Tagliate con l’accetta e senza chiodi


Antiche tradizioni: in Norvegia si conservano le costruzioni a doghe medievali

Gli edifici in legno scandinavi offrono ancora esempi mirabili di architettura vernacolare. In molti casi ancora abitati, spesso sono diventati musei, ricordo dell’industriosità umana, prima dell’epoca industriale.

Servizio e foto di Giuseppe Maria Jonghi Lavarini, architetto

I signori dell’ascia

Questa è la storia di un popolo che dall’Alba del Nord si è mosso verso altre terre. Questo popolo i “wai-king”, sono i “re dell’alba del nord“ che si avventurarono negli anni 900 – 1000 d.C. sulle vie del mare.
Sulle loro navi, solo uomini, ragazzi e bambini guerrieri partivano senza la loro famiglia, lasciando al villaggio le donne: biondi predoni, orgogliosi, forti e valorosi razziavano le coste con il desiderio di tornare alla loro terra madre, ricchi dei
bottini del saccheggio (Wikingkipsshuset-Wiking Ship Museum – Oslo)
Anche i loro fratelli del nord, i “wai-ser “, i “signori dell’alba del nord”, partirono dalle loro care foreste di abeti, larici, pini e betulle; ma partirono con i loro carriaggi e con tutte le loro cose, con le loro donne e bambini.
I fratelli del mare saccheggiavano con ferocia, con la voglia, il desiderio, la speranza di rientrare al tepore delle loro case che li aspettavano. I fratelli di terra sapevano che non sarebbero più tornati e cercavano una terra amica per ritrovare, nel profumo di una nuova foresta, l’aroma della resina dei boschi della patria abbandonata.
Entrambi i fratelli dell’alba del nord adoravano gli dei delle grandi abetaie, quegli dei che avevano insegnato loro un grande strumento: l’ascia, la scure; un’arma, una forza che non abbandonava mai la mano dell’uomo del nord. Mentre i vecchi raccontavano, i più giovani sapevano armare il loro braccio di ferro!
Erano i figli dell’ascia: la scure in una mano, il martello, la mazza, il picchetto nell’altra; strumenti perfetti per tagliare alberi e spaccarne il fusto in travi, per fare barche e case.

Il disegno generale della casa nordica è presente sia nella tradizione celtica, sia in quella scandinava. In Italia è presente nelle aree Walser in Valle d’Aosta, Val d’Ossola e Valsesia. Sono strutture a due volumi, il più stretto in basso, più largo quello superiore, così che gli aggetti frontali e laterali proteggano la base dall’acqua
e dalla neve. Nei disegni, prospetti laterale e frontale, pianta dei due livelli e sezione dell’edificio di Helle Haugo, risalente al XVII sec., in Norvegia.

Questa antica storia mi ha portato a cercare il messaggio, il racconto, individuando le tecniche costruttive che si ritrovano sia nei villaggi che nelle case dei musei all’aria aperta, negli scansen che le città del nord conservano per tenere viva la memoria, preziosi cimeli di un passato di cui sono fieri e orgogliosi. Sono andato a studiare le
case di legno al Norsk Folk Museum (Norvegian Museum of Cultural History di Oslo ), ho trovato le radici inconfondibili delle nostre genti di montagna, le nostre baite walser.
I sassi, i legni, le travi incrociate, gli incastri, la mancanza di chiodi, gli stessi spinotti: tutto parla.
Ci racconta un tempo che fu e che vive ancora negli uomini che sanno di nuovo ascoltarne la storia. Nelle baite di alta montagna, nelle abetaie che circondano i pascoli sotto il Monte Rosa si riconosce lo stesso linguaggio costruttivo, la stessa manualità, la stessa organizzazione degli spazi, lo stesso camino, la stalla, il fienile. Anche qui la scure è protagonista, la stessa che spacca l’albero e ne disegna l’incastro: si ritrova la stessa saggezza dei vecchi che insegnavano a costruire la casa, il rifugio per la propria donna, la propria famiglia.
I giovani avevano imparato e a loro volta ancora insegnato. In questo modo la saggezza dei vecchi si tramandava da padre in figlio.
E i “wai-ser“ con i loro carriaggi, superate le pianure di Germania, Prussia e Sassonia, ritrovarono le foreste d’abeti, larici, pini e betulle che i loro vecchi insegnavano ad amare.
Bianche come la neve, le betulle per calafatare sia le barche che le case, ma anche “una pozione magica“: i riccioli ribelli della corteccia della betulla davano antichi infusi, “la pozione calda “ che allontanava febbri e raffreddamenti cattivi!
Andiamo allora a confrontare le case dei Walser con le case dei “Wai-ser”.

"…Il viaggio di un popolo…"

Si imbarcavano adulti
e bambini: tutti guerrieri,
e i loro cavalli. Ma senza
quelle barche realizzate
con tecniche simili a quelle
delle case norvegesi,
l’epopea dei vichinghi non
avrebbe avuto luogo.

Questi, appunto intorno all’Anno Mille, cercano nuove terre, per famiglie che da tribù nomadi diventano stanziali e si organizzano in villaggi. Le notti più lunghe del Nord avevano permesso tempi più tranquilli, perché i bravi artigiani si
deliziassero negli intagli forti e ricchi di simbologie.
Ma l’intaglio, l’incastro, la disposizione delle travi di contenimento e di sostegno del tetto, sono gli stessi che ritrovo nelle baite degli alpeggi antichi delle nostre Alpi Pennine e Lepontine.

I Vichinghi, popolo del mare, hanno terrorizzato con
le loro scorrerie le coste di tutta l’Europa nord-occidentale.
Sono arrivati nel Mediterraneo e, si dice, sino
all’altra sponda dell’Atlantico. A dimostrazione
della solidità e della tenuta delle loro imbarcazioni,
capaci di reggere il mare in ogni condizione.

Identico è il sasso, grande pietra piatta su cui si appoggiano i pali di sostegno perimetrali del fienile…
Un forte, largo sasso piatto per alzare il fienile dal terreno e difenderlo dall’umidità, ma anche ostacolo alle razzie dei ratti infestanti che minacciavano di rovinare il raccolto prezioso della segale. Il sasso largo e piatto della casa del “wai –
ser” è lo stesso in quella dei walser.
Nelle loro migrazioni troviamo la storia della nostra Europa, di un popolo di uomini, donne, vecchi, giovani e bambini in fasce, che intorno al camino acceso ricorda e ha voglia di raccontare le fiabe di un tempo che fu, con la gioia per il giorno
nuovo, che ogni mattino il sole rinnova.

Giuseppe Maria Jonghi Lavarini

Musei-villaggio abitati

Nella zona attorno a Oslo (v. la pianta a destra) si trovano molti musei etnoantropologici.
Cinque di questi sono a Bigdy, quartiere residenziale di pregio della capitale, ma anche meta turistica privilegiata,
a causa di questi luoghi didattico-illustrativi.
Il Norskfolkemuseum (v. il logo in alto a destra) è il più importante.
Si tratta di un ambiente espositivo che riproduce all’aria aperta un villaggio medievale.

Al centro, una autentica Stavkirche (chiesa in legno) del XIII secolo.
La tradizione popolare norvegese può essere conosciuta attraverso gli oggetti esposti nelle varie case, che presentano gli ambienti di vita d’epoca e parlano delle esplorazioni, delle costruzioni navali, della religione e dell’agricoltura.
Nella buona stagione il luogo è abitato da figuranti che si esibiscono in danze, cucina e costumi tradizionali, mentre per le
strade circolano i carri trainati da cavalli.

I tronchi sono lavorati con l’ascia, ma gli incroci di assi e doghe sono
realizzati con maestria tale che le superfici combaciano perfettamente.

Nei Paesi Scandinavi la relazione tra uomo e ambiente è intessuta di un’epica speciale. Dimensioni sconfinate, temperature estreme, foreste e fiordi fanno sì che l’habitat umano debba misurarsi con una sfida gigantesca.
Nell’immaginario nordico l’eroe si erge solitario, capace di affrontare lunghe notti, rigori invernali, immense solitudini. Gli antichi edifici in doghe di legno ricordano un poco questa immagine. “L’antica architettura lignea norvegese risente della natura del luogo. Più dei due terzi del territorio è costituito da montagne inabitabili, i cui massicci pietrosi sono penetrati da strette gole e fiordi. Il panorama è possente e drammatico, ma le valli verdeggiano di alberi e offrono un ambiente capace di accogliere gli umani che, per insediarvisi, hanno aperto spiazzi dove gli alberi sono diventati materia prima per le abitazioni”.

Terra e erba come materiale isolante: questa tecnica, riscoperta recentemente dall’edilizia bioclimatica, è di uso tradizionale negli edifici in legno nordici.
Lo strato di terriccio mantiene una temperatura discreta in inverno, in estate rinfresca anche grazie all’evaporazione causata dalle piante. Questo, insieme con gli zoccoli in pietra e gli ampi sporti di copertura, permette una coibenza eccellente.

All’origine la fattoria norvegese è costituita da un singolo grande edificio indifferenziato.
Probabilmente dall’Europa orientale, in epoca medievale, giunge in Scandinavia la tradizione di realizzare invece dell’unico edificio, diverse più piccole costruzioni vicine, raccolte lungo una via rettilinea o attorno a una piazza. Si tratta di un
progresso: gli edifici si “specializzano”.
In particolare, nelle zone orientali della Norvegia, si trovano ancor oggi fattorie “rettilinee”, raccolte lungo una stradina.
Nelle foto, a sinistra in alto, un loft, edificio a una stanza usato come deposito.
Sotto: edificio abitativo tipico, con basamento di dimensione ridotta rispetto ai piani superiori. Qui sopra, nel disegno, casa pluripiano e cottage del XVIII secolo, a Torvetjønn, con elementi intarsiati. Sotto: cottage su basamento in pietra,
con camino centrale.

Il loggiato superiore è un
o spazio coperto ma aperto: può servire per essiccare le messi anche in condizioni di maltempo
e impedisce alla neve di ammucchiarsi attorno alla base. Le dimensioni dell’edificio consentono di ospitare al piano superiore anche una dispensa-ripostiglio. Il piano inferiore rimane totalmente protetto sia dagli aggetti del livello più alto,
sia dai piloncini (il cui modellato a sporgenza impedisce ai roditori di salire a cibarsi delle messi riposte nella dispensa) su cui poggiano, a loro volta collocati su un telaio ligneo (la tecnica è invalsa dal XVII sec.) posto su pietre, così che non vi sia contatto con l’umidità del suolo. La scala a doghe spesse incastrate (si nota l’assenza di chiodi) e l’ampia porta di accesso, consentono agli animali di salire al livello basso così da proteggersi dal maltempo nei mesi invernali e da contribuire al riscaldamento degli ambienti interni. La casa può diventare un piccolo universo autosufficiente, in cui l’accumulo di riserve permette di vivere con relativa tranquillità i periodi di maggior rigore climatico. Dettata dalla necessità e dall’utilità, la forma è anche elegante.

La vicinanza con la natura detta regole intuitive, che si traducono in edifici di solida semplicità, che si evolvono lentamente nel tempo a piccoli passi. Il camino fu uno dei maggiori passi evolutivi.

Così scrivono Gunnar Brugge e Christian Norberg- Schulz nell’introduzione al volume ”Antica architettura lignea in Norvegia” (Oslo, 1990). Ed ecco gli edifici in legno massiccio squadrato con l’accetta, eretti con la tecnica degli incastri (Blockbau) che rimontano all’epoca in cui i Vichinghi solcavano i mari e con le loro scorrerie minacciavano le coste britanniche e iberiche. Le loro navi e le loro case evidenziano una consuetudine nel trattare la materia, che li porta a realizzazioni sopraffine. Gli incastri coincidono perfettamente, non c’è bisogno di chiodi.
L’edificio è conformato in modo tale da risultare accogliente e protettivo.
Il tetto è coperto di terra e erba: ispido come le loro barbe e chiome, ma anche coibente e accogliente. A protezione dall’umidità e dai piccoli roditori, case e fienili sono sollevati (come facevano i Walser) su pilastrini in pietra.

“ le finestre aprono alla modernità”

È in epoca moderna che avvengono le trasformazioni più importanti nei sistemi costruttivi tradizionali.
La struttura delle case rimane la stessa, ma l’introduzione di grandi finestre a vetri, in particolare dal ‘700, consente
ambienti più luminosi. E certamente l’evoluzione più significativa è l’introduzione del camino. Infatti, all’origine,
gli edifici erano riscaldati con un fuoco libero, il cui fumo usciva da un buco sul tetto: come in epoca primitiva.
Già nel basso medioevo il camino in pietra consente di controllare la fiamma, evitare i rischi di incendio e regolare la diffusione di calore.
Con la finestra e il camino, la casa norvegese acquista un livello di confortevolezza tale da renderla appetibile anche ai nostri giorni. Ma le capacità artigianali alla base della sua realizzazione, la tecnica di lavorare il legno con l’ascia, forse
appartiengono a un passato irrimediabilmente perduto.

La donna e la casa

Le donne erano indipendenti; mentre i loro uomini erano lontani in battaglia, mandavano avanti le case e le fattorie. Una donna poteva scegliersi il marito e poteva chiedere il divorzio, se la picchiava o la tradiva. Sulle iscrizioni rustiche le donne venivano spesso lodate per la loro bravura nel portare avanti la casa e per l’abilità nei lavori manuali. Solo i ricchi possedevano sedie o letti; la gente comune si sedeva su panche o sgabelli oppure si accovacciava per terra a gambe incrociate. Di notte si stendeva su piccoli tappeti che coprivano le piattaforme rialzate.

Accanto alla donna della nave di oseberg sono stati trovati ben tre letti, il più bello è stato riprodotto: è di faggio e ha le assi della testata scolpite con teste di animali dal collo ricurvo. La donna probabilmente dormiva su un materasso di piume e si copriva con una trapunta imbottita di piume o penne.

La recinzione

Assi poste l’una sull’altra sostenute da coppie di piedritti stretti in alto da corde. Il sistema è semplice, primitivo: i piedritti conficcati al suolo lasciano spazio sufficiente per far passare le assi.
Una volta raggiunta l’altezza desiderata, i piedritti sono legati così da stringere tra loro le assi.
Finché le corde usate resistono, la recinzione regge. Serve per definire una proprietà, non ha solidità tale da costituire una difesa o da contenere la forza di animali inferociti.
Sullo sfondo, nell’immagine, si nota un altro tipo di recinzione più solida: in pietra a secco con telaio ligneo superiore.

Gli edifici in doghe di legno sono tanto più solidi, quanto minore è il numero delle aperture: una parete piena offre la massima resistenza strutturale. Lo sviluppo delle finestre avviene piuttosto tardi nell’evoluzione dell’architettura norvegese vernacolare: tra il XVII e il XVIII secolo.
In precedenza la porta era stata sviluppata come apertura principale: incardinata su due
possenti stipiti in legno pieno
, spesso decorati con intagli.

Prima delle finestre vere e proprie, l’uso antico, rimasto poi come elemento caratteristico, è quello di allineare serie di “oblò”, così da consentire l’ingresso di una misurata quantità di luce mentre i pilastrini tra un “oblò” e l’altro mantengono la coerenza strutturale.

Ancora oggi si trovano edifici lignei del ‘300. E a volte le costruzioni medievali recano sovrastrutture sette-ottocentesche, a testimonianza della resistenza delle strutture, sulle quali in epoche più recenti si aggiungono elementi ricchi di ornamenti: intagli, soprattutto sulle porte o nelle colonne angolari, che talvolta richiamano motivi rococò.

All’essenzialità funzionale, la sensibilità degli abitanti non manca di apportare un contributo di espressività artistica, scavando immagini floreali, in certi casi ricche di colore. Così la casa acquista un’anima gentile: vinta la sfida con le intemperie, diventa aspirazione di bellezza. Sono edifici che ancor oggi ci insegnano come abitare i monti, con mezzi semplici, come un po’ di terra sui tetti, per vivere meglio e da amici della natura.

“…Nelle case dei benestanti si potevano trovare alcuni mobili in legno e gli oggetti preziosi talvolta
erano custoditi in scrigni intagliati e dotati di serratura…”

In tutto il mondo vichingo la vita casalinga ruotava intorno alla stanza principale, nel mezzo della quale ardeva un fuoco che sfogava il suo fumo attraverso un’apertura nel soffitto; il pavimento era in terra battuta. Piattaforme rialzate disposte
lungo le pareti, ornate da cuscini e guanciali di piume d’anitra o penne di gallina, offivano posti a sedere o giacigli per la notte.
Nelle case dei benestanti si potevano trovare alcuni mobili in legno e gli oggetti preziosi talvolta erano custoditi in scrigni intagliati e dotati di serratura. Spesso ai lati della stanza principale si aprivano locali più piccoli adibiti alla cucina o
alla filatura.

Altre abitazioni, laboratori , tessitorie o stalle per animali
trovano spazio in edifici minori, con il pavimento
scavato nel terreno. La residenza di un condottiero
poteva avere le pareti ornate con oggetti appesi o
grandi o piccole corna di animali o con pannelli di
legno incisi e intagliati. Verso l’anno 1000 un poeta
islandese descrisse alcuni pannelli decorati con scene
di dei e leggende; il poema si intitolava Hùsdràpa,
che significa “Poema felice in lode della casa“.

Bibliografia I disegni architettonici sono tratti da “Stav og Laft” (di G. Bugge e C. Norberg-Schulz, Oslo 1990). I disegni storici da: “Magnus the Viking” (di F. Ingulstad e A. Tønnesen, Egmont Bøker Fredhøi, Oslo). Illustrazione nel box “La donna e la casa” da: “I Vichinghi” di S. M. Margeson (Ististuto Geografico De Agostini, 1994). In questa pagina disegni da: “Vikings” (di J. Green e M. Bergin, Hodder Wayland, Londra 2002).

 

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