Tradizione o finzione?


TESTIMONIANZE A PROPOSITO DELLE CATTEDRALI DI HOUSTON E DI OAKLAND

Riprendendo il dibattito cominciato su queste pagine da alcuni mesi, Fra’ Giacomo Grasso pone in evidenza come proprio della Chiesa sia camminare con quanto di meglio esprime la cultura cristiana del tempo.

Su CHIESA OGGI architettura e comunicazione 87/2009 si è aperto un dibattito a proposito di due cattedrali molto
diverse tra loro per gli stili usati. Lo ha aperto il Prof. Nikos Salìngaros nel confrontare la nuova concattedrale di Houston con la cattedrale di Oakland. Vediamo come. A Houston, in Texas, la vecchia cattedrale non bastava più. Ne è stata realizzata una nuova. La committenza l’ha pensata come una costruzione che consegnasse alla comunità una chiesa “come una volta”. Gli architetti che l’hanno progettata hanno acconsentito: ne è venuta fuori una chiesa falsa, come tutte le architetture che “sembrano” appartenere a una “tradizione”, ma in realtà nascondono una tecnologia che non ha più nulla a che fare con quella “tradizione” cui fingono appartenere.
Questo si manifesta in maniera altrettanto forte nell’iconografia (il crocifisso richiama il film Passion) e in genere nell’arredo.

La cattedra del Vescovo, l’ambone, l’altare, il fonte battesimale abbandonano il quasi-romanico e inseriscono nuove tipologie e, nel caso del fonte battesimale, la curiosa collocazione a metà navata fa pensare non tanto alla “tradizione” ma al cattivo gusto di un recente movimento ecclesiale che punta aa antropomorfizzare l’edificio. Operazioni di questo tipo non sono rare negli USA. Lo prova una pubblicazione del 2000, collegata a una mostra, che ha come titolo Riconquistare lo spazio sacro 2000. La chiesa nella città del terzo millennio. Ne sono curatori C. Rosponi, G. Rossi, D.G.Stroik. Ne, emergono non piccole perplessità, perché si attribuisce all’area della riconquista un coacervo di opere, e di architetti non assimilabili (Sandro Benedetti con il Santuario di Paola e Paolo Portoghesi con la chiesa di Terni…) ed è ampia la documentazione su progetti e nuove chiese statunitensi che parlano da sole. Negli USA però non si dà soltanto questo insieme di pasticci.
Fra’ Giacomo Grasso, O.P.

Si può citare, per restare nell’ambito delle cattedrali, non solo quella di Oakland (cfr CHIESA OGGI, 86/2009), ma anche quella di Los Angeles (cfr CHIESA OGGI 64/65-2004). Sono due realizzazioni robuste, in particolare quella di Los Angeles, che non hanno bisogno di ricorrere a una visione di Chiesa al di fuori della tradizione, perché entrambe
hanno risposto a una sollecitazione che viene dal Concilio Ecumenico Vaticano II, e cioè a quella di una Comunione – la
Chiesa è una comunione – e a quella della Partecipazione. Così si innesta la grande ispirazione del Novecento modern, a un certo modo di esprimersi di quello che può essere il più verace post modern (penso ad A. Rossi, Gabetti &
Isola, Cesare Fera), alla comunione e partecipazione dei fedeli, segni di quel che la Chiesa e la sua Liturgia sono nel profondo. Non è sufficiente rilevare che a Houston si sono introdotti nella concattedrale elementi che appartengono alla cultura del modern. Anche tanti edifici eclettici portano in sé novità. Come le portano edifici romanici trasformati in epoca barocca e inventati nei restauri di secondo ‘800.

Cattedrale di Houston, vista verso l’altare.
In alto: cattedrale di Oakland (foto Tim Hursley), vista assiale dall’altare, progetto C. Hartman, SOM.

I fruitori e la committenza della concattedrale di Houston si troveranno probabilmente bene nella loro chiesa ma rischieranno di offrire un’immagine di Chiesa incapace di dialogare con chi frequenta i grattacieli che la circondano, e di riflettere su quanto richieda al cristiano di oggi la cultura di oggi.
I fruitori e la committenza di Oakland e di Los Angeles potranno avere inizialmente difficoltà, ma è più che probabile che a poco a poco assimilino quanto dei frutti del Concilio si è scritto sopra, e questo avvenga anche per le generazioni future. I fedeli di Houston, invece, nel futuro incontreranno difficoltà: soprattutto nel confronto con la piccola cattedrale in mattoni, leale espressione della Chiesa post Concilio Vaticano I. Le osservazioni di Nikos Salìngaros, oltre a non proporre nulla quanto a comunione e partecipazione, non tengono conto della forte differenza tra il formalistico e il sostanziale: aspetto particolarmente importante per le chiese, che non possono dimenticare
la verità nel loro essere profondo. E cioè di essere segno parlante della Chiesa nella sua Tradizione più autentica, quella che si collega all’ultimo Concilio: come fa notare, proprio all’inizio, il documento della Conferenza Episcopale Italiana sull’adeguamento delle chiese (1996).

Fra’ Giacomo Grasso, O.P.

 

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