Tra i declivi la ricerca dell’anima

Luogo romito, lontano da strade e paesi: rinasce qui una comunità cistercense sulla spinta del
rinnovamento spirituale sorto attorno al Concilio. Dai primi anni ‘90 prende forma anche il nuovo
monastero, edificato in diverse fasi su progetto di Maurizio Momo, nel rispetto della tradizione.

Pra ‘d Mill: Il ritorno dei monaci cistercensi

di fratel Cesare Falletti

Un presente che nasce dal passato.

La presenza dei monaci cistercensi nel Saluzzese ha radici antiche e risale agli albori stessi dell’ordine monastico che ebbe tra i suoi primi grandi protagonisti san Bernardo. La tradizione infatti ci racconta che il monastero di Staffarda, voluto dal marchese di Saluzzo Manfredo I del Vasto e fondato tra il 1135 e il 1138, abbia avuto come suo primo abate un monaco di nome Pietro, discepolo dello stesso san Bernardo.
I primi monaci, giunti a Staffarda dall’abbazia del Tiglieto e dunque dai monti appenninici che separano il Piemonte dalla Liguria, trasformarono ben presto le aree incolte e acquitrinose della zona in una fiorentissima azienda agricola il cui cuore era rappresentato dall’abbazia stessa. Un’abbazia costruita secondo i modelli della Borgogna, dove l’ordine cistercense era nato, in uno spirito tuttavia di adattamento che per un verso coniuga in modo originalissimo romanico e gotico, mentre per l’altro presenta una funzionalità eccezionale per il fine agricolo per cui venne pensata.
In un clima monastico rigoroso e incentrato sulla preghiera e sul lavoro, i cistercensi trasformarono dunque le aree circostanti il monastero non solo in un’azienda agricola di prim’ordine, ma in una vera e propria realtà economica in grado di provvedere da sé a tutti i suoi bisogni e di estendere i suoi possedimenti e il suo influsso ad un territorio molto vasto che comprendeva Verzuolo, Savigliano e si spingeva fino alle porte di Torino attraverso una fitta rete di terreni e cascinali frutto di donazioni e acquisti. Le attività dell’Abbazia spaziavano così in tutto l’orizzonte dell’economia del tempo: dall’agricoltura strettamente intesa alla fabbricazione di attrezzi rurali, dalla lavorazione delle pelli alla tessitura, dalla fabbricazione di scarpe all’edilizia.
Col la fine del XIII secolo allo splendore subentrò tuttavia un’inarrestabile decadenza. E a poco valsero i diversi tentavi fatti per contrastare il declino sempre più evidente: gli sforzi di riportare la comunità monastica allo slancio e allo zelo iniziali non produssero i frutti sperati. L’abbazia di Staffarda venne dunque prima sottoposta all’istituto della commenda e poi, nel 1750, dichiarata decaduta come «mensa abbaziale» autonoma. Questa decisione, che sembrava decretare la fine definitiva della presenza monastica cistercense nel saluzzese, non avrebbe tuttavia impedito ai cistercensi, agli albori del terzo millennio, di tornare a riproporre in queste stesse zone la testimonianza di una vita evangelica umile e nascosta.

Dal restauro di un castelletto e di alcune cascine antiche (a sinistra) sorse il primo nucleo del monastero.

Sulla via del ritorno.

La vita monastica maschile in Piemonte verso la metà del XX secolo era pressoché inesistente e solo negli ultimi trent’anni di quel secolo si potè assistere a un approfondimento spirituale capace di far rifiorire anche in quest’area il monachesimo. Protagoniste di questa ricerca di nuove vie di vita contemplativa furono per un verso alcune comunità nate a seguito dello spirito innovatore del Concilio Vaticano II e per l’altro alcuni ordini monastici storici che si impegnarono a fondo nel far rivivere antiche abbazie o nel far sorgere nuovi centri monastici.
In provincia di Cuneo un ruolo particolare venne giocato dai cistercensi delle abbazie trappiste romane; quella delle Tre Fontane e quella delle Frattocchie, protagoniste durante gli anni ‘70 nell’area monregalese di due iniziative che non possono essere dimenticate: il tentativo di dar vita ad una realtà monastica nell’antico monastero di S. Biagio di Morozzo, poi abbandonato lasciando il posto ad una forma nuova di monachesimo, e l’apertura a Monastero Vasco di una Trappa la cui presenza non è invece venuta meno.
Nel frattempo gli italiani del nord-ovest italiano scoprivano alcuni importanti monasteri francesi che, sempre nel corso degli anni ’70, divennero meta di sempre più numerosi pellegrini da parte di uomini e donne che cercavano il silenzio e la preghiera. Questa scoperta era destinata non solo a durare nel tempo, ma anche a consolidarsi sempre più. Il risultato, retrospettivamente evidente, è rappresentato dal costituirsi di un vero e proprio legame di singoli e gruppi di quest’area italiana, cristiani e non, con questi monasteri d’oltralpe, la cui influenza sulla vita spirituale dell’area ligure e piemontese non tardò a farsi sentire.

Altare e ambone sono di pietra, lastre poggiate
su semplici blocchi di lose sovrapposte.
La chiesa risponde allo stile sobrio e spoglio della
consuetudine cistercense.

Uno di questi monasteri, divenuto a partire dagli anni ’70 una delle mete spirituali fisse di molti italiani, è l’abbazia di S. Onorato, costruita di fronte a Cannes, in Costa Azzurra, su una delle isole di Lérins. Questo monastero, la cui fondazione risale agli albori del monachesimo occidentale (inizi del V sec.) e che ha come protagonista il santo di cui l’abbazia porta il nome, ha avuto una storia prestigiosa, sia dal punto di vista storico che da quello teologico e monastico. Il silenzio di quest’isola non mancò infatti di produrre grandi frutti: santi e martiri, tutt’ora molto venerati, specie nel sud della Francia; vescovi in seguito chiamati a ricoprire ruoli di grande responsabilità; pensatori le cui opere di spiritualità e di teologia continuano ad essere lette ancora oggi. Il ruolo di questa piccola isola nella storia dell’espansione del monachesimo in Occidente, grazie a queste presenze prestigiose, divenne così determinante e non mancò neppure di influenzare significativamente la Regola di S. Benedetto, dall’epoca carolingia divenuta di fatto“la” Regola di tutto il monachesimo occidentale.
In questo terreno fertilissimo affonda le sue radici la forma di vita monastica attualmente praticata nell’abbazia di S. Onorato. L’isola infatti, che ha visto i monaci assenti per un’ottantina d’anni a seguito della rivoluzione francese, è ora affidata ai monaci di Sénanque, antica abbazia cistercense della Provenza. Lo sviluppo della vita monastica nata con la riforma della vita benedettina messa a punto della fine dell’XI ha dunque trovato in quest’isola condizioni ottimali. I monaci cistercensi vi trascorrono una vita nascosta, umile, fatta di preghiera e di lavoro soprattutto manuale. La vita liturgica, con frequenti riunioni di preghiera comunitaria nel cuore della notte e durante la giornata, e la preghiera solitaria e continua, ne è l’anima; la vita fraterna, silenziosa nel servizio reciproco e nella carità attenta, il corpo, cioè il vissuto concreto; l’accoglienza discreta, ma calorosa, a chiunque bussa alla porta, un incontro con Cristo, un modo per accoglierlo e servirlo.

L’impianto del monastero segue quello della antica
borgata. Due i livelli, il primo dei quali seminterrato.
La foresteria è il luogo di accoglienza per gli ospiti.
Nel locale del refettorio un tempo c’era la chiesa.

Pra ‘d Mill: la scoperta di una perla preziosa

Monastero Pra ‘d Mill.htm
cliccando il link qui sopra si potranno leggere le caratteristiche del Monastero Pra ‘d Mill

L’afflusso di italiani prima provenienti da tutta la Penisola e l’entrata di un significativo numero di essi come monaci nell’abbazia di S. Onorato hanno rappresentato l’orizzonte all’interno del quale si è cominciato a pensare alla necessità di dar vita a una realtà monastica analoga a quella di Lérins anche in Piemonte. Questa intuizione, rafforzatasi nel tempo a seguito delle espresse richieste in questo senso avanzate dagli ospiti italiani dell’abbazia, laici, preti o vescovi che fossero, si è concretizzata con un invito preciso fatto pervenire nel ‘86 all’abate dall’allora arcivescovo di Torino cardinal Ballestrero. L’accoglienza favorevole di questo invito da parte della comunità monastica di Lérins apriva dunque la strada a quella che sarebbe diventata l’esperienza monastica di Pra ‘d Mill.
La decisione dei monaci di Lérins di scegliere Prà ‘d Mill quale luogo dell’insediamento della nuova fondazione italiana appare tuttavia legata ad una proposta in ultimo indipendente dalla richiesta avanzata alla comunità monastica francese dal cardinal Ballestrero. Da tempo infatti la famiglia dei Baroni d’Isola, discendenti dei Conti Malingri di Bagnolo aveva offerto all’abbazia di Lérins un terreno di sua proprietà, situato fra i comuni di Barge e di Bagnolo Piemonte, al fine di farvi nascere un monastero cistercense. Il terreno offerto, ubicato a 870 metri di quota e a dieci chilometri di distanza dal centro di Bagnolo Piemonte, è costituito da una radura posta sulle pendici della riva sinistra dell’Infernotto (torrente che scende fra le Valli del Pellice e del Po), circondata da boschi in cui prevale il castagno e delimitata dalle cime dell’Ostanetta, della Rumella, della Selassa e del Castello Oddino.
Antico insediamento di pastori, prima dell’arrivo dei monaci era esclusivamente abitato in tempo di transumanza. Vi erano, in un piano più a valle, una cappellina e un castelletto, entrambi in stato di avanzato degrado, e più a monte, a circa 200 m. di distanza, un gruppo di cascine in pessimo stato. Leletta d’Isola, la professoressa di filosofia che ne era proprietaria, aveva già da vari anni invitato i monaci di Lérins ad andare a visitare il posto ed è per assecondare questo desiderio che, una sera del settembre ’84, un gruppetto di monaci e di amici laici si trovarono a salire fin lassù. La notte era già scesa e la strada non invitava certo a salire, ma, giunto ugualmente sul posto, il piccolo gruppo si fermò a pregare nella cappellina alla luce di una pila elettrica. La lettura, non programmata, di un testo biblico che così recitava: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro"», colpì l’attenzione dei pellegrini e convinse tutti che quel posto attendeva di diventare un luogo di preghiera e di adorazione, segno di una umanità rinnovata dalla Presenza di Dio come poteva esserlo un monastero. Questo testo dell’Apocalisse che parla del «Dio con loro», unitamenente al quadro posto sopra l’altare della cappella nel quale è raffigurato l’angelo nel momento in cui saluta Maria dicendo: «Ave Maria , piena di grazia, il Signore è con te», saranno la ragione profonda della scelta del nome del monastero che più tardi a Pra ‘d Mill sarà eretto: «Dominus Tecum».
A sancire la nascita ufficiale del nuovo monastero sarà nel settembre ‘88, sul terreno di Pra ‘d Mill donato ai monaci cistercensi di Lérins dalla famiglia dei Baroni d’Isola, la celebrazione di una messa che a sorpresa raccoglierà oltre 400 persone.

Monastero Dominus Tecum a Pra ‘d Mill,
Bagnolo Piemonte (Cuneo)

Progetto: Prof. Arch. Maurizio Momo con F. Burgo,A. Momo, M. Roatta, L. Gandino, C. Momo.
Consulenza Prof. Arch. Aimaro Oreglia d’Isola
Progetto strutture: Ing. Franco Picotto con
Ing. A. Costantino
Sculture della chiesa: Hilario Isola (altare e ambone) con Matteo Norzi (croce)

Gli edifici del monastero si allineano lungo le isoipse,
raccordati da chiostri e porticati.

La nascita del monastero “Dominus Tecum”: un’avventura che continua.

Il monastero “Dominus Tecum”.htm
Cliccando il link qui sopra si potranno leggere le caratteristiche del monastero "Dominus Tecum"

Nel frattempo tuttavia ci eravamo mossi per mettere le basi
di quello che sarebbe stato il nuovo monastero di Pra ‘d Mill. I primi problemi che ci eravamo trovati a dover affrontare erano di natura giuridica ed economica. L’abbazia di Lérins infatti, in quanto ente morale straniero, non era considerata idonea in quegli anni ad essere il beneficiario di un dono di immobili in Italia. Non volendo ricorrere alla figura di un prestanome, scegliemmo di dar vita un’associazione senza fini di lucro finalizzata alla costruzione e alla gestione del nuovo monastero. Il disbrigo abbastanza rapido delle pratiche burocratiche consentì nel ‘87 l’approvazione, da parte del Presidente della Repubblica, della costituzione dell’Associazione Dominus Tecum, che poco dopo avrebbe ricevuto la donazione di Pra ‘d Mill da parte dei Baroni d’Isola. I lavori di restauro potevano dunque cominciare. Non avendo tuttavia l’Associazione altre entrate che i doni degli amici, restava da affrontare il problema economico. Sia all’inizio che adesso tuttavia a sorreggerci è stata ed è la fiducia che il progetto nel quale siamo impegnati sia voluto dal Signore: ed è certamente questa fiducia che ha ci ha consentito finora di proseguire i lavori e di onorare le fatture.
Dopo sei anni, nei quali i monaci di Lérins venivano regolarmente a Pra ‘ d Mill a trascorrere qualche giorno di ritiro o di riposo, a partire dal luglio ’95, due monaci si sono installati, cominciando in tal modo sul posto una vita monastica “regolare”. Questa presenza si tradusse immediatamente in un rilevante afflusso di pellegrini che domandavano ospitalità e nella richiesta di qualche giovane di entrare a far parte della comunità. Nell’autunno dello stesso anno inoltre iniziarono i lavori di restauro delle cascine situate a monte della radura di Pra ‘d Mill, cascine che a seguito di un violento incendio sviluppatosi nel febbraio del ’90 nei boschi circostanti erano state quasi completamente distrutte. I lavori sarebbero durati due anni, al termine dei quali avremmo potuto disporre di una foresteria di 7 camere e di una nuova cappella provvisoria, essendo quella del XVIII secolo troppo piccola per contenere le persone che avevano cominciato a frequentare, più o meno regolarmente, la piccola comunità.
Con la costruzione della foresteria e della cappella iniziava a prendere forma quello che sarebbe stato il nuovo monastero, la cui progettazione da parte dell’architetto Maurizio Momo ha inteso salvaguardare la struttura primitiva e lo stile originario delle “meire” di montagna. Tutto in pietra e legno, con un bellissimo intrecciarsi di tetti ricoperti in pietra di Bagnolo. L’ampliarsi della comunità imponeva tuttavia di accelerare i lavori: di qui il procedere dei restauri dei restanti edifici da cui sono sorti una cucina in grado rispondere alle esigenze di ospitalità della comunità, un refettorio e una serie di celle per i monaci, una bella biblioteca ed una serie di altri locali (lavanderia, laboratori, sale riunioni…) indispensabili ad una vita monastica e ad un’accoglienza realizzate in un clima di silenzio, preghiera e meditazione. Infine si è sentita la necessità di costruire una vera e propria chiesa, abbastanza ampia per accogliere i fedeli sempre più numerosi, specialmente la domenica e durante le feste. La chiesa, che risponde allo stile sobrio spoglio della tradizione cistercense, allea materiali e spirito tradizionali e forme innovative. Molto bella, è pervasa da un clima di profonda preghiera e aiuta alla meditazione. L’altare, l’ambone sono stati realizzati da Hilario d’Isola e la croce da Hilario d’Isola con Matteo Nesti. La porta del tabernacolo e la croce della cappella del santissimo sono due icone opera di un monaco. Viene così sempre più profilandosi quello che sarà il futuro monastero, con una quindicina di celle per i monaci (il chiostro e le ultime otto celle sono in fase di costruzione), un refettorio sufficientemente ampio, una cucina spaziosa, una biblioteca in fase di allestimento, una serie di laboratori e una foresteria capace di consentire agli ospiti di respirare e di condividere la vita monastica.
Nel frattempo i monaci della comunità sono aumentati. Questa crescente presenza di monaci a Pra ‘d Mill si è tradotta anche in un mutamento del paesaggio: i terreni circostanti il monastero, lasciati a lungo abbandonati hanno ripreso ad essere curati sia attraverso un azione di rimboschimento che ha visto piantare oltre due mila nuovi alberi da frutto e da ornamento, sia mediante l’inizio di nuove coltivazioni nelle zone a prato. Questo aspetto materiale non è in contrasto con il vero significato di questa fondazione, ma piuttosto lo supporta: la scelta del terreno in una valle ormai completamente abbandonata e che ora sta rivitalizzandosi è infatti dovuta principalmente al clima di silenzio e di solitudine, di austerità e di povertà che non solo sono necessari alla spiritualità cistercense, ma sono oggi una “merce” molto richiesta da quanti vogliono ritrovare il senso della vita, confrontarsi seriamente con la propria dimensione interiore, vivere in un clima di rapporti impregnati di umanità e non dipendenti dai ruoli e dall’ efficienza delle persone.

Le coperture spesso hanno andamento discontinuo per seguire il livello del terreno.

Monaci a Pra ‘d Mill: un presente che guarda lontano

Il monastero Dominus Tecum, dopo quasi dieci anni di presenza in Piemonte appare ben inserito sia nel contesto ecclesiale che in quello sociale. La sfida oggi è quella di far vivere un’antica tradizione monastica, sempre valida, ma che ha dovuto in ogni tempo radicarsi nel “terreno” in cui è vissuta. Anche se la vita e le opzioni sono fondamentalmente quelle dell’abbazia madre e se il taglio cistercense è ricevuto con attenzione da essa, occorre tener conto della situazione nuova con cui il nuovo monastero deve fare i conti: una valle austera e selvaggia del cuneese, per esempio, impone ritmi e modi di fare diversi da un’isola mediterranea; la popolazione che vive intorno al monastero e gli ospiti che lo frequentano hanno caratteristiche diverse rispetto a quelli di Lérins; gli stessi fratelli monaci infine, tutti italiani, del nord e del centro Italia, imprimono al volto del monastero una fisionomia nuova.
Essere presenti come monaci in uno specifico territorio non vuol dire avere il ruolo di un museo in cui si vengono a conoscere realtà d’altri tempi, fosse pure una splendida musica gregoriana, significa invece vivere una fedeltà dinamica in cui i veri valori della vita monastica voluti dai Padri del deserto del IV secolo, da S. Benedetto nel VI e dai riformatori tra i quali nel XII secolo spicca S. Bernardo, sono veramente cercati, accolti, osservati e amati da uomini attenti e sensibili anche ai valori del loro tempo, alla gente in mezzo a cui vivono, al luogo e alle persone che essi stessi sono (cultura, salute, formazione religiosa, ecc.).
La solida formazione monastica ricevuta a Lérins, e che per ora anche i nuovi entrati devono ricevere, permette una più grande libertà interiore e il fatto di osare affrontare la situazione, nuova e fragile insieme, di una fondazione. Oggi i problemi della nascita di una comunità sono numerosi: la società occidentale, pur cercandoli, non sembra apprezzare i valori portati avanti dal monachesimo e, malgrado il f
atto che in questi primi anni le entrate nella vita monastica non sono mancate, ci si può chiedere se, a parte una larga ospitalità, il monastero potrà essere fecondo e continuare a crescere nella fedeltà al proprio stile di vita fino ad avere un numero di monaci sufficienti per una normale vita monastica. I problemi economici inoltre si presentano su un doppio fronte: la spesa delle costruzioni e il trovare delle forme di lavoro che permettano la sussistenza quotidiana. Per la prima si può andare avanti al ritmo delle entrate, ed è con stupore che vediamo la grande opera già realizzata senza lasciare debiti, mentre per il secondo dovremo essere attenti ad un equilibrio fra il lavoro produttivo e redditizio e il clima di silenzio e di solitudine che caratterizza la nostra vita, il cui centro è e deve restare incentrato su una vera fedeltà al Vangelo.
Guardando al futuro comprendiamo l’urgenza di vivere una vita davvero autentica: il rispetto ai valori ricevuti deve andare di pari passo con una attualizzazione concreta, fino al riuscire a essere noi stessi “tradizione”, cioè capaci di passare alle generazioni future dei veri valori, che aiutano a crescere, a scoprire la radicale novità del monachesimo, e non ingabbiano in forme rigide e paralizzanti. L’aver visto nascere e crescere il monastero, che, anche se non ancora terminato, ha ormai già un volto preciso, ci dona entusiasmo per avanzare, sebbene forse le vere difficoltà non siano ancora apparse. Ciò che desideriamo tuttavia non è null’altro che vivere integralmente la vita cistercense. Un ideale che non sopporta copiature senza vita, ma richiede invece fantasia, coraggio, audacia e soprattutto una grande umiltà nel riconoscere la nostra fragilità e nel lasciare che il vero costruttore del nuovo monastero sia esclusivamente il Signore.

Fratel Cesare Falletti

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