stata raggiunta solo nel novembre del 2004, quando anche la Russia ha perfezionato la sua adesione.
Premesso che l’atmosfera terrestre contiene 3 milioni di megatonnellate (Mt) di CO2, il protocollo prevede che i Paesi industrializzati riducano del 5% le proprie emissioni di questo gas. Il mondo immette 6.000 Mt di CO2, di cui 3.000 dai paesi industrializzati e 3.000 da quelli in via di sviluppo; per cui, con il protocollo di Kyoto dovrebbe immetterne 5.850 anziché 6.000, su un totale di 3 milioni.
Dato l’elevatissimo costo della riduzione, è facile capire perché il protocollo non abbia raggiunto numerose adesioni.
– UNESCO (2001): la diversità culturale è necessaria per l’umanità quanto la biodiversità per la natura. La diversità culturale è una delle radici dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre una esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e spirituale.

Questo ampliamento del concetto di ‘sostenibilità’ che include il dato culturale è importante perché per la prima volta si passa da considerazioni di ‘quantità’ a valutazioni di ‘qualità’. Categorie intellettuali, come l’etica e l’estetica, come la tradizione e la storia, come la sensibilità e l’emozione, vengono incluse in una valutazione complessiva della qualità della vita.

La sostenibilità è fuori o dentro l’Architettura?
Dalle generazioni del ‘Moderno’ che ci hanno preceduto abbiamo imparato molte cose: a guardare la Storia con sensibile distacco, ad applicare nuovi materiali e nuove tecnologie, a studiare la città ed il suo destino, a superare le frontiere dei linguaggi, a conquistare nuovi spazi per l’abitare, a muoverci meglio nel territorio. Gli studi urbanistici di le Corbusier per l’America latina (Montevideo, San Paulo, Buenos Aires, Rio del Janeiro) non immaginavano nuove città ‘compatibili’
con la natura lasciando intatto il paesaggio? La Ville Radieuse accompagnata dal motto autografo ‘La città di domani dove sarà ristabilito il rapporto uomo-natura’, non era un progetto ‘ambientalista’ e ‘sostenibile’? I ‘5 punti’, oltre che fondamenti di un nuovo linguaggio, non sono anche il paradigma di un abitare equilibrato e compatibile? Certo la battaglia di Le Corbusier era quella di un grande intellettuale cui spettava il compito di ridefinire gli statuti di una disciplina,
la sua architettura e la sua città nascevano da un atto di imperio culturale, la sua ‘machine pour habiter’ era una raffinata sintesi di ordine, tecnica e forma molto lontana dalla ‘cabane rustique’ di Laugier. E allora guardiamo ad altri maestri, forse meno ‘grandi’, che alla forma architettonica hanno anteposto lo studio di sistemi ambientali, alle
certezze dell’architetto il dubbio della sperimentazione.
Tra gli anni ’40 e ’70 Buckminster Fuller aveva lavorato attorno ad un altro concetto di macchina, diversa dalla macchina lecorbuseriana.
Una macchina che non è ‘altro’ dalla natura, non lancia una sfida, come fanno l’automobile, il piroscafo o l’aeroplano, non si contrappone con la potenza di fuoco dei suoi motori. La ‘macchina per abitare’ di Fuller è parte dell’ambiente. Si muove lentamente sfruttando l’energia stessa della natura. Non corre, attraversa, schizza, esplode … ma fluttua, ascende e discende, implode. Gli studi per l’automobile Dymaxion, per le case Dymaxion e Wichita, per il geode stesso, propongono spazi abitativi organici, sistemi olistici non scomponibili.
Yona Friedman negli anni ’70 identifica il concetto di ‘società’ con quello di ‘ambiente’ inventando la ‘ecologia sociale’: i componenti del ‘sistema ambientale’ possono essere sia individui che oggetti, ‘… il mondo nella sua totalità è questo ambiente con il quale, lo si voglia o no, occorre comunicare’. Ma l’animale uomo, che lo abita, ha precisi limiti biologici: può vivere e riprodursi solo in certe condizioni di alimentazione e metabolismo, a certe temperature, con determinate
modalità associative e ricreative. Allora questa società di uomini può anche trasformarsi, ma non può crescere senza limiti (infatti associazioni di uomini troppo numerose e non sufficientemente motivate diventano conflittuali e prive di equilibrio causando epidemie, guerre, disastri e stragi). Così come un ecosistema deve avere limiti per consentire
la co-esistenza delle specie, altrimenti c’è la selezione e sopravvivono solo gli organismi più robusti, altrettanto in una società di uomini vincono e comandano i più forti.

Ripascimento artificiale di una spiaggia
La casa sostenibile di Buckminster Fuller

Architettura prima della forma
L’architetto non ha competenza completa in campo ambientale.
Corre il rischio di essere superficiale oppure di trasformare il tema in opportunismo professionale progettando finte case ecologiche, divani in lattice e cucine in legno riciclato. Sarà meglio che lasci ad altri, più competenti sul piano tecnico e biologico, il compito di approfondire soluzioni e dispositivi per gestire energia pulita, per risparmiare consumi e quant’altro occorra per innovare il campo impiantistico abitativo.
Ma può fare ancora molto in proposito, perché se progetta facendosi carico degli agenti esterni rinunciando alla propria autoreferenzialità, se è consapevole di produrre arte collettiva, se cerca – anche attraverso la sperimentazione – di indicare processi e non forme e linguaggi, se riconosce i suoi limiti e li rispetta per non creare danni e scompensi, in questo modo già farà architettura ‘sostenibile’.
Allora concludo elencando cinque condizioni che l’architetto dovrà rispettare per favorire la coincidenza tra qualità e sostenibilità:
– l’Architettura sostenibile deve ridurre al minimo il grado della sua espressività. L’ossessione formalista è nemica dell’architettura, della città e dell’ambiente, perché è individualista, estranea e produce trasformazioni eccessive e superflue;
– l’Architettura sostenibile nasce da un’idea elementare di trasformazione reversibile dell’ambiente. La sua tipologia insediativa, il suo modo di catturare uno spazio, la sua vivibilità sono la sua forma;
– l’Architettura sostenibile è progettata per essere costruita. Non ci devono essere finalità intermedie che interrompono il processo perché la sua capacità comunicativa non può avvenire attraverso i media ma dentro l’ambiente in cui si colloca;
– l’Architettura sostenibile è innovativa ma sa capire la città. Tutto ormai è città. Il paesaggio stesso spesso è città. Dal momento della sua realizzazione l’opera di architettura diventa città (e paesaggio), quindi appartiene a tutti. Non si può sbagliare.
– l’Architettura sostenibile è il risultato di un lavoro interdisciplinare e collettivo. Il compito dell’architetto è quello di guidare équipes di specialisti, ma l’architetto non potrà mai da solo risolvere problemi tecnici e tecnologici.

U.C. Preside della Facoltà di Architettura, Università di Camerino, sede di Ascoli Piceno

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Archeoclub d’Italia
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